Mudimbi contro la presa male

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Musica

Mudimbi contro la presa male

Se fai il rapper devi davvero trasferirti in una grande città, prenderti sul serio e ragionare sulla direzione che vuoi prendere? Mudimbi dice di no.

Se vivete a Milano e avete fatto una passeggiata in zona Navigli negli ultimi mesi, probabilmente vi sarete imbattuti in un adesivo che sembrava essere stato appiccicato un po' in ogni dove: su muri, ringhiere, pali della luce. Sopra c'era la faccia sorridente di un bambino dai capelli ricci. Dopo qualche settimana dalla loro prima apparizione, in redazione è arrivato un disco con quella foto come copertina. Era Michel, il primo album di Mudimbi, quel tizio che tre anni fa aveva fatto un EP super divertente ed era finito nel giro di Radio Deejay per "Supercalifrigida", un pezzo che ancora oggi dice molto del suo approccio alla materia musicale. Mudimbi prende le parole e ci fa delle strofe tutte occhi strizzati e sorrisetti, declamate con una modalità imperturbabile. Che parli di quanto tutti siano convinti che il mondo fa schifo o di sbandate da spiaggia, lui resta impassibile—senza però perdere in genuinità—e scoppia in ritornelli un po' cantati un po' no, un po' seri e un po' gag. Dall'uscita di Michel sono ormai passati diversi mesi. Quando mi hanno detto che avrei fatto questa intervista, quindi, ho deciso che non gli avrei parlato dei pezzi che spiega e descrive da mesi, della foto che ha scelto per la copertina o del suo rapporto con Maicol&Mirco, che hanno curato il bel libretto dell'album. Quindi ho cominciato dall'ultima volta che lo avevo visto esibirsi, cioè al Red Bull Culture Clash di Milano come parte della crew Milano Palm Beat, capitanata da Populous. Partendo da lì siamo finiti a parlare di come non prendersi sul serio, approcciarsi casualmente alla materia-musica e costruirsi un mondo sicuro—fisico e mentale—nella sua San Benedetto del Tronto gli permettano di sentirsi a posto con sé stesso e continuare a fuggire dall'omologazione.

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Noisey: Ora che è passato qualche tempo dal Culture Clash, che cosa ti è rimasto di quell'esperienza? Ne hai tratto qualcosa, a livello umano e artistico?
Mudimbi: A livello personale mi sono veramente divertito come un deficiente, e tuttora quando ci ripenso non faccio che sorridere. Mi sono poi rivisto con Slait e Salmo, che hanno suonato dalle mie parti, e con Slait abbiamo parlato solo del Clash. Eravamo ancora sul pezzo: tipo, mi ha raccontato dei dubplate che non erano riusciti a mettere e metteranno la prossima volta. L'impressione che ho avuto è stata quella di un parco giochi per tutti quelli che c'erano dentro. Non so se tutti si sono divertiti quanto me, ma io sono davvero entusiasta. Prima del Clash ho intervistato Populous e abbiamo parlato dell'impronta che voleva dare a Milano Palm Beat. Puntava, a quanto mi diceva, a prendere con sé persone capaci di non prendersi sul serio.
Credo di essere il paladino del non prendersi sul serio, guarda il video di "Empatia"! A prescindere da quello che ti ha detto Populous e quello che ha poi detto a noi, io già credevo che il nostro unico reale punto di forza fosse la nostra voglia di far divertire la gente, non far vedere quanto eravamo fighi o bravi. Tutti, nella crew, sono abituati a far ballare. Nessuno a parte me è abituato a fare un live e quindi a mostrare qualcosa, ma semplicemente a intrattenere le persone con la musica. Credo che non prendersi sul serio sia la chiave di lettura, perlomeno, per quello che è il mio mondo e come lo vivo. Mi rendo conto quando le cose sono più o meno serie—o seriose, che è ancora peggio. Però cerco di condire tutto con una bella dose d'ironia. Perché se una cosa te la vivi con leggerezza e riesci a non farla pesare troppo riesci anche a capirla meglio, a viverla meglio quando è possibile viverla, o a fartela scivolare addosso quando non è possibile.

