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Musica

DJ Skizo è più sperimentale di voi

Ci è venuto a trovare in ufficio DJ Skizo degli Alien Army, e abbiamo chiacchierato a lungo Expo, The Notorious B.I.G.​, Kendrick Lamar​ e naturalmente Maruego​.
Sonia Garcia
Milan, IT

The Difference degli Alien Army è uscito lo scorso 13 gennaio, dopo solo dodici anni dal loro ultimo The End e svariate release soliste dei singoli componenti della crew di DJ più famosa d'Italia. Se non l'avete ascoltato fatelo adesso, perché qua sotto c'è una densissima intervista a una delle teste più grosse dietro all'intero progetto, DJ Skizo, con cui la sottoscritta ha chiacchierato per quasi due orette di tante cose, tra cui Expo, Biggie Smalls, Kendrick Lamar, talent show e, ovviamente, Maruego.

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Per non lasciarvi privi di sottofondo musicale, abbiamo pensato di regalarvi un inedito dell'album, che, come mi ha spiegato Skizo, nonostante consti di ventinove tracce, ne aveva molte di più che non sono più state inserite.

Noisey: È una scena estremamente prolifica quella dell’elettronica sperimentale, specie negli ultimi tempi, e in The Difference se ne sentono le influenze. Tu ci eri già venuto in contatto prima d’ora?
Skizo: Aldilà dell’interesse per tutto ciò che è nuovo e diverso da quello di cui mi occupo, c’è sempre stato un interesse da parte nostra per l’innovazione. Se vieni a contatto con qualcosa che è molto efficace musicalmente, aldilà che sia poi innovazione o meno, c’è di mezzo la qualità, e non va data per scontata. Quando c’è qualità e innovazione ben combinate, sicuramente è molto interessante confrontarsi. Aldilà dell’hip hop. Certo, dobbiamo chiarire anche che molte persone traducono il termine “hip hop” con “rap mainstream”, mentre quest’ultimo ne è solo una piccolissima frazione. Molte persone si sono dimenticate che in realtà è nato acchiappando vari elementi da varie scene musicali, tra cui la progressive, il funk, il jazz etc. Non facendo quest’associazione, le sfaccettature vanno poi a incontrarsi in altri modi, ad esempio i diversi modi di concepire le arti, non c’è un limite canonico da imporre per “ghettizzare”. È la stessa cosa avviene per la spinta a usare il giradischi, per un dj, come uno strumento. Anche questa è un’etichetta che va molto stretta a un musicista. Anzi, nel nostro caso siamo più musicisti di quello che si può pensare, perché ognuno di noi suona da uno a più strumenti.

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Fico, tipo?
Io suono un po’ di basso, 2P suona basso e batteria, Tay suona piano, Mandrayq pure. È la nostra formazione, il nostro modo di approcciarci. Che poi siamo dissacranti e usiamo gli strumenti in modi diversi è un’altra storia. Questo disco ad esempio abbiamo provato a raccontarlo attraverso i musicisti, l’abbiamo composto e poi dato in mano ad alcuni nostri musicisti di fiducia che lo hanno riarrangiato a loro piacimento. E ce lo hanno riconsegnato così. È un approccio con la musica molto umile, il nostro. Abbiamo visto questa opportunità di fare un disco per imparare qualcosa di nuovo.

È fondamentale non porsi limiti di azione.
C’è un limite se ti poni un goal. Se ti imponi di percorrere cento metri, una volta che li hai percorsi hai finito.

Parlavo a livello di apprendimento e accrescimento culturale.
No lì no, naturalmente. Figurati, abbiamo cominciato a lavorare a questo disco due anni e mezzo fa. È stata un’avventura lunga, ma non è stato pensato come prodotto finale di qualcosa che avevamo in testa da chissà quando. Era più un tirare fuori le nostre emozioni, e pensieri di quell’arco di tempo. Per fortuna non abbiamo buttato via quasi nulla di quello che avevamo, l’esperienza ci ha dato un po’ aiutato a fare cose realisticamente utili, ecco perché ce ne siamo usciti con ventinove tracce e un album doppio. Uno si domanda se sia fuori target, dato che si è circondati di gente che fa uscire i loro album a blocchi di cinque o sei canzoni. Noi non lo siamo, ti diamo tutto quello che abbiamo, e come vedi dall'inedito, avanza anche roba. Siamo molto prolifici in generale. Magari è difficile mettere d’accordo i gusti di tutti, però quasi sempre troviamo una chiave di risoluzione. Le nostre esperienze sono tutte diverse: chi è legato all’hip hop e chi ne è completamente avulso, ed è legato all’elettronica.

