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The Vietnam War è il documentario 'definitivo' sul Vietnam

Il documentario di Ken Burns compie un'operazione molto complicata: riesce a essere fico anche per quelli a cui non frega niente della storia.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Grab via Netflix.

Molto probabilmente, se siete appassionati di documentari storici, conoscerete il termine "effetto Ken Burns". Una particolare tecnica di zoom e movimento su immagini fisse—spesso vecchie fotografie o miniature—che serve a dare dinamicità al racconto, mentre gli eventi vengono ricostruiti. Ormai è una consuetudine in molti documentari, ma deve il nome al documentarista che l'ha utilizzata per primo, e resa suo simbolo distintivo.

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Burns non è famoso soltanto per questa trovata tecnica: negli anni ha realizzato alcune delle ricostruzioni storiche più accurate e apprezzate, ottenendo due nomination agli Oscar e vincendo due Emmy Award. Si è occupato, ad esempio, della Guerra Civile Americana, della Seconda Guerra Mondiale, dell'epoca del Proibizionismo, e della Guerra del Vietnam. Nel 2017, infatti, è uscito The Vietnam War, disponibile in italiano su Netflix dal settembre di quest'anno.

Ci sono voluti dieci anni per realizzarlo: Burns ha ricostruito meticolosamente non soltanto l'effettivo intervento armato americano dal 1962 al 1973, ma lo scenario completo. Dalla conquista coloniale francese in Indocina a metà dell'Ottocento, alla biografia di Ho Chi Minh, fino alle prime rivolte patriottiche nel Vietnam del Nord. E per farlo non ha interpellato esclusivamente storici e reduci americani, ma ha coinvolto in maniera attiva anche testimoni nordvietnamiti, viet-cong, e sudvietnamiti. Tutti i protagonisti del conflitto che ha immobilizzato il sud-est asiatico per quasi quarant'anni.

Personalmente di documentari sul Vietnam ne ho visti diversi. Compreso quello che, fino al lavoro di Burns, era considerato il più accurato, Vietnam in HD. Ognuno di questi, però, aveva una pecca sostanziale: l'intera narrazione era basata sulla ricostruzione delle fasi e delle battaglie cruciali dell'intervento americano—evidenziando, quando possibile, l'eroismo e le sofferenze dei soldati— ma non badando troppo alla controparte, e soprattutto non contestualizzando storicamente la portata del conflitto. Ci si concentrava soprattutto sul comunicare in modo più realistico possibile i famosi raid aerei col napalm, le missioni in elicottero, o le imboscate nella giungla che hanno reso celebri film come Apocalypse Now.

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Le dieci puntate di The Vietnam War, invece, oltre a assemblare gli eventi (tutti gli eventi) in modo perfetto, riescono a dare un respiro estremamente ampio al conflitto. Spiegano, in modo effettivo, perché la guerra del Vietnam è stata uno spartiacque storico fondamentale a metà del Novecento.

Per farlo Burns è riuscito a evitare l'ostacolo più grande quando si tenta di restituire contemporaneità a eventi avvenuti 50 anni fa: la pedanteria. Il suo documentario non è soltanto meticoloso ed esatto—è coinvolgente, e strutturato narrativamente in modo sapiente. Ci sono ricostruzioni militari e politiche; ma anche storie personali che si intrecciano con eventi e indiscrezioni storiche mai viste in un documentario sulla Guerra del Vietnam. Come ad esempio il fatto che a metà degli anni Quaranta Ho Chi Minh scrivesse lettere accorate al presidente Truman perché convinto che gli americani lo avrebbero aiutato a liberarsi del colonialismo francese, o che già pochi anni dopo l'inizio del conflitto il governo americano sapesse con statistica certezza che non sarebbe riuscito a vincere in Vietnam, continuando comunque a stanziare truppe per un decennio.

Burns riesce a comunicare fattori storici molto difficili da comprendere oggi tramite la narrazione. Demanda, ad esempio, alla famiglia di un giovane soldato morto in Vietnam (e alle barbarie perpetrate dai soldati per riuscire a vincere) il compito di trasmettere uno degli aspetti più alieni di quel conflitto: il desiderio cocente, di una parte della gioventù americana di inizio anni Sessanta, di andare a morire in un minuscolo paese asiatico per difendere un ideale che non avevano forse nemmeno compreso fino in fondo. Il senso quasi psicotico di aut aut che la Guerra Fredda aveva instillato nei sistemi nervosi di un'intera generazione.

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Il documentario, insomma, dilata diversi punti ciechi della questione. La fine del colonialismo europeo, l'ascesa del comunismo in Asia, i conflitti religiosi fra cattolici e buddisti, fra nazionalisti e comunisti, il dominio grottesco e familiare del regime Diem nel Vietnam del sud—con la cognata del premier, Madame Nhu, così terrificante e spietata che sembra uscita da un film. E lo fa con onestà, e senza retorica: raccontando, ad esempio, le atrocità perpetrate dall'unità Tiger Force, che uccise centinaia di civili innocenti. Ma le circa 18 ore che servono per terminarlo non sono mai noiose.

Come dicevo, comunque, il motivo per cui vale la pena guardare questo documentario non sta tanto nel fatto che è realizzato bene, o meglio rispetto ai precedenti. The Vietnam War riesce a dare una contemporaneità a un evento storico di cui abbiamo sentito continuamente parlare, anche qui senza comprenderne fino in fondo la portata.

Fin dall'inizio—tramite un gioco di riprese in backwards—comunica quanto la guerra del Vietnam sia stato un punto di non-ritorno per gli Stati Uniti e il blocco occidentale. La fine dell'ideale quasi bucolico e salvifico che il mondo aveva degli americani—i colonizzati che per primi si erano ribellati ai colonizzatori, e che ora con la loro potenza combattevano tutte le ingiustizie del mondo; la fine della fiducia ottusa che molti giovani americani nutrivano verso il proprio governo e paese (non è un caso che la generazione rimasta invischiata pienamente nel Vietnam sia stata la stessa a dar vita alle rivolte giovanili in Occidente); la portata epocale del ruolo della televisione nel mutare la percezione degli spettatori riguardo agli eventi; il ridimensionamento di leader carismatici e puri come Kennedy. E di contraltare: il sacrificio disumano che il socialismo novecentesco chiedeva ai suoi accoliti, e il fervore cieco e disperato verso cui ti spingeva.

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