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Questa spensieratezza che ti contraddistingue dove trova le sue radici? È una sensibilità che hai avuto fin dai tuoi inizi o ci sei arrivato col tempo?
Partendo proprio dagli albori devo dirti di no, perché come tutti i ragazzini quando parti col rap sei fottutamente incazzato con chiunque e ti vivi male qualsiasi cosa: anche la musica. C'è quest'idea che preso male è bello. Però crescendo la cosa mi ha iniziato un po' a pesare quando mi sono ritrovato poi a fare i miei primi video, che già comunque nel rap avevo iniziato con l'ironia, con gli sfottò, basandomi sul far ridere o sorridere gli altri piuttosto che semplicemente sul fargli battere le mani perché guarda quanto sono bravo. Ho fatto uscire proprio l'Eddie Murphy che è in me. Io faccio quello che mi piacerebbe vedere e ascoltare. A chiunque piace divertirsi! Se devo stare lì ad ascoltare un pezzo o guardare un video, o uno sketch, qualsiasi parte dell'immaginario, preferisco che intrattenga con un sorriso di fondo piuttosto che una presa a male. Poi ci può essere un messaggio, una riflessione—sono cose più intime. Io, intanto, punto sulla simpatia e la demenza. C'è stato qualche momento specifico in cui ti sei detto, "Ah cazzo, si possono fare anche così le cose!"?
Non voglio peccare di superbia, perché sicuramente non l'ho inventato io, ma ci sono arrivato da solo. È stato un mio processo che è cominciato dall'eccesso di presa male forzata ed è proseguito tramite l'osservazione. Sono un grande osservatore, e guardandomi intorno e vedendo che tutti sono allineati sulla presa a male, c'è sempre un motivo per lamentarsi, mi è risultato talmente pesante, è un pensiero talmente diffuso che forse la gente non si è mai davvero fermata a chiedersi come sta. Ma dato che l'aria si respira è di malumore, allora anch'io sto male. Da lì ho ragionato e ragionato: sono uno che parla molto con sé stesso, dentro alla propria testa, e ho scelto di fare mia questa maniera. Voglio dire, una volta ho fatto un discorso con un amico che stava passando un brutto periodo, e gli ho detto: "Ci sono due possibilità, una negativa e una positiva. A livello mentale ci possiamo direzionare da una parte o dall'altra. Perché devi spendere tutte le tue energie per direzionarti verso quella negativa? Tanto devi spenderle lo stesso." In quest'ultimo anno, più o meno, ho sentito il bisogno di cominciare a pensare in questi termini riguardo al mondo e alle news. In mezzo alle elezioni andate male, agli attentati e al terrore mediatico mi sono dovuto staccare dal flusso per non impazzire. È una cosa che hai percepito anche tu?
Ti stupirò, ma forse nemmeno tanto: non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo nel mondo. Non ho televisore, non leggo giornali, non ascolto radio o telegiornali. Vivo come un monaco tibetano, le poche cose che so me le dice Internet quando ci incappo per sbaglio, oppure mia madre che ogni volta me rompe li cojoni, "tu non sai mai niente, qua sta a finì il mondo…" Questo apparente disinteresse però ha la stessa chiave di lettura di quello che mi hai appena detto. Il mondo stava e sta andando verso una direzione specifica, e lo so perché l'aria la respiro anch'io. Questo è il mio modo di non farmi influenzare, perché sennò rischierei di caderci anche io. Così mi esorcizzo e mi chiamo fuori: facendo musica come la faccio e non prestando troppa attenzione alle cattive notizie che arrivano ogni giorno. E poi non ho Facebook! Ho dei profili fake per gestire la pagina, ma senza amici. Quando apro FB per andare sulla pagina la mia bacheca è bianca. Altrimenti, anche se non vuoi buttarci un occhio, le cose ti arrivano. Quando hai fatto della musica, quanto ci metti a distaccarti dal prodotto e cominciare a capire che cosa ti ha lasciato? È passato abbastanza tempo perché tu possa parlare di Michel come un disco che ti ha insegnato qualcosa?
Michel ovviamente per me finisce molto prima che per voi. Ora che l'ho finito di scrivere, sono andato in studio, l'ho registrato, l'ho cantato diciotto milioni di volte, è uscito e ho preparato il live, per me è roba vecchia. Però non credo che possa già tirare le somme, dovranno passare un po' di anni probabilmente. È una cosa ancora viva, pulsante: lo sto ancora vivendo, ne sto ancora raccogliendo i frutti e ce ne saranno ancora un bel po' da raccogliere.

