La deep house è il genere musicale più triste di tutti

FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

La deep house è il genere musicale più triste di tutti

È come se, da quando esiste, fosse tutto un grande requiem per la morte della disco. Eccovi quindi le dieci tracce più tristi secondo Lawrence.

Oggi, 15 Novembre 2016, ci ha lasciato David Mancuso, fondatore del Loft di New York e tra i padri della disco, che ha contribuito con i suoi interventi alla stesura di questo articolo. RIP Dave. 

Nel 1979, per ripopolare gli spalti di una stagione avara di risultati in campo e al botteghino, il PR della squadra di baseball White Sox di Chicago s'inventa, assieme al DJ radiofonico Steve Dahl, una cialtronata pirotecnica per ravvivare la partita contro i Detroit Tigers: uno sconto molto aggressivo per chi si fosse presentato all'ingresso con un vinile disco di cui disfarsi. Finita la febbre del sabato sera di qualche anno prima, la disco-music era considerata poco più che spazzatura, buona per alimentare il gigantesco falò imbastito in campo per il break. Lo slogan lapidario stampato su magliette, spillette e cappellini era "Disco Sucks". L'evento è storico sia perché a un occhio, anche minimamente smaliziato, può ricordare una parodia dei roghi di libri nella Germania nazista, sia perché fu messo a verbale come data di decesso del genere: Disco Demolition Night, 12 luglio 1979, RIP. Stiamo parlando, sia chiaro, di un successone dal punto di vista degli organizzatori: cinquantamila biglietti venduti e altre quindicimila persone – riportano alcune cronache – rimaste fuori dai cancelli. Durante la pausa, dopo le prime esplosioni di scatoloni per mano di Dahl, centinaia di spettatori invasero il campo, incendiarono vinili e striscioni e distrussero suppellettili e manto erboso. Altri, galvanizzati dallo spettacolo, iniziarono a lanciare dischi dalle tribune. La partita fu sospesa all'arrivo della polizia e la vittoria attribuita, a tavolino, alla squadra ospitata.

Pubblicità

Dopo un cinque anni di abbuffata, era giunto il tempo della bonifica. Quindi: dentro rock e country, fuori la disco. Fatta qualche macroscopica eccezione, il mainstream USA chiuse le porte, nell'arco di pochi mesi e per un quarto di secolo circa, a sintetizzatori, casse 4/4, salti di ottave e ogni altro rimando a mirrorball e piste da ballo. La disco, stilizzazione robotizzata di funk, soul (di Filadelfia o psichedelico) e percussioni latine, si era trasformata in pochi anni in un metodo di produzione industriale, un trattamento applicabile tanto a limpide architetture pop quanto a operazioni di bassa manovalanza da classifica come "Disco Duck", l'antesignana del "Ballo del qua qua", o "Disco Samba", l'immortale tormentone dei capodanni RAI e in balera. La disco era, in larga parte, snobbata anche dall'industria discografica black, che vedeva nelle tessiture armoniche e ritmiche irregimentate, un tradimento alla ruvidità e ai micro-guizzi che erano il cuore del funk.

Disco Demolition Night, 1979

Eppure, da quel DNA sono nate le fondamenta di scene underground che si propagheranno proprio da Chicago e Detroit, oltre che, inevitabilmente, da New York, patria della disco. Non parliamo solamente del lato tecnico (orchestra che suona vs. DJ che riproduce una sequenza di tracce di terzi in un flusso, più o meno coeso), ma anche di singoli mattoncini, reincarnati in sottogeneri: l'estasi erotico-futuribile degli sbuffi sintetici, di batterie metronomiche e la trasformazione perversa ma liberatoria del pubblico in automi che ballano, divennero fantascienza ritmica nella techno di Detroit, mentre i pionieri house e acid di Chicago celebravano il matrimonio tra soul e macchina: un kamikaze che si salda all'aeroplano nell'aspettativa euforica di un attimo.

Pubblicità

Larry Levan

Al Paradise Garage di New York, intanto, Larry Levan immaginava la pista da ballo come scenario per collettività para-religiose: i suoi DJ set erano parabole gospel lunghe una serata che, grazie ai testi e alle sonorità dei brani selezionati, correvano su e giù come montagne russe tra l'eccitazione dell'innamoramento e gli abissi della solitudine. Di lì, le basi per il sottogenere, forse più filologico, che di quella discoteca prenderà il nome. L'utopia psichedelica post-hippie si è conservata nell'ambient e nei filoni chill-out, progressive e trance che si apriranno in Europa, il che è sicuramente un lato meno immediato quando pensiamo alla disco, ma presente agli inizi e coltivato tra gli altri dal DJ e promoter David Mancuso, che scoglieva LSD nel punch analcolico servito alle leggendarie serate del Loft.

