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Musica

Se guardi in faccia il dj non hai capito niente della musica dance

Perché siamo tutti ipnotizzati dalla consolle?
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L’anno scorso ho visto per la prima volta uno dei miei DJ preferiti. Siccome sono un megafan, appena si è presentato sulla scena ho incominciato a sgomitare per arrivare davanti alla console, battendo le mani. La musica spaccava, mi stavo divertendo, ma invece di ballare stavo passando tutto il tempo a preoccuparmi della gente che cercava di passarmi davanti e a stare in punta di piedi per vedere meglio. Dopo circa dieci minuti di questa solfa, un mio amico mi ha dato un colpetto sulla spalla e mi ha detto: “Magari dovresti girarti dall’altra parte.”

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Ci avevo pensato altre volte, e non sono nemmeno la prima persona a scrivere qualcosa al riguardo, ma per qualche motivo sono stato colpito davvero dall’assurdità della cosa solo quella notte. Avevo atteso tutto il giorno di poter ballare su certi pezzi e quando finalmente è stato possibile, sono stato completamente fermo. Avevo aspettato Natale tutto l’anno, e ora stavo facendo a botte con la mia famiglia per aver la miglior visuale dell’albero. E non sono solo, è un riflesso condizionato per molti di noi: guardiamo i nostri DJ preferiti senza muovere un muscolo, come se fossero animali esotici.

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Così ho iniziato a sperimentare. Mi costringevo a girarmi e guardare la persona con cui ero e la incoraggiavo a rivolgersi in una direzione qualunque. Volevo essere artefice del cambiamento, invece mi sentivo come uno che cerca di salire sull’autobus dall’uscita.

Questo strano modo di fare ha radici profonde che si possono ricondurre fino all’ascesa dei DJ superstar degli anni Novanta. Paul Oakenfold fu il primo DJ a suonare sul palco principale di Glastonbury nel 1995 davanti a una folla di 90 mila persone, e nessuno osa girare le spalle al Pyramid Stage. Nel 2002, la Big Beach Boutique di Fatboy Slim attirò 250 mila persone e oggi DJ come Calvin Harris e Kaskade fanno cifre da record al Coachella. L’evoluzione del DJ da manovratore occulto a centro dell’attenzione si è ormai completata anni fa.

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Questo però non vale solo per la EDM. La mentalità si è diffusa anche in raduni underground che si tende a considerare molto più genuini della roba da stadio in 4/4. Potremmo dare la colpa a Tiësto, ma alla Boiler Room capita lo stesso. Che sia una serata di lancio ai Corsica Studios o il palco principale di Creamfields, il pubblico è tutto rivolto nella stessa direzione come uno sciame di mosche narcolettiche attorno a un paralume. La musica da ballo si sta trasformando nella musica da stare fermi a fissare il DJ.

Ho chiesto ai miei colleghi di VICE cosa ne pensavano.

“È senza dubbio una cosa che succede. Ricordo che al Ramshackle di Bristol nessuno toglieva gli occhi di dosso al DJ, manco fosse Morrissey. Anche James Blake era tenuto d’occhio da tutti durante il suo DJ set. Io penso di farlo in automatico solo in caso si tratti di qualcuno famoso o particolarmente fico. Però è strano, a pensarci. Un po’ come per i mobili da salotto che vengono rivolti verso la TV, penso che la gente abbia bisogno di focalizzarsi su qualcosa, in particolare se si aspettano che l’intrattenimento venga dalla persona sul palco e non dall’atmosfera che la persona crea.” - Emma, Noisey.

Forse le nostre curve di attenzione richiedono un costante punto focale. Forse si può collegare alla nostra preoccupante incapacità di “fare niente”, perlomeno senza guardare il cellulare. Nell’ambiente della discoteca, siamo programmati per cercare quello che ci sembra il punto centrale della stanza, il portatore di significato, invece di permettere alla musica (un punto focale sensoriale più astratto) di possederci come un demone sexy.

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“Se sono in un club, mi piace guardare il DJ perché vuol dire che non sto guardando tutte le persone che ero, o che avrei voluto essere, o che ancora vorrei diventare, eccetera. Il DJ mi salva, è fermo, presente e irremovibile, non ti pesta i piedi, non ti rovescia il drink e non ti abbandona per andare a fumare o al bagno o per provarci con qualcuno. Il DJ non scappa via su un bus notturno lasciandoti solo a guardare il fondo di un bicchiere da pinta di plastica che non viene riempito da un’ora.” - Josh, THUMP.

Josh non è l’unico ad apprezzare questo stato di cose. Un altro amico mi ha raccontato della prima volta che ha visto Carl Craig. Nell’euforia data dall’arroganza mista a dolcezza della techno, si sentì trasportare verso la prima fila. Carl Craig era un idolo in cima al totem, che mandava in trance chiunque riuscisse a cogliere il suo sguardo.

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Questo fa emergere un elemento interessante. Se si va a vedere un artista come Jon Hopkins, per esempio, ha senso guardare in avanti, dato che il fuoco della serata sarà dato anche da una componente di espressione visuale, emozione viscerale e atmosfera intensa. La stessa cosa vale per la jungle o la garage, in cui l’MC ti dà un vero punto focale, un obiettivo verso cui puntare facendo gesti buffi con le mani. Senza dubbio, ci sono dei momenti in cui è logico formare un gruppo rivolto al DJ, ma questo non lo rende normale durante una serata di disco selvaggia o di house in una sala gigante.

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Concorderete con me che la miglior dimostrazione di rispetto che possiate fare a un DJ è ballare fino a che non vi si rompono le tibie, offrendo voi stessi in sacrificio per testimoniare quanto stanno spaccando. Dovremmo prendere esempio da James Murphy e il progetto Despacio di 2ManyDJs, che quasi rimangono nascosti dietro una scenografia creata apposta per creare un ambiente audio ottimale. I DJ stanno nascosti in un angolino male illuminato, mentre il resto della sala sembra esplodere in un trionfo di luce riflessa e corpi in movimento.

Eppure non ogni performer può permettersi di creare un muro di suono come quello di Despacio solo per impedirci di trasformarci in uno screensaver. Dobbiamo metterci in prima linea. La verità è che, la prossima volta che tu andrai a una serata, grande o piccola che sia, ti metterai in fila per entrare, prenderai da bere e starai fermo lì con i tuoi amici, a guardare istintivamente in avanti. Spezziamo la consuetudine; reclamiamo un principio chiave della cultura dei club; ritorniamo al tempo in cui la traccia era Dio e il DJ era il tramite.

Ballare non deve essere ridicolo o imbarazzante (a meno che, ovviamente, tu non sia uno di quei geni che si mettono a fare il verme e la spaccata, come un acrobata del circo). Facciamo due salti o, perlomeno, qualcosa di più vitale di mimare il gesto di togliersi della merda di cane dalle scarpe per tre ore. Non è per fare il nostalgico, ma un’occhiata a qualche video dell’epoca acid house, o di Studio 54, basterà a farti capire una semplice verità: non stiamo capendo. È giunto il momento di riconoscere questa epidemia, di accettare che siamo sfigati e scoordinati. Il DJ non sta lì per essere guardato. Sta lì per essere completamente dimenticato.

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