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Musica

È uscito un nuovo disco di Balam Acab dopo quattro anni di silenzio

Si chiama "Child Death" e in quest'intervista Alec Koone ci racconta perché, più che un ritorno, è una rinascita.

Foto gentilmente concessa da Balam Acab

C'è un alone di mistero attorno alla figura di Alec Koone, il producer ventiquattrenne dietro al moniker Balam Acab, ma non è certo colpa sua. Forse quella serie di album usciti a suo nome nella prima parte di questa decade, culminata nel cavernoso viaggio di Wander/Wonder , album uscito nel 2011 per l'allora nascente Tri Angle Records—che i critici ai tempi misero in quel calderone di pad spettrali, bassi fondi e sonorità enigmatiche che la gente chiamava Witch House.

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La musica di Koone, però, così come il suo carattere, non si sposavano bene con quell'etichetta: chiaramente i suoi dischi erano carichi e fantasmatici, ma infondevano anche una sensazione di conforto e dolcezza che non si trova affatto in produzioni strettamente Witch House. La natura intricata e stratificata della sua musica è ciò che probabilmente ha fatto sì che non fosse poi così semplice per chi vi si rapportava arrivare a conoscere il ragazzo che ci stava dietro. La sua scomparsa dalle scene, poi, ha contribuito ad aumentare l'alone di mistero attorno a lui: circa quattro anni fa Alec decide di tornare alla sua "vita normale"—fatta di studio, sabati sera a guardare Netflix, un po' di appuntamenti e di tutte quelle cose che in molti considerano "noiose", sicuramente lontano dai giri in cui stava tempo fa. Fino a che la vena creativa non ha iniziato a pulsare di nuovo.

Lo scorso 17 dicembre, Koone ha rifatto capolino nelle nostre orecchie con un album totalmente autoprodotto intitolato Child Death, che, oltre alla sonorità Balam Acab che ci era già familiare, aggiunge batterie col doppio pedale ed elementi indie-rock che rendono il quadro ancora più complesso e impressionista. Attorno all'album è successo ben poco: non è stata organizzata nessun tipo di promozione, nessun tour, non è uscito nessun singolo o video a supporto del progetto, e oltretutto la data d'uscita dell'album coincideva con un momento in cui l'industria discografica andava in pausa pre-natalizia. Ecco perché questo progetto ci piace: ci vediamo un altro passo verso l'intricata oscurità che ci ha insegnato ad amare.

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Nonostante questo arrivo fumoso, però, le origini di questo nuovo lavoro di Balam Acab, sono molto meno dark di quello che immaginiamo. Dopo anni di pausa dalla musica in generale, dicevamo, ad Alec era tornata l'urgenza di fare musica. A questa urgenza non poteva che acconsentire, ma ha deciso di farlo a modo suo: rifiutando le avances delle label, che lo volevano in studio, per potersene stare a cazzi suoi, registrare i suoi pad e le sue chitarre da solo o al massimo con l'aiuto di qualche amico. Alla fine è venuto fuori quest'album, per ora disponibile in digitale—l'uscita fisica è prevista più avanti quest'anno per la label newyorchese Orchid Tapes, il cui fondatore Warren Hildebrand ha curato il mastering.

Dopo un paio di email che ci siamo scambiati a orari improbabili—Alec dà la colpa di questi sfasi al fatto che si sta lentamente riabituando a tempistiche normali dopo la lunga pausa invernale—siamo riusciti a farci una chiacchierata sul suo nuovo lavoro fieramente DIY Child Death, la cui genesi assurda è stata per lui come un ritorno alla vita.

Noisey: Il titolo di questo tuo nuovo album è Child Death. Pensavi al tasso di mortalità infantile quando l'hai chiamato così?
Alec Koone: No, in realtà no. È stato strano: ero in tour, era il 2012, e dopo un concerto ero in giro con un po' di gente. Uno mi ha chiesto quanti anni avevo e ha iniziato a farmi uno spiegone filosofico di come ero nel mezzo di un processo in cui avrei chiuso con il mio lato infantile, sarebbe stato un processo doloroso. Nel momento in cui me ne parlava non è che gli abbia dato tutto sto credito, cioè, sono cose strane da sentirsi dire, ma da quel momento l'idea del bambino dentro di me che stava morendo non mi ha più abbandonato.

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Ovviamente non si parla davvero di morte, più della fine di una fase. In una sola vita passiamo attraverso molte vite. Ora sono più vecchio, tanto più vecchio di quando uscì Wander/Wonder. Ora ho 24 anni e mi sento di aver imparato un sacco di cose che prima di questo periodo non sapevo e che mi hanno aiutato a lasciar andare quel bambino. Cose come tentare di essere una persona ok, onesta, matura, tentare di dare il massimo e continuare a crescere.

Quindi senti che stai ancora crescendo?
Più o meno. Però quest'album non è un disco di passaggio, anche perché nel frattempo son successe un sacco di cose.

Me ne racconti un paio?
Ok, vediamo. Alcune sono state cose brutte, che mi hanno tenuto giù per un bel po'. Ho imparato com'è stare da soli, veramente soli, per lunghi periodi. Ho avuto la mia prima relazione seria. Ho avuto il mio primo lavoro. Un sacco di roba. Penso che sia normale, no?