E cosa è rimasto della disco nella deep-house, cioé nel genere più frequentati dai producer negli ultimi tre o quattro anni? Probabilmente il lutto stesso, o meglio una serie di tratti che associamo a esso: chiusura in sé, malinconia pervasiva e attaccamento alle immagini di chi si è perso. L'area deep è stata tra le prime a portare l'idea di riflessività nella house: non solo nel senso che il mood prevalente è una sorta di spossatezza esistenziale, ma soprattutto perché è un genere che ha messo, quasi subito, lo specchietto retrovisore (i riferendosi esplicitamente a un'età dell'oro nel passato, mentre altri generi volteggiavano nei Novanta, incuranti, tra invenzioni formali e voglia di futuro). Anche la musica che traghettava quella malinconia era, verrebbe da dire, conservatrice: sontuosi tappeti orchestrali in minore, allusioni armoniche al jazz (e più recentemente anche al romanticismo e all'impressionismo), ritmi sincopati e timbri elettronici a simulare strumenti tradizionali. La deep, quindi, era come Pinocchio che assomiglia e vuole essere un bambino vero; quando, però, guardi da vicino, ti rendi conto che la texture della pelle è un preset di tastiera e le giunture sono meccaniche: costruite a favore del DJ che dovrà incastrare due dischi a tempo.

Pubblicità

David Mancuso

Questa pensosità agrodolce, questo stato di sospensione insolubile (come quello tra autenticità e artificialità di Pinocchio, di affermazione ed esclusione della disco e delle comunità latine, nere ed omosessuali che la popolavano) ha creato i presupposti per produzioni di un certo livello (Kassem Mosse, Leon Vynehall, Martyn, ma la lista è lunga) e, soprattutto, per riflessioni rivolte, come pallottole, al cuore di questi temi. Si parte dalla ricerca di Herbert—nuovo album in arrivo—che ha dissezionato e ricostruito pubblicamente la sua house soffice, partendo da suoni e motivazioni politiche che l'animavano; si passa per Terre Thaemlitz / DJ Sprinkles che in Midtwon 120 Blues usa tutte le lusinghe deep per smontare la retorica di universalità coltivata nell'industria dell'intrattenimento notturno; per arrivare a Francis Harris (AKA Adultnapper) che ha fatto uscire due album deep pensati come requiem per le morti del padre e della madre.

Forse dice bene il poeta e critico inglese Dominic Fox nel libro Cold World, dedicato ad arte e infelicità come innesco di pratiche politiche: "Nell'esperienza della tristezza radicale, il mondo si trasfigura. Invece di vivere dentro di noi, come fanno le altre emozioni, la tristezza avvolge tutto come un bozzolo o una prigione. In questi momenti, ci rendiamo conto che il mondo è un mondo, un set. Questa consapevolezza può trasformarsi in arte o in politica: in arte, quando il mondo, reso strano dal nostro distacco, si presenta come un oggetto estraneo, potenzialmente affascinante; in politica, quando la difficoltà del vivere in questo mondo ci suggerisce le cause, le circostanze impersonali ed esterne dei nostri tormenti individuali".

Pubblicità

Per ribadire il concetto abbiamo chiesto a Lawrence di indicarci qualis ono secondo lui le dieci tracce da club più tristi. Lui la sa lunga sulla riemersione della deep: cofondatore dell'etichetta Dial e della meno nota ma interessante Smallville (nata dal negozio di dischi omonimo ad Amburgo), DJ e produttore ha contribuito, in modo determinante, a scolpire la scena dance tedesca post-minimal. Parole sue: "Il dancefloor non è nato per la tristezza, ma suoni malinconici e un club decente possono essere una combinazione meravigliosa. Non c'è sensazione migliore di quella che, in modo forse inflazionato, chiamiamo deepness. Ecco i miei brani preferiti che fanno risuonare quella vibrazione indescrivibile, magica, nei club". È anche appena passato per Milano, Pescara e Roma a suonare.

Claro Intelecto - Peace Of Mind

Efdemin - Parallaxis (Traumprinz's Over 2 The End Version)

Pepe Bradock - Deep Burnt

WhoMadeWho "Keep Me In My Plane" DJ Koze Hudson River Dub

Dntel - Dream Of Evan And Chan (Superpitcher Kompakt rmx)

ERP - Lament Subrosa

The Other People Place - Let me be me

Floating Points - ARP3

Slum Village - Fall in Love (instrumental)

Gigi Masin - Clouds (1989)

Segui Francesco su Twitter — @francescoten

Segui Noisey su Facebook e Twitter.