FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Paskaman - Ma Però (feat. Jack The Smoker, Asher Kuno & Dari Mc)

Abbiamo in anteprima l'ultimo video tratto da Dal Baffo, l'album di debutto di Paskaman, e gli abbiamo anche fatto un'intervista chilometrica.
Mattia Costioli
Milan, IT

Oggi vi presentiamo in anteprima l'ultimo video di Paskaman, si chiama "Ma Però" ed è tratto da Dal Baffo, il suo primo street album. Paskaman è un rapper di Peschiera Borromeo, un posto bello così e così in provincia di Milano, dalle parti dell'aeroporto di Linate, è nato nel 1992 ed è un grande amico di un altro rapper di Peschiera Borromeo: Asher Kuno. Fa parte di quella scena di rapper italiani nati negli anni Novanta, che i ragazzi di RapBurger hanno sintetizzato bene qualche tempo fa.

Pubblicità

Io personalmente ho deciso di fissarmi il suo nome nel cervello dopo una barra sui fazzoletti Tempo che c'è in "3:33", probabilmente la conoscete anche voi, in caso contrario basta premere qui. Andrei anche avanti a raccontarvi (non citarvi, ancora non me la sento) le mie barre preferite di Paska, ma gli ho fatto un'intervista talmente lunga che se scrivo un'altra riga mi sa che esplode Noisey, quindi scorrete un pochino più basso e scoprite come funziona l'underground nel 2014, tra YouTube e psicofarmaci.

Dimmi quando hai scoperto che esisteva l'hip-hop italiano.
La prima canzone rap che ho ascoltato è stata “Rap In Vena”, che è stato il primo pezzo di rap italiano che ho sentito e mi aveva subito colpito per un motivo che ora sembrerebbe stupido, cioè che diceva le parolacce. È legittimo, voglio dire, ai tempi avevamo 14 anni o qualcosa del genere.
Sì, mi dicevo, “Questo dice le parolacce e parla di sbudellamenti, ma che hit”. Poi da lì ho iniziato a cercare e scoprire altri artisti e altra musica, ad ascoltare rap, quello che girava intorno al mondo dove vivevo. Sei di Milano?
Sono di Peschiera Borromeo. Non m’era passato nemmeno per la testa di rappare, ma a scuola c’erano questi due ragazzi, anche loro di Peschiera, che si vestivano con i pantaloni larghi e cose del genere. Erano Tsuno ed Eddy Veerus, una mattina si avvicinano e mi chiedono “Anche tu rappi?” Io gli ho spiegato che ascoltavo e basta, e il giorno mi hanno portato un disco registrato da loro col microfono di Windows. Una cosa marcissima, ma io sono andato fuori di testa perché mi sembrava una hit mondiale registrare la propria voce su una base. Non so se succedeva anche dalle tue parti, ma per me quello era il periodo in cui ti davi le punte su MSN per fare i freestyle nelle chat di gruppo.
Ovviamente, era d’obbligo: Eddy era il capo di queste cose, verso le nove di sera riuniva tutti e si cominciava a fare freestyle, una cosa trashissima. Da lì siamo diventati amici, finché non sono entrato a far parte di Gente Onesta, la nostra vecchia crew. Questo ha coinciso con il mio primo tentativo di provare a scrivere. Te lo sei imposto?
Sì, e infatti non ha funzionato, almeno all’inizio, perché poi ti rendi conto che è solamente una questione di abitudine. Ho cominciato a registrare qualcosina, ma il tempo nemmeno sapevo cosa fosse. In realtà ciò che mi ha contraddistinto è che, fin dall'inizio, ho voluto mettere su il mio mini- studio, ero riuscito a convincere mio papà a comprarmi un microfono da cento euro e una scheda audio marcissima. Da lì ho iniziato a registrare le mie prime cose. Ti fregavi le basi US?
Sì, ovviamente. Anche se la mia fortuna è sempre stata di avere amici produttori, ma anche ora mi capita di rappare su basi americane, preparare il pezzo e poi chiamare il produttore che penso sia più in grado di adattarsi a quella roba. Secondo me se un artista prende un beat di un produttore, prima di partire a scrivere, finisce con l’essere un pochino limitato. È un modo un po’ diverso dal usato da altra gente con cui mi è capitato di parlare in passato.
Penso che sia il beat a doversi adattare all’artista, senza nulla togliere ai produttori, ma è lui che da il tocco in più al pezzo.

