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Musica

El Mahdy Jr. usa il folk Turco e Algerino per fare musica unica al mondo

E il suo lavoro finisce per essere il migliore esempio di come si possa fare arte popolare in un mondo iper-connesso

L’intervista con El-Mahdy Rezoug era in programma già da un po’ di tempo, eppure il giorno, del nostro appuntamento, a ogni mia telefonata, la sola cosa che mi degnasse di una risposta era la sua segreteria telefonica. Decisi di riprovare. Andai avanti così per circa un’ora, finché non decisi di lasciar perdere. Ricevemmo le prime notizie da El-Mahdy via mail: si scusava perché il suo telefono era rimasto completamente senza batteria. In tutto ciò erano passate appena ventiquattr’ore dai terribili eventi che avevano colpito le miniere di Soma. Si trattava di una delle più gravi tragedie che la Turchia avesse mai conosciuto: quell’ “incidente sul lavoro” costò la vita a trecento persone.

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Il giorno del nostro appuntamento, Rezoug, appena uscito dal lavoro, si era mescolato agli imponenti cortei di protesta che avevano invaso tutta Istanbul. Non passò un attimo, che fu subito arrestato, e fu allora che anche il suo telefono collassò definitivamente. “Incredibile, non potevo nemmeno camminare per strada”. Nonostante l’orrore di quegli attimi, l’episodio racconta bene la condizione paradossale di questo ragazzo algerino, costretto tra i due poli (tanto imprescindibili, quanto soffocanti) di modernità e tradizione. "Ecco, sì, questo episodio racconta bene chi siamo." Ci sentimmo al telefono il giorno successivo e durante la nostra telefonata tutto mi sembrava normalissimo. La città era stata placata, era di nuovo tornata ai ritmi di tutti i giorni, con i bimbi che giocano, con i gabbiani che starnazzano e con il più classico dei traffici da grande metropoli.

L’identità-non-identità di Rezoug si manifestò molto presto, quando lasciò per la prima volta l’Algeria. Non era ancora ragazzo e da quel momento iniziò a vivere stretto tra due poli, due nazioni, due culture. Durò fino a quando non decise di fare l’università in Turchia. "Lì, il mio coinquilino aveva un computer con Fruity Loops, è così che ho iniziato a fare musica." Le radio, internet e incontri sempre nuovi lo fecero arrivare a tutto il resto, ma soprattutto lo portarono alla dubstep, alla jungle e a qualsiasi cosa in grado di soddisfare la sua sete inesauribile di musica. Da lì uscirono le prime composizioni. Ne usciva musica strana, esplosiva e strabica. Da una parte, c’era un universo fatto di suoni antichi–che abbracciavano al contempo la tradizione turca dell'Arabesque (un genere musicale che entrò in voga in Turchia dagli anni Settanta e che domina tutto il suo primo disco) e quella algerina dei Raï. Dall’altro, c’era il nuovo.

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L’album di debutto di Rezoug uscì con lo pseudonimo di El Mahdy Jr. Si intitolava The Spirit Of Fucked Up Places e comparse dal nulla per l’etichetta di Portland Boomarm Nation. Qualche mese dopo un’uscita così sbalorditiva, il nome di El Mahdy Jr. fece ritorno con una release dell’etichetta di Mala Deep Medi, per una collaborazione con il suo amicone Gantz, uno dei producer più famosi di Istanbul. Ora, nonostante si possa credere che questo ragazzino porti su di sé tutto il peso dell’hype (e delle frustrazioni post-colonialiste) dell’intero occidente, quello che esce dalla nostra chiacchierata non è un personaggio tutto preso dalla sua missione da artista ma l'esatto contrario. Dall’altra parte del telefono, ho conosciuto un uomo alla ricerca di nuove categorie per conoscere il modo, categorie artistiche, certo, ma che forse non hanno la pretesa di essere ascoltate o accettate da tutti.