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Mi viene in mente proprio Tayone, che tempo fa ci ha fatto un mix esclusivamente disco house.
Esatto, lui c’è arrivato per induzione. È nato in un contesto hip hop e ha fatto un percorso.

Certo, io stessa ho fatto un percorso simile. Ho ascoltato rap per un botto di anni e adesso sono molto più interessata ad altro.
C’è un errore qui. Molti pensano che indossi un mantello e sia una sorta di supereroe dell’hip hop. È sbagliato. Il mio punto di partenza è stata la dance, ho cominciato con la disco music e ci sono legato tantissimo. Difatti tutto quello che senti con quell’influenza lì, proviene da me. Abbiamo finito da poco un EP di remix, ed è strettamente dance. Per spinta mia, perché quelle sono le mie radici. Gli altri ne hanno altre, ovviamente, ma sono tutte molto forti e rivolte alla contemporaneità. Il discorso nostro di DJ, è che non devi sentirti obbligato a fare qualcosa che non ti appartiene, solo per piacere a qualcheduno. È verosimile che tu possa abbracciare diversi tipi di musica senza dover parruccarti. Possiamo davvero scegliere il meglio con dignità, in ogni genere di musica. Non siamo schiavi di un’etichetta, capisci?

A differenza forse di chi ha un mestiere un attimo più sotto i riflettori, come gli MC, nel mondo del rap almeno.
Il DJ ha questa peculiarità di non dover vestire per forza un vestito per vent’anni, tipo croce, per poi farti tirare le mele marce addosso quando si spengono le luci. Il DJ veste quello che vuole, in maniera intelligente e interpretando i tempi che ci sono. Gli excursus che facciamo vanno da reggae a jazz tradizionale, dall’house all’EDM, ci potrebbero dare degli sconsacranti. Invece no, lo facciamo con grossissima dignità. Se poi prendi tutti quelli che si devono camuffare per sfondare, e li vai a conoscere meglio nelle cosiddette stanze nascoste, vedrai che neanche loro si sanno spiegare come mai il vestito che stanno indossando non funzioni più. Tutti quanti ammettono la loro chiusura mentale prima o poi.

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Non molti ne sono consapevoli, in realtà.
Sto parlando non del classico ragazzetto, ma del musicista che sa quello che sta facendo. Ad esempio, molti che fanno musica in ambito rock o jazz ammettono di essere stati chiusi un un “ghetto” e non essersi aperti per tanti anni al mondo esterno. Chiunque veste il mantello del supereroe nel campo della musica, in un momento in cui c’è una fruizione della musica così veloce, rischia di essere bruciato proprio da quel meccanismo. È giusto che tu non debba tenere una croce per tutta la vita nei confronti di qualcosa, devi esplorarla la musica, e non farti rivoltare come un calzino da lei. In questi anni hai sempre vissuto di musica?
Praticamente sì. Insegno produzione, ma in generale vivo la vita in sintonia col suono. Penso ormai da moltissimo tempo che quello che faccio non è una cosa volta ad arrivare a un punto, ma realizzata a favore di chi ci segue e seguirà. Una cosa di cui sono molto fiero, è che di tutte le cose che ho fatto, non ce n’è una che mi faccia schifo. Se riprendo le mie cose, anche di dieci, dodici, quindici anni fa, e le riascolto, lo faccio con immenso piacere. L’altro giorno mi sono ritrovato in macchina un mio CD, l’ho ascoltato e mi piaceva come se l’avessi appena fatto. Certo, ti ritrovi immaturo in certi gesti.