Pubblicità

Quali sono stati i primi progetti che hai messo insieme?

Nel 2008, su per giù, avevo un mezzo progetto da far uscire, ma non è mai successo, anche perché era veramente brutto. Quello è stato anche il periodo in cui ho avuto la fortuna di conoscere Asher Kuno, che per me era un eroe. Per farti capire, c’era questo pezzo in

The Fottamaker

, in cui a un certo punto si citavano Peschiera e Pioltello [provincia di Milano], e per me era una hit, perché citava i posti dove vivevo io e nel frattempo collaborava con Vacca e Marcio, che ai tempi erano davvero nel cuore della scena. Ci parlai per la prima volta quando andai a comprare l’ultima copia di

The Fottamaker

a casa sua, una botta di culo notevole. Andando avanti ho avuto la fortuna di avere lui come padre musicale, mi ha insegnato cosa ascoltare.

Ovvero?
A partire dai Mobb Deep, NWA, Public Enemy, fino ai nomi che avevano influenzato anche lui, Evidence e Sean Price, gente che aveva una forte attitudine per lo slow flow e per una produzione serrata, da mixtape: scrivo, registro e via, a mixare. Kuno mi ha fatto conoscere tantissimi artisti, ma la mia fortuna è stata di crescere ascoltando i suoi consigli. Anche questo mio modo di entrare sulla barra in modo strano, a me sembrava normale, ma in realtà qua non era molto comune. Le prime cose le hai registrate con loro?
Sì, e ho anche iniziato a capire che ad ascoltarmi non erano più quei due stronzi dei miei amici, ma una nicchia un po’ più vasta. Pensandoci ora mi metto a ridere per come affrontavo le cose. Ad esempio una volta Supa mi scrive che vuole un mio pezzo su un mixtape, e io arrivo alla sera della registrazione senza aver scritto niente, la scrivo al momento. Per me era un divertimento, beccarsi e fare il pezzo, ma sono anche sempre stato dell’idea che non si può restare uguali a se stessi. Quindi da lì in poi ho iniziato a cercare di fare cose un po’ diverse, oltre che l’esigenza di fare un disco, un mio disco. In che anno siamo?
Era l’estate 2010, eravamo rimasti io e Tsuno a Peschiera, e non sapevamo cosa fare. C’era un programma con un tizio che pesava 360 chili e doveva dimagrire, dopo averlo guardato ci siamo messi a fare dei pezzi usando dei beat di DJ Pole. Era luglio, ma a metà agosto il progetto era già chiuso. Lo facemmo poi uscire nel gennaio 2011, e il primo pezzo fu "Grey Goose", con anche un video, che era marcissimo, ma a me sembrava una bomba. Lo pagammo 200 euro, e per me erano tantissimi. Facemmo uno spam davvero molesto con quel video, però mi sembrava che fosse piaciuto. Parliamo un attimo di questa cosa del non chiudere le rime, la gente su YouTube ti massacra.
All’inizio lo facevo proprio per far incazzare la gente, lo facevo notare molto. Adesso lo faccio ancora, ma lo nascondo, e la gente probabilmente nemmeno se ne accorge. Il mio progetto successivo è nato quando ho conosciuto Jampa Ak, un ragazzo di Bergamo che è praticamente uno stereotipo vivente di bergamasco. Ci eravamo trovati perché entrambi ascoltavamo Duellz, che è l’autore di Paranoia 2k7, uno dei mixtape rap italiani più belli di sempre. A proposito di cose belle, c'era una barra di Jampa Ak che mi aveva fatto impazzire (non di Duellz ma di Jampa) “non rido più come la Fabbrica del Sorriso / a me la fabbrica toglie il sorriso”. Per me questo significava tutto, con quella barra l’avevo conosciuto e avevo capito che era un uomo, già a 16 anni. Col tempo ha anche conosciuto i miei genitori, loro sono un po’ alla vecchia maniera: non per menarmela, ma credo che tre quarti della scena italiana siano stati a cena dai miei. Insieme abbiamo realizzato Jamparelli, che è andato meno bene di quanto pensassi.

Pubblicità

Nel frattempo eri già sul palco?

