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Quand'è che l'ONU saprà decidersi in fatto di droga?

Mentre i governi di tutto il mondo sono alle prese col dibattito sulla legalizzazione, all’ufficio delle Nazioni Unite di Vienna si è tenuto uno dei summit di politiche globali sulla droga più importanti della storia recente. Peccato che sia stato un...
Max Daly
London, GB

L'ufficio ONU di Vienna (Foto per gentile concessione di Legal Matters)

Mentre i governi di tutto il mondo sono alle prese col dibattito sulla legalizzazione, all’ufficio delle Nazioni Unite di Vienna si è tenuto uno dei summit di politiche globali sulla droga più importanti della storia recente.

In questa sede, la Commissione Narcotici avrebbe dovuto valutare i traguardi raggiunti all'interno del grande piano dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), che fissando come limite il 2019 punta a ridurre in modo significativo, se non a eliminare, l’uso e la produzione di droghe illegali. A conclusione degli incontri era prevista la formulazione di una dichiarazione consensuale per stabilire le linee guida da adottare a livello internazionale.

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Il summit, che ha coinvolto 1.300 delegati tra 127 stati membri, ONG e agenzie, aveva gli occhi puntati addosso, soprattutto poiché due stati americani e l’Uruguay hanno di recente fatto marcia indietro su ciò che l’UNODC ha discusso negli ultimi 17 anni decidendo di legalizzare la produzione e l’uso di cannabis—il tutto mentre in altri paesi membri il traffico di sostanze è punito con la morte.

Al mio arrivo all'Ufficio ONU di Vienna mi rendo subito conto che le misure di sicurezza sono particolarmente rigide. Chiedo il motivo e un agente mi spiega che sono attesi ospiti importanti. A volte qualcuno minaccia di farsi saltare in aria, aggiunge. Poi mi spiega che, mettendo piede in quell'edificio delle Nazioni Unite, lascio l’Austria ed entro in una zona “extraterritoriale”. Come un’ambasciata o una base militare, è esente dalla giurisdizione della legge locale. Come scoprirò dopo, una zona extraterritoriale non ha nulla di esaltante.

Un messaggero della morte con contorno di marijuana al summit UNODC del 2012 (Foto di Steve Rolles)

Per essere un incontro che detterà il futuro delle politiche globali sulla droga, l'atmosfera appare un po' troppo leziosa. La Regina di Svezia sta per pronunciare un discorso, e questo perché la Svezia è uno dei governi europei più convinti nella guerra alla droga, con sanzioni particolarmente pesanti per quanti non si disintossicano. Infatti molti finiscono per attraversare i 17 km del ponte Oresund e vanno a cercare aiuto in Danimarca, un paese che offre strutture per il consumo sicuro di droga e dove i tossici si possono fare sotto la supervisione di personale sanitario senza finire in arresto per possesso di stupefacenti.

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Il governo svedese, come molti altri qui presenti, è convinto che un giorno sul nostro pianeta non esisteranno più sostanze psicoattive. Insieme a Stati Uniti e Giappone è anche uno dei principali donatori dell’UNODC.

Ora, dimenticate per un attimo quanto vi ho detto; la regina Silvia è lì in qualità di sostenitrice di un’organizzazione benefica per bambini. Dichiara di non essere una figura politica, e lo fa poco prima di dire che ogni paese del mondo dovrebbe dotarsi di un sistema a “tolleranza zero” sulle droghe, "perché non possiamo permetterci di perdere i nostri bambini… dobbiamo salvare i bambini.” Conclude il suo discorso con le parole di congedo preferite dai conduttori di Eurovision: “Danke… merci… gracias… tack..” eccetera eccetera.

Subito dopo, una quarantina bambini provenienti da 30 paesi vengono piazzati sul palco. Due di loro, uno dal Kenya e una da Israele, fanno dei brevi discorsi su quanto sia sbagliato punire le persone che fanno uso di droghe, che non è proprio quello che si intende con tolleranza zero. Come capirò in un secondo momento, le parole di quei bambini saranno la cosa più sensata e stimolante che mi capiterà di sentire per il resto della mia permanenza a Vienna.

Raymond Yans, a capo dell’Organismo Internazionale per il Controllo degli Stupefacenti (INCB) delle Nazioni Unite, si fa avanti. In passato ha dato del "pirata" al governo dell’Uruguay, colpevole di avere legalizzato la produzione e l’uso di cannabis. Sul palco dà il via a una moda che riscuoterà un certo successo anche nei giorni successivi: una serie di infinite e vorticose statistiche, discutibili e completamente prive di senso.

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Una slide della Russia mostra il ciclo del riciclaggio di denaro ricavato dalla coltivazione dell'oppio in Afghanistan. Foto di Jackson Wood.