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Tu vivi ancora a San Benedetto del Tronto, dove sei cresciuto. Perché?
Sono rimasto qua per due motivi, in realtà. Uno, perché non mi stancherò mai di sentirmi chiedere perché ci sono rimasto! E due, perché fondamentalmente non sento il bisogno di spostarmi. Non voglio essere costretto, soprattutto, a farlo. In realtà la vera domanda non è "Perché sei ancora a San Benedetto?" ma "Perché non ti sei ancora trasferito a Milano?" Se facessi cinema, tutti mi chiederebbero "Perché non ti sei ancora trasferito a Roma?" Dato che in Italia abbiamo solamente un bivio. È che non mi piace l'idea di dover fare qualcosa per forza. Ho lottato per costruirmi quello che sto continuando a costruire qui dove sono, in provincia. Non che voglia essere profeta in patria, però: qui a San Benedetto ci voglio morire, ma non ci voglio passare tutta la vita senza vedere o vivere in altri posti—ma che scelgo io, non l'Italia o la società. Qua ho il mio ritmo, è un paese di mare. È dove sono nato e dove sono cresciuto, è il mio habitat naturale. Il meglio di me, per ora, lo do qui. È una città che vivo come se la vivrebbe un padre di famiglia. Ho le mie cose da fare, le mie persone, i miei giri. E nessuno ha a che fare con la scena rap e hip-hop, tra l'altro.

Scegliere di restare lì è anche un gesto anti-omologazione. Perché in un certo senso abbandonare la provincia per andare nella grande città può implicare anche un adeguamento a certe regole sociali, culturali, stilistiche.
È un altro dei motivi per cui Mudimbi non vive ancora a Milano. Gente che vive lì e fa musica mi ha caldamente sconsigliato di passare al lato milanese della forza. È vero che arrivando nella grande città hai molti più stimoli, anche solo nel momento in cui ti confronti con altre persone che fanno rap, hip-hop o trap. Quando batti sempre in quel punto, qualcosa lo tiri fuori. Però è anche vero che stai battendo sempre lì, e alla fine ti appiattisci. Certo, non è vero che il posto, il genere, le persone che frequenti definiscono al 100% quello che fai. Comunque l'ultima parola spetta sempre a te e alla tua forza di volontà. Poi qualcuno potrebbe benissimo dire, "A San Benedetto stimoli non ne hai a parte nuotare nel mare, il pesce e i pescatori, quindi de che stiamo a parlà?" Ovviamente le cose te le devi andare a cercare, te le devi scegliere. Fortunatamente siamo nell'era di Internet, quindi secondo me le possibilità ora sono veramente infinite. Ma è assolutamente vero quello che hai detto: io cerco sempre stimoli, soffro la noia in tutto e per tutto—nella vita, negli affetti, nella musica e nel lavoro. Ho bisogno continuo di stimoli. I generi che scelgo, e quelli che ho scelto per Michel, mi piacciono tutti. Non li scelgo perché funzionano con me. Faccio rap, e il rap si può fare su qualsiasi cosa. Devi solo parlare in rima e una volta che hai imparato quello lo puoi fare anche sulla mazurka. E non escludo che un giorno farò un pezzo sulla mazurka! Questa noia mi ha portato e mi porterà sempre a sperimentare, a provare cose nuove, e quindi a conoscere persone nuove che fanno musica totalmente diversa dalla mia, che magari fanno veramente musica, con gli strumenti—cosa che mi è capitata per quest'album e mi sta aprendo tuttora un nuovo mondo. In che senso avere dei ragazzi che suonano strumenti ti sta aprendo un nuovo mondo?
La prima cosa che mi ha veramente fatto strano, nel momento in cui mi sono interfacciato con dei musicisti veri—che nell'album sono Jeeba & Zaghi, attualmente nella band di Nina Zilli ed ex Reggae National Tickets—la cosa che mi ha fatto veramente specie è stato il modo totalmente diverso nel quale vediamo la musica. Io la vedo solo ed esclusivamente con le orecchie, non ci capisco un'acca. Non so nemmeno leggere uno spartito, forse ci riuscivo quando suonavo il flauto alle medie. Loro, ascoltando quello che gli avevo portato, hanno preso le mie canzoni e le hanno scomposte. Ho scoperto che canto in minore grazie a loro, ad esempio, e non avevo la minima idea di cosa volesse dire "minore"! All'inizio c'è stato un bel po' di attrito, e ho dovuto mettere in mezzo una sorta di interprete a cui io spiegavo le cose in modo maccheronico, e lui tipo Google Translate le riferiva a loro! Sembra una cazzata ma è vero. Ci sono tanti piccoli trick che magari io faccio a orecchio che loro invece fanno con cognizione di causa. Io faccio migliaia di tentativi da autodidatta, loro riescono a prevedere tutto e agire in modo ragionato. E se imparo a interfacciarmi e comunicare con loro ho una skill in più da giocare con la mia squadra di collaboratori, musicisti e amici.