Quando hai deciso che saresti tornato a scuola? Questa decisione ha influenzato parecchio la lunga pausa tra i tuoi ultimi album, giusto?
Sono stato in tour per Wander/Wonder fino alla fine del 2012, sostanzialmente. Poi ho passato un periodo nebbioso. Non sapevo che fare di me stesso. Da una parte sentivo una grossa pressione a pubblicare nuova musica, ma non ero granché ispirato. Quindi ho deciso che avrei fatto meglio a tornarmene a scuola, pensavo che in questo modo avrei potuto combinare qualcosa con la mia vita, dato che non riuscivo a combinare nulla con la mia musica. Sai, dovevo cambiare aria.

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Ho iniziato a ricevere mail da etichette che mi incitavano a mandar loro materiale nuovo, mi avrebbero anche pagato in anticipo per avere un mio album, ma io sapevo che non avevo nulla in mano, non mi frullava in testa nessuna musica, perché avevo troppa confusione intorno. Per tre anni ho vissuto una vita che potrei definire normale: uscivo, roba così.

Tre anni è molto tempo, specialmente alla tua età.
Sì, me ne sono reso conto. Il 2012 è stato un anno orribile per me. Ora, però, mi sento di nuovo in contatto con me stesso. Ecco perché posso ricominciare a far musica, ricominciare a riprendere le cose dove le avevo lasciate.

Come mai hai deciso di far tutto da solo per quest'album? Wander/Wonder era uscito per Tri Angle e ora funge un po' da pietra miliare per il materiale tetro e fumoso che hanno pubblicato dopo.
Volevo far uscire l'album senza scendere ad alcun compromesso. Alla fine chi mi segue vuole solo ascoltare della musica. Se inizi a pensare a tutto il casino dell'industria musicale è abbastanza semplice che ti perdi e soprattutto che perdi di vista l'obiettivo principale, che sono sempre i tuoi ascoltatori. Comunque sia, io e Robin [Carolan, il co-fondatore di Tri Angle] siamo mega tranquilli. Ci capita di sentirci e di chiacchierare, e adoro le produzioni Tri Angle; tutto quello che passa dalle mani di Robin è fantastico, ha un gusto incredibile.

Sembra che con questo nuovo album la tua musica sia diventata molto più oscura, più dissonante, più storta di quella che eravamo abituati a sentire, l'hai fatto apposta?
In molti hanno definito "oscura" la mia musica, ma prima non mi era chiaro il perché. Quando sono tornato, è stato assurdo, non ho mai ascoltato musica elettronica, più che altro ascoltavo roba noise o drone, quindi ci ho messo molto di quei suoni, nel disco. Volevo che nessuno avesse idea di cosa aspettarsi, nemmeno dopo aver schiacciato play. In effetti però ero un po' preoccupato che "Glory Sickness" fosse un po' troppo, che la gente avrebbe levato il disco dopo trenta secondi.

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Quell'opening, come molte altre parti dell'album, sono registrate live, mentre gran parte dei tuoi lavori precedenti era rielaborazione da sample. Come mai hai cambiato approccio?
Mi mancava il lato fisico della musica. Suono la chitarra da quando ho tredici anni. Ho un sampler, un sequencer e una tastiera JUNO. Wander/Wonder è quasi tutto composto da sample, ma anche quello era un lavoro terribile, perché devi lavorare sui campioni per tirarne fuori il suono che vuoi, e non sempre è immediato.

Mi piaceva tantissimo suonare, adoro scrivere in questo modo, con la chitarra, con il synth, tutti questi strumenti sono stati registrati in maniera analogica. Ho pensato che il pubblico si affeziona facilmente alle canzoni "scritte" nel concreto, più che ai collage di sample.

Pensi che in futuro potrai fare roba ancora più suonata? Un disco rock?
Be', come no? Ho una band nella mia città, in cui suono con un paio di amici. Non si sa mai, magari pubblicheremo qualcosa. Ascolto molta musica rock: ultimamente ho ascoltato molto True Widow, tutto quello che i Teen Suicide pubblicano su Twitter, a cannone. Vabè, i Nirvana, sempre. I Pavement, sempre. Queste band influenzano ciò che faccio molto più della musica elettronica. Sono cresciuto con i beat di Flying Lotus, ma a quell'estetica sento il bisogno di aggiungere elementi rock.

Quindi non farai concerti finché non riuscirai ad avere un setup che ti soddisfa.
Prima facevo tutto da solo dietro ai miei strumenti, schiacciavo bottoni, comandavo i visual, alla gente piaceva perché si ascoltavano i miei live in un club, a volumi altissimi. Questo modo di presentare la mia musica, però, mi è sempre sembrato riduttivo. Ho visto live di band come Animal Collective, che sono pieni di roba elettronica, ma non pre-programmano nulla. Sono in quattro e suonano, anche se suonano tutta la loro situazione strana ambient-psichedelico-elettronica. Ecco, anche a me piacerebbe tirar su una cosa del genere quando ricomincerò a fare live.

Wow, quindi l'aspetto futuro di Balam Acab è una band.
Esattamente.

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