Secondo Yans, se l'oppio non fosse stato reso illegale oggi ci sarebbero 100 milioni di tossicodipendenti in più. Una statistica rivelatrice, se solo fosse basata su un briciolo di verità. Sostiene anche che l'esistenza di un divieto è la ragione per cui il consumo di droghe illegali è inferiore a quello dell’alcol o del tabacco. Quindi ci sta dicendo che se le droghe fossero legalizzate, l’intera popolazione mondiale lascerebbe il proprio lavoro, si dimenticherebbe della famiglia e trasformerebbe il mondo in una gigante stanza del buco. Che più o meno è come dire che se il matrimonio omosessuale venisse legalizzato tutti si risveglierebbero gay.

Poco dopo tocca a Yuri Fedotov, diplomatico russo di primo livello e Direttore Esecutivo dell'UNODC. Forse gli aficionados dello spionaggio lo ricorderanno nel ruolo di Ambasciatore della Russia a Londra. Perché, quando ricopriva quell'incarico, l’ex spia del KGB Aleksandr Litvinenko fu ucciso tramite un avvelenamento da radiazioni da polonio-210. Yuri esordisce affermando che nonostante i successi della riduzione della produzione di cocaina, permangono problemi per quanto riguarda il commercio di droga online, i legal high e l'aumento delle coltivazioni e del traffico di oppio nell’ovest dell’Africa.

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La nomina di Fedotov a zar della droga, avvenuta nel 2010, risponde a una logica piuttosto strana. Il suo paese è descritto come uno dei regimi più anti-droga al mondo, con altissimi livelli di HIV, il divieto di somministrare metadone e la continua criminalizzazione degli eroinomani, a cui si aggiunge un programma di riabilitazione che conta numerosi casi di violenze, torture e detenzione a tempo indeterminato.

Per certi versi, in particolare, la scelta di un russo come Direttore Esecutivo (incarico precedentemente occupato da Antonio Maria Costa) ha anticipato quella che sembra l'attuale tendenza della guerra alla droga, col passaggio del testimone di Polizia Globale dagli Stati Uniti, colonna portante dell’UNODC nel corso degli ultimi 50 anni, alla Russia.

A prescindere da tutto ciò, Fedotov incita i membri delle Nazioni Unite a non incarcerare i tossicodipendenti, a rispettarne i diritti e a offrire loro le migliori cure disponibili. Questo sistema a doppio standard ha acquisito una certa popolarità nei circoli ONU, con i sostenitori delle politiche anti-droga più severe su piazza che si riempiono la bocca dell’enorme importanza dei diritti umani, della libertà individuale e del diritto dei cittadini all’assistenza sanitaria.

Yuri Fedotov e la regina di Svezia. (Foto per gentile concessione di István Gábor Takács, HCLU – Drugreporter)

Grazie ai successi dei fattoni di Washington e Colorado, l’America ha un po' perso la sua reputazione di baluardo dell'anti-droga faticosamente costruita da Ronald Reagan. Fedotov coglie l'occasione per bastonare la comunità internazionale, in particolare Stati Uniti e Regno Unito, per non essere riuscita a contenere la coltivazione di oppio in Afghanistan e a contrastare l’aumento di uso di droghe in generale.

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I successi del passato echeggiano nell’aria mentre i vari oratori passano da una mozione all'altra, giocando a bingo con i sequestri e mostrando statistiche su operazioni anti-droga portate a termine con un certo numero di aerei e barche. Discutono di quanto la droga sia un flagello, una minaccia, una piaga. Di come dobbiamo affrontare la situazione, affinché i nostril figli non diventino degli zombie.

Di norma, ogni incontro procede così: i paesi poveri, in cui la droga viene prodotta e trafficata, danno la colpa ai paesi più ricchi che la consumano, accusandoli di essere incapaci di contenere la richiesta di stupefacenti, mentre le nazioni ricche rispondono con offerte di aiuti per arginare la corruzione e per convincere i contadini a passare a coltivazioni legali.

A un certo punto riesco a imbucarmi a una “tavola rotonda” alla quale non sarei ammesso, e lo faccio giusto in tempo per sentire il delegato del Kazakistan annunciare il lancio di un programma per liberare il paese dal demonio della droga. Nella pratica, il programma prevede test anti-droga a tappeto nelle scuole. Scopro anche che il governo israeliano sta collaborando con gli internet provider del Paese per monitorare e chiudere i siti che vendono legal high, mentre Pakistan e Ghana chiedono un divieto a livello globale per la produzione dell’efedrina, la sostanza chimica utilizzata nella metanfetamina. L’India risponde al Pakistan dicendo che è una richiesta stupida.

