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A8N8: Sei del deserto e non lo sai

Violenza folgorante

Real Deal è il fumetto più bello e cruento mai disegnato.

Immagini d’archivio per gentile concessione di Laurence Hubbard

Herald Porter McElwee, lo scomparso scrittore di Real Deal, che tiene in mano una pistola, e più in basso Lawrence Hubbard, l’illustratore e co-fondatore della rivista.

I lettori di Real Deal parlano della scoperta di questo fumetto come di una rivelazione. Molto probabilmente è riuscito a lasciare il segno grazie alle scene di violenza gratuita perpetrata solo da personaggi di colore. Dal 1989 al 2001 ne sono usciti solo sei numeri, ma sono stati sufficienti per far breccia nel cuore di una nicchia di artisti e di pubblico che preferisce la violenza impunita al ciarpame e ai supereroi.

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Sotto le storie di “terrore urbano” portate all’estremo di Real Deal c’è un nervo scoperto. In un certo senso, la violenza apparentemente esagerata dei fumetti getta uno sguardo sulla mentalità illogica del ghetto e la follia che ne consegue: un mondo i cui abitanti non fanno altro che danneggiarsi a vicenda—il che, a pensarci bene, assomiglia molto a quel postaccio chiamato realtà.

I creatori di Real Deal, l’illustratore Lawrence Hubbard e lo scrittore Herald Porter McElwee (H.P.), divennero amici perché condividevano la frustrazione di essere afroamericani a Los Angeles negli anni Ottanta, quando i pestaggi in stile Rodney King erano all’ordine del giorno. Si incontrarono nel 1979 mentre lavoravano come magazzinieri nelle viscere della California Federal Bank. Presto si trovarono a commiserarsi per le proprie condizioni: le scarse prospettive lavorative, i poliziotti e soprattutto le loro vite da bastardi dopo che i padri avevano abbandonato le famiglie.

“Era quello il nostro legame,” dice Lawrence. “Parlavamo di quanto ci sarebbe piaciuto avere un padre a casa. Condividevamo quel sentimento, quella rabbia. È come andare in guerra. Non sai com’è se non l’hai provato.” Nel 1985 erano ancora sfruttati dalla Federal Bank, ma trovarono un nuovo modo per sfogare la rabbia. Come molte idee valide, Real Deal è nato da uno scarabocchio su un pezzo di carta durante una pausa dal loro lavoro di merda.

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“Un giorno vado giù per pranzare e vedo H.P. che fa disegni stilizzati,” dice Lawrence. “Aveva pensato questa storia in cui c’era un tipo che vendeva arance in mezzo alla strada e quest’altro tipo chiamato G.C. che stava guidando sulla stessa strada. G.C. investe in pieno il tipo in mezzo alla strada. Poi la madre di G.C. gli dice ‘G.C., di sicuro l’hai fatto fuori.’ Lui si gira e le risponde, ‘Potrei far fuori anche te, stronza, se fai cazzate.’”

Lawrence è scoppiato a ridere quando me lo ha descritto, e sicuramente lo ha fatto anche la prima volta che ha letto la storia di H.P.. Da allora ha preso gli schizzi di H.P. e li ha trasformati in fumetti in piena regola, dando forma allo stile di Real Deal, con i suoi tratti spessi e le angolature che ricordano Raymond Pettibon e Gary Panter, anche se allora Lawrence non conosceva il loro lavoro. Iniziò a disegnare quando aveva tre anni, come modo per tenersi impegnato, visto che era il bambino più povero di Mid-City, il quartiere in cui viveva. Quando aveva dieci anni, suo padre abbandonò la famiglia. Sua madre non poteva permettersi molto, quindi Lawrence si arrangiava con matite rotte e carta straccia, e a volte tentava di riprodurre i disegni che vedeva nei libri delle Black Panthers dei primi anni Settanta.

Quando lavorava alla California Federal Bank aveva già abbandonato l’interesse per l’arte. Furono i personaggi stilizzati e spietati di H.P. a fargli tornare improvvisamente l’impulso di disegnare.
Da parte sua, anche H.P. era spinto da un bisogno altrettanto intenso di scrivere storie e fare scarabocchi assurdi di omicidi con G.C. come protagonista, e divenne ancora più prolifico quando capì che Lawrence poteva trasformarli in fumetti di forte impatto anche dal punto di vista tecnico. Provare a psicanalizzare gli artisti è sempre allettante, ma nel caso di H.P. è particolarmente facile collegare i suoi racconti di evasione alla realtà soffocante che viveva a casa.

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“La famiglia di Herald era decisamente anormale,” dice Kitme Hardin, uno scultore che vive a Los Angeles e che era amico di H.P. fin da quando aveva nove anni. “Aveva un fratello che entrava e usciva continuamente di prigione. Il padre era alcolizzato e l’ha abbandonato. E sua madre era stordita. Quindi Herald doveva fare l’uomo di casa… ma si sfogava attraverso i suoi racconti.”

Le copertine dei numeri 1,2 e 5 di Real Deal—tutte raffigurano il personaggio gangster G.C. mentre si mette in casini trucidi e divertenti.

L’antieroe G.C. era l’elemento cardine di tutti i personaggi creati da H.P. per l’universo di Real Deal, probabilmente perché nasceva da una rabbia oscura e vendicativa che H.P. tendeva a nascondere agli altri.