“Non ho mai voluto fare un vero e proprio disco. Io mi limitavo a produrre qualche beat qua e là con i computer che mi prestavano gli amici. Poi archiviavo tutto e la cosa finiva lì”. Dopo aver lasciato la scuola, Rezoug si sposta di nuovo in Algeria e inizia a lavorare per un’impresa edile, dove finisce per incontrare un sacco di operai turchi. “Poi sono andato in Burkina Faso, e anche lì ho continuato a produrre i miei pezzi.” La musica di Rezoug nasce come una specie di registrazione in presa diretta del reale, come qualcosa che viene elaborato direttamente dall’esperienza di tutti i giorni. Ogni dettaglio, anche il più marginale, aveva per Rezoug un potenziale creativo enorme. “Questo è il tipo di materiale che cerco di manipolare con la mia musica” a cui si aggiunge un interesse archeologico e stilistico per la musica tradizionale.

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Come risolvere però la schizofrenia del tutto coestensiva al progetto di Rezoug? Come rimodulare le melodie devozionali nordafricane e mediorientali con le sonorità e i beat elettronici? Facile: mediando con campionamenti e trattamenti dub. Per Rezoug, la potenza del sample risiede nella capacità di cogliere l’essenza di qualcosa, nel saper “prelevare l’anima di un brano”, il dub, invece, arriva da lontano, dai dischi del padre, una delle prime cose che Rezoug ha ascoltato da bambino. Questa scoperta—di per sé “antica”—della musica giamaicana si manifesta nel disco attraverso la manipolazione dei sample e il lavoro sulle spazializazzioni del suono. “Il dub rappresenta il volto moderno della musica tradizionale. Ecco il senso di quello che faccio: le mie cose sono il dub del Nord Africa. La mia musica è la risposta a una domanda che potrebbe suonare così: come sarebbe il dub se fosse nato in Algeria, o in Medio Oriente?”

In Burkina Faso, Rezoug scopre il patrimonio musicale del Mali. Gli basta poi qualche ricerca su internet per finire sul blog di The Sahel Sounds, un’etichetta/collettivo che ha base a Portland e che poco tempo prima aveva organizzato una release congiunta con Boomarm. Non ci volle molto, bastarono un paio di mail ed ecco che Rezoug aveva trovato chi fosse disposto ad ascoltare le sue cose. “Non era la prima volta che parlavo con qualcuno della mia musica, ogni tanto ci provavo con i miei amici, ma inutilmente, odiano quello che faccio.” Stavolta, invece, filò tutto incredibilmente liscio: Rezoug e l’etichetta strinsero un sodalizio molto fruttuoso che si trasformò presto in una vera e propria collaborazione, venne messo in moto un processo creativo comune che prescindeva senza timori dalle distanze geografiche e dalle differenze culturali. “Continuerò a fare queste cose fino a quando ne avrò voglia, anche se mi trovassi nella condizione di dover smettere di fare uscire dischi”.

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Istanbul è tradizionalmente una città in divenire. Una città in movimento, punto di fuga tra Asia, Africa e Occidente. A Istanbul ogni coordinata cessa di esistere per diventare altro, ed è quello che succede anche alla musica di Rezoug. “Non c’è momento migliore di questo per conoscere Istanbul. Questa situazione politica mostra la città per quello che è: non uno spazio, ma la mescolanza di est e di ovest.” Chi osserva da fuori quello che sta succedendo a Istanbul potrebbe pensare che questo dinamismo possa trovare un canale di sfogo nella musica e nelle produzioni artistiche della città. “Non so perché, ma tutti quelli che stanno qui e che fanno musica tendono a evitarne la parte orientale. È strano, È un po’ come se provassero a volare con una sola ala, quando invece ne hanno due a disposizione. La nostra identità è mista. Siamo ovest e siamo est. Perché non attingere da entrambe?”. Improvvisamente, il suono acutissimo del richiamo alla preghiera interrompe la nostra chiacchierata. Un attimo dopo Rezoug mi dice: “Forse quello che abbiamo detto finora ti sarà sufficiente”.

