Allora, com'è il nuovo album degli xx?

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Allora, com'è il nuovo album degli xx?

I See You è l'album in cui gli xx si aprono al mondo dopo essersi chiusi a riccio con Coexist, ma ci sono diversi punti che lasciano un po' perplessi.

"Replica", quello che è forse il pezzo migliore di I See You, il nuovo album degli xx, è stato scritto dal loro cantante e bassista Oliver Sim. È un pezzo autobiografico che gira attorno al suo rapporto con l'alcool. E questo lo sappiamo perché il gruppo, assieme al loro manager Rodaidh McDonald, lo ha raccontato in un'intervista a Laura Snapes di Pitchfork. McDonald, in particolare, va sul pesante quando parla di un suo viaggio con il gruppo a Los Angeles durante le registrazioni del disco: "Forse in alcuni momenti ci siamo spinti troppo in là […] Ci sono stati dei litigi, siamo arrivati al punto in cui abbiamo dovuto fare un passo indietro e ricordarci che stavamo lavorando a un album." "I tuoi errori erano solo una reazione chimica", dice il ritornello di "Replica", auto-giustificando gli errori del suo autore. Sim si è reso conto, dice, di aver reso i festeggiamenti per quello che andava bene nella sua vita una scusa per non smettere di bere. Per farlo uscire dal circolo ci sono quindi voluti gli interventi dei suoi compagni di band e di vita━letteralmente, dato che Romy era sua amica già ai tempi dell'asilo, e Jamie dalle medie. Dal pezzo della Snapes vengono fuori diversi spunti che possono servire da aiuto per entrare nello spazio mentale che I See You occupa e, forse, ad apprezzarlo maggiormente. Per esempio: "Brave for You", scritta dalla Madley-Croft, è una canzone che parla dei suoi genitori scomparsi. È un pezzo lento, quasi privo di percussioni se non per un paio di break tribali che sembrano una liberazione dal peso delle parole che li precedono: "E quando ho paura, immagino che siate qua / A dirmi di essere coraggiosa / E allora lo sarò per voi / Salirò su un palco per voi".

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Fotografia di Alasdair McLellan

Le prime volte che ho sentito "Brave for You" non sono rimasto particolarmente colpito, dato che senza contesto mi sembrava solo un pezzo d'amore mezzo loffio. E il me che si era preso bene con i primi xx è cresciuto; e quindi si fa passare dentro e addosso le cose in un altro modo, e quindi si prende davvero bene per una modalità diversa di esprimere i propri sentimenti. Insomma, si invecchia e si cambia.Posso ascoltare tranquillamente "VCR" anche oggi, ma non è che mentre lo faccio mi sogno mentre guardo videocassette con la mia bella condividendo con lei momenti di fragile intimità come magari potevo fare un tempo. E invece, sapere da dove provenivano i pezzi di I See You me li ha fatti rivalutare—non dico adorare, ma apprezzare un po' di più sicuramente sì. Il che mi ha fatto pensare al modo in cui percepiamo i testi, ai brividi o alle bestemmie che ci scatenano dentro in base a quanto ci rivediamo in loro. Più un testo racconta qualcosa di definito, minori sono le probabilità che l'ascoltatore possa leggercisi dentro: e allora la genericità diventa una delle chiavi con cui si possono aprire i pesanti cancelli del successo. Perché se nessuno mi avesse detto che "Replica" e "Brave for You" parlavano di alcool e persone morte, avrei tranquillamente potuto pensare che parlassero di cuoricini spezzati: e invece ho letto il pezzo della Snapes.

Andando più nel dettaglio: le parole degli xx si rivolgono quasi sempre a un generico "you", che l'ascoltatore è liberissimo di collegare a un "tu" o a un "voi", a un singolare o a un plurale, a un maschile o a un femminile (dato che sono pochi gli "him" or "her" che ci possono dare una mano a inquadrare il soggetto originale). Nella loro scrittura non ci sono davvero luoghi, nomi o riferimenti temporali: vengono evocati, ogni tanto, lasciando le luci dei riflettori a emozioni pure e modellabili, né disperate né esaltate—perfettamente a metà tra due estremi, e quindi facilmente digeribili da un pubblico differenziato.

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L'altra chiave che ha portato gli xx a un così grande successo è stata, semplicemente, il loro suono. Gli xx non toccano le cose (le corde dei loro strumenti, le vicissitudini da cui nascono i loro testi): le sfiorano. Le loro canzoni sono prive di qualsiasi elemento disturbatore, forti di una modalità pesantemente melodica e discreta. Morale: i nostri tre inglesini, che nel 2009 sembravano una versione figa ma un po' decontestualizzata dei goth di South Park, oggi sono diventati superstar che suonano a Saturday Night Live e riempiono i palazzetti (grazie a Consequence of Sound per la similitudine).  Il successo della formula sonora alla base del loro album di debutto è stato tale che è diventato uno standard a cui molti hanno provato a rifarsi per sfondare. Pitchfork ha recentemente giocato a costruire una mini-lista di artisti che hanno preso pesantemente in prestito i motivi caratteristici degli xx in cerca di bissare il loro successo, dai London Grammar al Bonobo di The North Borders, passando per i Chainsmokers fino ad arrivare alla pubblicità di Hugo Boss che copiò "Intro" per non pagare i diritti. Il che dimostra quanto le linee melodiche di Sim e della Madley-Croft, così come i beat pulsanti di Smith, abbiano ugualmente permeato mainstream e mondo alternativo—diventando al contempo ulteriore argomento per dichiarare la fine del loro status di compartimenti stagni difficilmente penetrabili.