“G.C. era l’alter ego di Herald,” dice Lawrence. “Nella vita reale H.P. era un bravo ragazzo, ha sempre lavorato e si è occupato della sua famiglia. G.C. faceva quello che voleva e se ne fregava. Se voleva sparare a qualcuno, lo faceva e basta.”

In ogni caso, Real Deal non era solo la realizzazione dei sogni a ruota libera di un vigilante. Descriveva una realtà molto specifica, solo in una versione un po’ più malata. Alcune vicende di vita vissuta di Lawrence e Kitme furono indubbiamente la base per quello che si trova in Real Deal, solo che nel fumetto finiscono in laghi di sangue invece che diventare aneddoti divertenti per il futuro.

“I personaggi di Real Deal erano sempre arrabbiati, ed è così che erano anche molti uomini neri all’epoca,” dice Lawrence. “Non volevamo abbassare la testa e mandare giù altra merda. È questo che è successo durante la rivolta di Los Angeles.”

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All’inizio Herald e Lawrence cercarono di far pubblicare il fumetto attraverso i canali tradizionali, ma nessuno accettò. Purtroppo gli americani erano, e ancora sono, dei cagasotto che non vogliono vendere di fianco a Spider-Man e Archie un fumetto che parla di neri incazzati che prendono a schiaffi le donne e a calci i poliziotti. Perciò, Lawrence e H.P. fecero l’unica cosa ragionevole rimasta e pubblicarono da soli il primo numero nel 1989. Il fumetto oversize era venduto a due dollari, e la copertina raffigurava G.C. che rincorreva uno sfigato puntandogli la pistola addosso. Però, anche se ormai avevano tra le mani il volume stampato, i due incontrarono problemi nella distribuzione.

Ricordando i tempi in cui cercavano di convincere i negozi di fumetti del posto a tenerlo, Kitme racconta: “Alla base di molti rifiuti c’era una paura di tipo razziale. All’inizio, la gente mi lanciava in faccia questa roba. Come ogni grande idea, anche Real Deal era troppo avanti per i suoi tempi.”

Gli anni passavano, i numeri sopravvivevano, ma H.P. e Lawrence riuscivano a malapena a trovare i soldi per continuare a produrre il loro amato fumetto nel tempo libero. “Passavano uno o due anni tra un numero e l’altro perché avevamo pochi soldi e poco tempo,” racconta Lawrence. “Quando lavori poi non hai voglia di disegnare. Sei esausto. E autoprodursi non è conveniente. Avremmo potuto fare dieci numeri all’anno se non fosse stato per tutti i nostri problemi con i soldi.”

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Nonostante la distribuzione limitata e la discontinuità, Real Deal è considerato un prodotto intoccabile per molti autori di fumetti. Benjamin Marra, il creatore di Gangsta Rap Posse, ne parla con soggezione: “Mi sono sentito depresso quando ho avuto tra le mani questo fumetto, perché sapevo che non sarei mai riuscito a creare nulla del genere. È talmente incredibile che faccio fatica a guardarlo. È folgorante.”

Johnny Ryan, un fumettista che una volta scrisse su VICE la storia di un bidello che dava dello “sciroppo per cani” a un bambino per poi portarlo nel paradiso dei cani e farne il loro pranzo, ne ha dette di ancora più forti su Real Deal: “È come un unicorno. Era strano ai tempi vedere due disegnatori neri fare un fumetto alternativo non di supereroi—sarebbe strano ancora oggi. Avere quella voce era grandioso, e non ce n’è mai stata un’altra simile. È stato uno dei fumetti migliori degli anni Novanta.”

L’ultimo numero di Real Deal è uscito nel 2001, e la causa di questo ritardo decennale è tragica: nel 1998, a 43 anni, H.P. ha avuto un infarto mentre era alla guida della sua auto, ed è morto sul colpo. Ancora oggi, Lawrence è convinto che i problemi di salute di H.P. furono la conseguenza della sua particolare situazione familiare.

“Nel suo ultimo anno di vita, lo stress della famiglia lo aveva risucchiato,” dice Lawrence. “Iniziò a invecchiare, i capelli gli diventarono grigi. Ricordo che a un certo punto la famiglia voleva impegnare tutta la roba di H.P. per pagare la cauzione del fratello finito in carcere, anche se quello aveva fatto dentro e fuori dalla prigione fin dall’età di 14 anni. Cose del genere succedevano continuamente, ed era diventato troppo per lui.”

Il palpabile senso di rabbia e indignazione che permeava Real Deal non è affatto scomparso, e sembra piuttosto essersi esteso a tutte le razze e fedi che si sentono private dei propri diritti o tradite. Immaginate la gioia cruenta che Lawrence e H.P. avrebbero provato collocando G.C. e la sua cricca in una marcia per Occupy. Purtroppo, difficilmente il fumetto vedrà una nuova uscita. Oggi Lawrence ha 51 anni e lavora come guardia giurata a Los Angeles, senza una famiglia che possa sostenere i suoi sforzi creativi. Eppure continua a promettere il settimo numero, a me, ai fan, e a se stesso. Potrebbe ispirare un’intera generazione a ignorare correttezza politica e diplomazia e tirare in faccia ai poliziotti tazze di caffè bollente. Potrebbe essere ciò di cui abbiamo bisogno.