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Musica

A quanto pare, Dean Blunt è un fottuto genio

Report da Londra del suo live che include strobo assassine, buio pesto e un bodyguard.

Dean Blunt non ha mai avuto l'ambizione di essere capito, specialmente in assetto live. Dopotutto lui è il principale responsabile dei suoni più meravigliosamente assurdi che abbia mai sentito, ma anche di alcune canzoni con una produzione abbastanza mediocre, che mi hanno sempre lasciato un po' interdetto. I suoi live come Hype Williams stavano anche loro in bilico tra questi due estremi: ho assistito a scene di bodybuilder che facevano i pesi sul palco e a bombardamenti di luci e suoni fastidiosissimi, tutto in nome dell'arte. Quindi non sapevo bene cosa aspettarmi quando sono andato a vederlo l'ultima volta dal vivo, a Londra.

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Il pubblico in quell'occasione era composto da gente che potrebbe benissimo essere definita come collezionisti di compilation di James Ferraro che si preoccupano principalmente di quanti ancheggiamenti è opportuno eseguire nei loro pantaloni da marinaretto. Nessuno di quelli con cui ho parlato si aspettava nulla di simile a un gran bel live set, i più erano preoccupati anzi di riuscire a sopportare un intero concerto di Dean.

Non c'era nessun act di apertura e abbiamo dovuto aspettare una mezz'ora buona prima che iniziasse a succedere qualcosa. Le luci si sono abbassate piano piano e tutto il pubblico è rimasto al buio senza nessun'idea di cosa stesse succedendo. In quel momento una figura è emersa dall'ombra e ha premuto un bottone che ha fatto partire un loop. Un loop che è andato in loop e poi ancora in loop. Dopo dieci minuti di rumori, sempre al buio, l'audience iniziava a spazientirsi.

Improvvisamente arriva una voce a sovrapporsi al rumore che stava andando in loop, e la gente ha preso a fotografare un'ombra che stava accovacciata nel buio. Ecco che l'ombra si guarda intorno e si incammina verso il microfono. Senza dire nemmeno una parola, Dean inizia a cantare.

Esegue, in ordine, ogni traccia del suo ultimo album Redeemer. Per qualche strana ragione, viene affiancato da un bodyguard di due metri per due completamente vestito di nero. Perché sia lì, nessuno se lo chiede davvero, senza dubbio è un'ottima aggiunta all'atmosfera sinora creatasi. Dean non se la chiacchiera molto, anzi, per niente, invece cammina avanti e indietro sul palco sfregandosi ininterrottamente le mani. L'unica volta in cui sembra scappargli un sorriso è quando parte l'applauso dopo una canzone. Nonostante si dia un tono di indifferenza bella e buona, Dean sembra, in fondo in fondo, contento dell'apprezzamento. Gli unici musicisti che lo raggiungono sul palco sono un trombettista e una cantante lirica–nemmeno loro danno corda all'audience.

Il concerto finisce, così come è iniziato, in modo bizzarro, con la band che se ne va accompagnata da un fischio acutissimo e una strobo che manda flash accecanti. Tutta questa esperienza è definibile con la parola manicomio. Tanto più che, quando esco, vedo un sosia di Dean Blunt seduto al tavolo del merch che simpatizza con i fan che gli fanno i complimenti per lo show. Questo mi fa pensare che, qualsiasi cosa faccia un artista, non sapremo mai chi sia veramente.

Fatto sta che prima di allora non ero mai stato a un concerto in cui mi sono sentito allo stesso tempo così spiazzato e così soddisfatto. In effetti, però, non ci sono molti artisti paragonabili a Dean Blunt.

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