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Fotografia di Laura Coulson

Gli xx scrissero il loro secondo album, Coexist, in un'atmosfera opprimente. Un po' in paranoia per il successo improvviso che gli era caduto addosso, avevano messo su uno studio a Londra nord e ci si erano chiusi per mesi senza far sentire nulla a nessuno. Avere buttato fuori inconsapevolmente un classico contemporaneo e doverne scrivere un seguito non è affatto un compito facile—soprattutto se non sei all'interno di un oliato meccanismo di produzione e promozione. E gli xx, tra il 2011 e il 2012, non lo erano ancora nonostante riuscissero tranquillamente a mandare sold out le sale da concerto più grandi di mezzo mondo. Almeno, non lo erano a livello mentale: e quindi, invece di fare un album che suonasse "grande", adatto per le arene e i palazzetti in cui ora suonano, se ne uscirono con un album fatto di vasti spazi e minimalismo intransigente. Si arricciarono su loro stessi al posto di aprirsi al mondo. "Angels", il primo singolo tratto da Coexist, è tuttora il miglior testimone dello spazio mentale che il gruppo occupava in quel periodo: un Jamie xx quasi inesistente, se non per brevi crescendo di tamburi e piatti; un arpeggio semplicissimo, basato su coppie di note; la voce di Romy a intonare di un amore percepito come qualcosa di enorme. E basta.

Se xx era stato un esordio cristallino, Coexist era la sua controparte conflittuale, ammutolita e bloccata come un cervo inchiodato sull'asfalto dalle luci di una macchina apparsa dietro una curva. La parte più adrenalinica dell'evoluzione dei tre, quando faceva capolino, stava nella nuova confidenza che Jamie stava sviluppando grazie ai suoi DJ set solisti (vedi la seconda metà di "Shelter", o "Swept Away"). Allontanandosi da una concezione di percussioni "da band", ordinata e tradizionale, Smith stava iniziando a far entrare il club e le sue logiche nelle ritmiche del gruppo—e grazie all'effettiva qualità e varietà del suo esordio solista, In Colour, sembrava proprio che il terzo album degli xx si sarebbe affidato come mai prima alle sue abilità produttive.  Quando inizi ad ascoltare I See You la centralità di Jamie sembra effettivamente evidente. Il primo brano, "Dangerous", è probabilmente il pezzo più preso bene e ballabile mai scritto dal gruppo. Inizia con delle sirene squillanti, una sorta di fanfara smorzata che lascia subito spazio a un beat in quattro perfetto per il defunto Plastic People. Da "Say Something Loving" in poi, però, tutto torna in territori più confortevoli: l'elettronica di Smith continua a essere protagonista, ma si presta più a riempire i buchi sonori che Coexist aveva lasciato vuoti piuttosto che a reinventare il suono della band, se non per un uso più ampio che in passato dei sample—cosa che i tre hanno voluto mettere bene in chiaro rilasciando come primo singolo "On Hold", un pezzo che mi è parso un po' dozzinale, giocato interamente sul campionamento accelerato di "I Can't Go for That (No Can Do)" di Hall & Oates—epico duo pop-rock ottantiano. È come se gli xx, campioni di intimismo e fragilità, avessero voluto dire "Non siamo più solo presi male, ci sappiamo anche divertire, balliamo", risultando però un po' impettiti e maldestri.

Fotografia di James Medina

I See You è un album perfetto per dare agli xx un'ulteriore spinta verso il mondo glitterato degli headliner veramente grossi: allarga la loro palette sonora, rendendola di più facile digeribilità grazie a toni solari mutuati dal lavoro solista di Jamie ("I Dare You", "Dangerous" e la suddetta "On Hold"), e al contempo continua a snocciolare cartoline emotive in cui è facile leggere sentimentalismi adatti alla ricondivisione ("Replica", "A Violent Noise", "Say Something Loving"). È sicuramente un album più accessibile di Coexist, che accetta la definitiva scomparsa di un mondo da cameretta a livello sonoro—mantenendo però la stessa modalità espressiva a livello testuale.  Non so se consigliarvi davvero l'ascolto di I See You: se anni fa le voci incrociate di Sim e della Madley-Croft vi facevano venire i brividi lungo la schiena e ve le canticchiavate in testa immaginandovi amori clamorosi, allora questo potrebbe diventare il vostro album preferito degli xx. In un certo senso, sintetizza le tensioni elettroniche di Jamie nella formula base del suo gruppo, abbracciando il pop il più possibile inserendo comunque nell'insieme qualche pezzo fedele alla linea. Se però il vostro modo di rapportarvi alla vita sentimentale si è fatto diverso—meno impetuoso, più ragionato—allora il rischio è quello di percepire i nuovi confessionali di Sim e della Madley-Croft come paturnie tardo-adolescenziali. Questo, a meno che vi vada di indagare nelle ragioni più profonde dietro alle loro parole. Elia è su Twitter: elia_alovisi
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