Quando ti intervistammo nel 2014, per l'uscita di M, dicesti che la direzione che volevi seguire era "random". In che senso la casualità fa parte di ciò che fai? Lo è come lo era tre anni fa o è cambiato qualcosa?
Adesso lo è più di tre anni fa! Per il semplice fatto che ho conosciuto molta più gente, molta più musica e molti più modi di farla. Lo spettro del mio random si è quindi ampliato ulteriormente. Se ti facessi sentire i provini che mi stanno mandando, le basi che sto chiedendo per le varie collaborazioni e anche in vista del prossimo album, ti troveresti di fronte cose a caso! C'è veramente di tutto, ma io lavoro così. Non avendo reale cognizione di causa, io non posso sapere come andrà finché non ci metto la mia voce sopra. Quindi qualsiasi genere tu faccia, io sarò sempre il primo a chiederti: "Proviamo?" Poi, male che vada, abbiamo stretto un'amicizia, o uscirà qualcosa di figo in futuro quando capiremo come interfacciarci l'uno con l'altro. Però io sono veramente aperto, aperto, aperto, perché mi rendo conto che tante volte sono successe cose che io stesso non mi aspettavo. Non mi aspettavo di iniziare a cantare, per esempio: il ritornello di "Empatia", con quegli "oooh…" mi sarei tirato una scarpa in faccia se qualcuno me l'avesse detto tre anni fa. E invece è successo e ne sono felicissimo, e sono ancora più felice quando ai live vedo gente che lo canta, quel ritornello, invece di tirarmi una scarpata! Non mi aspettavo che mi avresti detto di essere già al lavoro sul nuovo album. In fondo per fare Michel ci hai messo un bel po'.
Sì! Però considera che quasi la metà delle canzoni di Michel erano comunque già scritte da otto, cinque, quattro, tre, due anni. Metà della roba l'ho dovuta solo recuperare, spolverare e allungare. Stavolta credo—ma non ne sono sicuro—di dover fare tutto ex novo. Dover-barra-voler. Sono uno che, quando può, si porta avanti col lavoro. Non che preveda di scrivere l'album entro la fine dell'estate, però intanto mi guardo intorno! Devo sempre tenere il macchinario in rodaggio. Non vorrei che la ruggine si impossessasse della mia penna! Sul tuo profilo Spotify c'è una serie di playlist che hai chiamato CONSIGLIMBI. È una bella finestra, credo, dentro quello che ti passa in testa. Vedo Aesop Rock, James Blake, i Mount Kimbie, Tyler the Creator, Son Lux, i PNL. Tanta roba da tanti background diversi.
Adesso CONSIGLIMBI è fermo da un po' ma tornerà, in un formato diverso e più fruibile. Ci tengo a tenere spalancata questa finestra, in generale mi piace far vedere il più possibile di me come Michel piuttosto che come Mudimbi. Guarda, da lì vedi chiaramente perché nel mio album faccio musica apparentemente a caso. Le mie influenze arrivano da qualsiasi luogo, come puoi vedere. Mi piace farlo percepire, questo, alla gente. A volte uno potrebbe anche chiedersi, "Sì, ma questo qua che fa? Dove vuole andare a parare? Perché fa quello che fa?" Lì c'è una piccola percentuale della risposta totale. Poi c'è un dare-avere, perché ogni settimana postando il consiglio chiedevo al pubblico di consigliarmi a loro volta qualcosa. Mi sono arrivate certe chicche che scansati! E mi sono reso conto che il mio pubblico non è quello del rap e dell'hip-hop. Ascolta indie, ascolta metal, ascolta qualsiasi cosa ma non molto rap. Con un sorriso da orecchio a orecchio, ho capito che hanno un bel background musicale. Che ascoltano robe che non c'entrano niente con Mudimbi. Pochissimi mi hanno consigliato rapper, italiani o meno. Per me è stata una bella soddisfazione rendermi conto di avere un pubblico che fa ricerca musicale, niente di basico che trovi aprendo la prima playlist. È frutto di ricerca, di passaparola. È così che la musica dovrebbe continuare a muoversi, secondo me. Segui Noisey su Twitter e Facebook.