Un altro artista turco che ha cercato negli ultimi tempi di riarticolare i cambiamenti frenetici della città attraverso la propria musica è Serhat Koksal, conosciuto anche col nome del suo progetto multimediale 2/5BZ. Koksal iniziò a produrre la sua musica nel 1986, facendo cose decisamente psichedeliche, impronta che ha deciso di mantenere anche con il passaggio al digitale. “Lui è il più grande, è quello che per primo ha provato a fare musica elettronica da queste parti.” Recentemente ci ha pensato Gantz a dare nuova carica all’impresa musicale di Rezoug. I due infatti stanno continuando a lavorare assieme incessantemente (nonostante Rezoug sia molto concentrato sul suo progetto di dub mediorientale) nel tentativo di dare ritmi e melodie alla propria città.

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Mentre la musica Arabesque è spesso oggetto di rifiuto da parte dei giovani turchi—“la considerano musica di merda”—in Algeria il Raï è molto ascoltato, soprattutto dai ragazzi, le sue sonorità ricordano in qualche modo il folk e continuano ad avere un ruolo sociale davvero eminente. La tradizione vuole che il Raï sia stato inventato dai pastori della città di Oran. “In Algeria non ci sono etichette discografiche, sono tutte scomparse con l’arrivo degli MP3. Ormai non c’è più nessuno che va in studio a registrare i suoi brani, tutti registrano solo i propri live, i CD vengono stampati subito dopo il concerto e venduti immediatamente.” Tutto questo ha portato dei cambiamenti davvero radicali nella scena algerina, la musica è diventata qualcosa di super elitario, suonare per i grandi hotel o casino costa carissimo e il pubblico poi paga gli artisti per avere un po’ di spazio durante gli show. Cosa che, secondo loro, dovrebbe aumentare significativamente la loro credibilità. "Sono tutte stronzate, qui non c’è più niente di serio."

Al di là del populismo del Raï, in Algeria esiste anche una scena hip-hop ed electro, che però fa un’enorme fatica a emergere. "In Algeria non esistono spazi o strutture per la musica alternativa e non è solo un problema, per così dire, privato: la società non è molto aperta, questo è il vero il problema. È vero, i club ci sono, ma sono più che altro dei posti dove si ascolta il Raï." I riferimenti della scena hip-hop, invece, vengono da fuori, grazie alla TV francese via satellite, che poi non è che una delle due alternative possibili alla televisione nazionale algerina: “una merda, non la guarda nessuno.” Le condizioni di vita in Turchia e in Algeria sono piuttosto dure e Rezoug è convinto che la musica non abbia a disposizione molti strumenti per contribuire a cambiare davvero le cose. "Ci sono tante persone con diverse idee interessanti in giro, ma non credo che porteranno mai a un cambiamento reale e generalizzato nel paese. È chiaro che io ci spero, ma non sarà per niente facile." Come non è facile per Rezoug attribuire un valore politico alla musica che fa: più che esprimere un campo di forze politiche antagoniste, le sue produzioni parlano della sua personalissima visione delle cose e delle sue esperienze, che sono sempre sue e sempre singolari.

Il lavoro di Rezoug oggi si è trasformato in qualcosa di davvero coerente, è una delle rappresentazioni più efficaci della maniera in cui si possa fare arte in un mondo iper-connesso. "È importante ascoltare un sacco di musica senza pregiudizi ed è importante che l’ascolto non sia mai forzato o finalizzato solo alla ricerca di nuovo materiale da copiare. Ascolta, libera la mente e segui il tuo istinto." Rezoug ha l’aria del santone, di una specie di Socrate magrebino devoto a John Lennon, le sue radici sono profonde ed eteree, in Algeria e in tutto il mondo.

Rezoug si limita a tradurre in musica quello che vede e quello che sent, i suoi suoni non sono che un processo di trasformazione del reale, un processo che passa per la sua decodifica e che si ricodifica sul mezzo artistico. È un divenire senza prima né dopo, dove le frontiere e le differenze culturali lasciano spazio a un puro flusso di intensità. "La mia è una musica nomade, come è nomade la mia esistenza: quello che voglio fare è andare in giro, conoscere nuovi posti, nuove culture. C’è una frase che dice più o meno: 'Vi abbiamo creato in tante nazioni perché possiate conoscervi l’un l’altro'"

Il nuovo EP di El Mahdy jr. "Gasba Grime" è uscito ieri per Danse Noire