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Come avrete capito, la maggior parte di questi incontri è fatto di oratori e organizzazioni di varia provenienza che si dilungano in maniera monotona su quanto la droga faccia male. Quindi chiudo questo capitolo e passo alle cose interessanti, le uniche che hanno impedito a queste centinaia di delegati di abbandonare la zona extraterritoriale e fare i turisti in giro per Vienna.

Un attivista per la legalizzazione cerca di ricordare ai delegati dell'ONU che nell'Austria del diciottesimo secolo il caffè era proibito, e i soldati avevano il compito di controllare l'alito della gente per capire se ne avessero bevuto. (Foto per gentile concessione di István Gábor Takács, HCLU – Drugreporter)

Gli alleati principali della Russia sono Iran (il cui rappresentante era perennemente circondato da quattro guardie, per timore di essere attaccato dai liberali sotto l'effetto di droga), Pakistan, Arabia Saudita, Giappone, Thailandia, Cina e Singapore—tutti in prima linea nel proibizionismo più duro e fan accaniti di politiche anti-droga che prevedono la reclusione o, in alcuni casi, la pena morte. La loro idea di fondo è che, malgrado il fatto che la pena di morte per i reati droga sia contro la legge internazionale, quello che fanno con i tossicodipendenti dei rispettivi paesi rimane affar loro. Non sembra un pensiero molto in linea con lo spirito delle Nazioni Unite. Tant'è.

Dal lato opposto siedono i paesi pro-riforma: Ecuador, Uruguay, Messico, Portogallo, Germania, Repubblica Ceca e Svizzera. Sfruttano questo meeting come possibilità per esprimere il loro disaccordo di fronte alla riluttanza dell'ONU nel condannare gli abusi della guerra contro la droga. Portando a esempio la crescente tendenza alla legalizzazione delle droghe leggere, chiedono all’ONU di riconoscere l'esistenza di alternative alla vecchia Guerra contro le Droghe, i cui parametri sono stati fissati con la Convenzione unica sugli stupefacenti dell’ONU del 1961.

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Diego Canepa, vice-presidente dell’Uruguay, che ha legalizzato la produzione di cannabis agli inizi del 2014, ha dichiarato: “Il nostro paese ha il diritto di applicare politiche che non nuocciono ad altri, e che promuovono la salute e cercano di migliorare la qualità della vita. Abbiamo bisogno di cambiamenti, di innovazioni. E questo è quello che stiamo facendo.”

Mi sono imbattuto in Canepa e sono finito a passare la serata con lui. Per quelli interessati a figure politiche internazionali, lui sembra un tipo a posto.

Delegati al lavoro.

Nonostante il divario sempre più grande fra queste due parti, lo scopo finale del summit era appunto cercare di giungere a un accordo e pubblicare una “dichiarazione congiunta”. Quando il Messico, lo stato che ha molto più da perdere da questo status quo (dal 2006 sono 80.000 i messicani morti a causa della guerra alla droga), ha chiesto che la dichiarazione includesse una parte riguardante la necessità di un dibattito sulle politiche globali in materia di droga, i più radicali hanno votato contro.

Così, la dichiarazione uscita da Vienna—in tutti i suoi 45 punti e i paroloni di circostanza—non ha nulla a che vedere con quel consenso, ma è più una lista di vaghe cose insensate a proposito degli effetti deleteri delle droghe, della necessità di arrestare i trafficanti e delle modalità di supporto ai tossicodipendenti. Nessun riferimento ai grandi cambiamenti adottati in Sud America, negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda o in paesi come il Portogallo e la Repubblica Ceca, e nessuna condanna della pena di morte per reati collegati alla droga.

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La solita storia, e ore di discorsi.

“È solo un’insipida reiterazione delle dichiarazioni precedenti, piena di banalità senza senso e autocompiacimento,” afferma Steve Rolles, Senior Policy Analyst per l'inglese Transform Drug Policy Foundation. “Questi sono gli ultimi, disperati respiri esalati dalla guerra alla droga.”

Le Nazioni Unite hanno offerto al mondo intero la possibilità di acconsentire o dissentire, ne hanno fatto un bel pacchetto e hanno permesso che alcuni paesi continuassero tranquillamente a condannare a morte o trattare come cani tutti quegli individui sufficientemente sfortunati da diventare tossicodipendenti.

Nel mondo reale, la guerra globale alle droghe si sta rapidamente mostrando per quello che è. Tuttavia, nei palazzi delle Nazioni Unite, tutto fila liscia come l’olio.

Max è co-autore del libro Narcomania. Seguilo su Twitter: @narcomania

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