Assolutamente, ho cominciato nel 2007 e il primo live che ho fatto l’ho fatto in un centro anziani, nel secondo ero su dei tavolini di plastica, ho fatto tanta gavetta. Diciamo che quando ho fatto uscire

Jamparelli

mi sono reso conto che bisognava capire cosa voleva la gente e perché quell’EP non fosse andato. Il pezzo che ha un po’ svoltato è stato il terzo singolo che abbiamo fatto uscire, “AF1”, e sinceramente a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se l’avessimo fatto uscire per primo. Quel pezzo mi ha permesso di fare un po’ di featuring con altri artisti, ed è quello che mi ha mantenuto vivo. Jamparelli uscì nel novembre 2012, e fino a quel momento non avevo mai fatto un progetto solista, ma nemmeno una traccia solista.

Era il momento, no?
Sì, ho iniziato a mettermi nell’ottica di farlo, perché era il momento. Verso luglio 2013 sono andato in vacanza con degli amici, che sono G. Bit e Rokas e nella scesazza post-mare ci siamo messi a fare un pezzo, dopo un giro su internet per scegliere tema e titolo avevo scoperto che stava per uscire GTA, il videogioco, quindi abbiamo deciso di fare il ritornello “Faccio quello che mi va, come in GTA” e sfruttare l’onda. Abbiamo anche girato un video a La Spezia dove eravamo in vacanza. Il pezzo uscì il 19 settembre, e fu una vera botta di culo, perché dopo una mezz’ora in cui mi ero perso via ho ricaricato la pagina e mi sono accorto che c’erano tantissime visualizzazioni. Era successo che l’admin di una pagina enorme sui videogiochi aveva condiviso il video chiedendo “da 1 a 10 quanto vi fa cagare questa canzone?”. Che bomba, ero gasatissimo perché questo flame portò un sacco di pubblico sulla traccia. Questo debutto da solista non era ancora arrivato, però.
Ecco, in quel periodo avevo conosciuto un ragazzo che mi dava una mano a gestire le cose, una specie di assistente. Avevo fatto questa traccia “Melody”, che è il nome della mia ex. Non avrei mai voluto mischiare vita privata e musica, ma sapevo che quello era il pezzo giusto per essere la mia prima canzone solista. “Melody”, uscì il 10 novembre del 2013. Fece un bel numero di ascolti, ma non la portai mai live, per ovvi motivi. Il terzo singolo che avevo intenzione di far uscire era un pezzo assieme ai Bushwaka, finché loro non firmarono per Newtopia, e giustamente furono obbligati a concentrarsi sui loro lavori, facendomi slittare un po’ l’uscita del singolo. Mi ritrovai con DJ Pole su un beat mezzo trap, ci lavorammo un po’ e dopo qualche discussione riuscì a convincerlo a metterci dentro un drop dance, anche se lui non era così d’accordo. Il giorno prima dell’uscita del video ero abbastanza gasato all’idea di far uscire “un’alternativata”, anche perchè non l’avevo mai fatto, ma i riscontri non furono dei migliori, anzi. Parliamoci chiaro: la gente vuole il rap, 16 barre e ritornello.

Pubblicità

Spiegati meglio.

Sono arrivato alla conclusione che per riuscire ad essere una minima apprezzati dall’ambiente-non-di-nicchia devi “ammazzarti” artisticamente, tornare indietro almeno di 4 anni. Tralasciando questa storia, avendo visto che “Melody” andò bene, decisi di tirare fuori come ultimo singolo prima dell’uscita del disco un altro pezzo struggle. Abbiamo fatto “3:33” che ha fatto tantissime visite, tantissime sempre rimanendo nell'ottica che penso di non essere nessuno e faccio tutto da solo. A quel punto era davvero l’ora di fare uscire il disco, che è

Dal Baffo

, appunto, perchè nel tempo è quello ciò che più mi ha rappresentato rappresenta, in un certo senso.

Come mai questo titolo? Non c'è un gioco di parole con Dal Basso, vero?
No, non l’ho mai ascoltato in realtà. Ho ascoltato Kaos, Neda, Melma & Merda, ma Lou X mai. Lo chiamai Dal Baffo perché all’inizio volevo fare una copertina in cui ci fossi io dentro al logo della Birra Moretti, hai presente? Quando l’ho detto al grafico voleva prendermi a sberle. Non avrebbe avuto proprio torto.
Tra l’altro ha tirato fuori una grafica bellissima, secondo me, ma sinceramente di queste storie non me ne frega un cazzo. A volte mi contattano i ragazzi della Sempre Peggio, la mia etichetta, e mi dicono “negro, sono cinque giorni che non pubblichi niente su Instagram”, e allora prendo faccio la foto e la pubblico su Instagram. Ormai so come funzionano queste cose, però che palle.

Come è stato il debutto?
Ero felicissimo, prima che uscisse ho scritto ai miei amici “non voglio vedere e sentire nessuno per quattro settimane, farò l’eremita”. Sono una persona molto ansiosa, in modo patologico, nel senso che faccio uso di farmaci. L’avevo immaginato, hai saputo citarmi i numeri di visualizzazioni di ogni cosa che hai condiviso da qualche anno a questa parte.
Hai presente Paskaman? Ecco, io sono l’opposto, ho voluto differenziare la vita privata dalla vita artistica. Io ero arrivato al 20 di aprile, il giorno di Pasqua, dopo essermi fatto l’ultimo giro in studio, che a pranzo con i miei ho vomitato dopo aver assaggiato gli antipasti per quanta ansia avevo in corpo. Quando è uscito il lavoro ho pianto e ho ringraziato tutte le persone che mi hanno aiutato. Il primo è stato Icaro il ragazzo dello studio, che aveva chiuso lo studio un mese e mezzo per finire il mio disco.
La sera dell'uscita non me la scorderò mai, sentivo di aver raggiunto il mio obiettivo, in un certo senso, perché di farci i soldi non me ne frega un cazzo, ero contento di aver fatto un disco che mi piacesse e di aver dimostrato ai miei (e a me stesso) che ero riuscito a portare a termine il lavoro che avevo cominciato. Alla presentazione del disco ho voluto che ci fossero anche i miei, perché capissero quanto la musica fosse tutto per me, mentre loro lo vedevano soltanto come un hobby. Penso di essere riuscito a fargli capire che un piccolo spazio in questo mondo è il mio. La gente come l'ha preso questo disco?
Questo disco l’ho concepito come “anti-rap”, una roba un po’ sperimentale. La gente secondo me si aspettava un progetto punchline-punchline-battuta. Mi sono reso conto che sono riuscito a staccarmi un pochino da quel personaggio del cazzone che mi ero creato, senza perdere il mio pubblico, ed è una cosa che mi ha fatto piacere. Fine, questa è la mia inutile storia. Ora sei in giro, stai facendo qualche data?
Sì, ho fatto un po’ di concerti, ma capisco che gli organizzatori debbano essere sicuri di rientrare nelle spese. Ci sono due cose che mi sbalordiscono di quello che faccio, la prima è che quando le persone mi conoscono si rendono conto che sono una persona molto diversa da quella che sono su Facebook o in generale sui social network, anche se non me ne rendo conto. Sono sovrastrutture che è difficile schivare nella scrittura, è un po’ come quando metti il punto alla fine di un SMS e sembri automaticamente incazzato nero.
Io sono uno che scrive in modo freddo, ma non perché sia arrabbiato, ma perché ho tante cose da fare e poco tempo per farlo. La seconda cosa è che le persone dal vivo mi dicono sempre “Sai, io non riuscivo a capire se sei bravo o scarso, ma ora che ti ho visto dal vivo ho deciso che sei bravo”. Da quello che mi dicono, rendo di più dal vivo. Alla fine è un genere in cui sarà sempre così, in un certo senso.
Adesso voglio solo pensare a questo ultimo video ["Ma Però", ndr], che mi auguro vada bene, per chiudere il progetto, ma nel frattempo sto già lavorando ad una cosa nuova con DJ Andry, un produttore di Dogozilla, l’etichetta di Don Joe. Sto cercando di fare qualcosa che suoni diverso da Dal Baffo, o meglio: che abbia qualcosa in più. Penso che il tutto uscirà verso marzo.
Mi diverto, e questo è l’importante, anche perché siamo in Italia e sono solamente in quattro o cinque a farci i soldi veri con l'hip-hop: la torta è piccola, anzi, non è nemmeno una torta, abbiamo soltanto bignè, e non vale la pena di impazzire per arrivare a prendersi un po’ di crema. Certo, per me il rap è un lavoro, ma è soprattutto un divertimento, zero aspettative e zero pretese, magari m’è scappata la frase “se non arrivo mi ammazzo”, ma è perché sono una persona che si lascia un po’ illudere. Io volo basso, sto nel mio.

Segui Paskaman Paskaman su Facebook
Segui Mattia su Twitter: mattia__C