Però diciamo che hai mantenuto una struttura ai tuoi lavori, che sicuramente sarà maturata ed evoluta, ma con cui in fondo ti puoi ancora confrontare.
Questa era l’unica cosa che cercavo, e che cercano molti miei soci nel gruppo. Un imprint che sia importante, cioé, che la propria mano si senta moltissimo in ogni traccia. Dovrebbe essere così anche nel mondo legato al rap…

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E infatti ho appena fatto quel parallelismo. È sempre così, pure in quel campo.
Già. Eppure non ci sono barre, non c’è rap se non c’è musica. E non c’è musica se non c’è DJ. Finisce tutto quanto, perché se stacchiamo la spina voglio vedere il senso musicale che vuoi dare alla faccenda. Quello che noi facciamo ha un imprint e se collaboriamo in tanti, è più che indispensabile che si senta la differenza di stile e tocco. Il punto più alto è quello di avere una formula, nel caso di Alien Army, e far sì che tutti noi creiamo quel suono x. Quattro teste che si trovano su dei suoni. Raramente siamo proprio d’accordo al cento percento su tutto, e questa cosa è molto buona perché ci stimola a rendere i nostri prodotti inattaccabili per gli altri. Tiriamo fuori lavori talmente fatti bene che, anche se non ti piace, ha senso mantenere. Non voglio dire che c’è “democrazia” fra noi, che è un termine veramente annoiante, ma meritocrazia. Chi è molto bravo a fare una cosa in un determinato ambito, avrà il suo posto.

Rendiamoci conto che per il mercato meritocrazia è diventato quasi sinonimo di talent show.
Questo è dovuto alla povertà di mercato e alla povertà di conoscenza delle etichette. Se tu pensi che i direttori artistici delle nostre etichette italiane, investono più denaro per talent show e hanno bisogno di una roba del genere per riuscire a mettere in comunicazione con l’uomo della strada. La musica in questo caso non ha niente a che vedere con te.

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Dj Skizo durante un incontro con Dj Kool Herc per i 40 anni dell'hip hop, al Leoncavallo.

Questa è una critica che muovi a chi si affida al meccanismo del talent o a chi lo genera?
Penso che sia l’etichetta che l’idea in sé del talent viaggiano in carrozzina alla perfezione. Li vedo molto vecchi come concezioni, così come li vedono vecchi gran parte degli artisti.

È comunque un format televisivo che esiste e che si è affermato, esattamente come l’utilizzo dei social network a fini commerciali. Ormai sono lì.
Non voglio demonizzare niente, figuriamoci. Un social network, come un talent, può essere un’accelerazione di tempi impiegata per ottenere determinati risultati. Laddove viene usata in maniera corretta, un’accelerazione di questo tipo è assai benvenuta. Se però viene usata per prendere una cosa e spulciarla, renderla capibile a tutti quanti, agghindarla ad hoc, il risultato è un fantoccio privo di personalità e non più funzionale.

Considera che in Italia si deve passare necessariamente da un talent, ad esempio, per avere una popstar di riferimento commerciale.
Forse fra vent’anni produrranno un DJ che sarà in grado di avvicinarsi di persona nelle gare convenzionate. Da una parte ci sono dei cartomanti, dall’altra dei mostri. Livelli completamente diversi. Questo non vuol dire che dobbiamo pensare costantemente che l’Italia sia un paese del terzo mondo…

Ma no, sono la prima ad avere fiducia in un fermento culturale riparatore che possa cambiare le cose lentamente, e dal basso.
Dobbiamo darci una svelta, fra cinquanta e passa giorni c’è Expo e saremo sotto gli occhi di migliaia di cristiani che di esperienza ne hanno eccome.

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Oddio, Expo è un tema molto controverso.
Certo, che siano pronti due capannoni su cinquantaquattro o no, qualcosa dovrà succedere. A meno che non chiudano tutto. Nel bene e nel male saremo sotto a uno specchio. Non voglio entrare nella polemica delle mafie e della moralità di Expo, ma mi sono fatto un’idea personale. Sicuramente sarà una bell’avventura per tutto ciò che c’è intorno, per tutte quelle realtà che non rientrano nell’ingranaggio ufficiale. Parlo a livello culturale, urbanistico, di fruizione della città.

Sì, è una conseguenza inevitabile di un avvenimento mastodontico, nostro malgrado, come Expo. Ma se ci si deve “approfittare” in termini di resa e notorietà, facendo leva su principi in cui facciamo fatica a rispecchiarci, non è proprio il caso, a mio avviso.
Sicuramente. Io penso che ogni piccolo imprenditore, o artista, ha nasato già da tempo che Expo è una grossissima opportunità di introiti. Ormai il novanta percento di tutte le contrattazioni di qualsiasi evento che sto sentendo, che possano coinvolgere artisti o meno, prevedono la frase introduttiva: “Sarà una cosa della madonna, c’è Expo.” Secondo la gente Superman Expo salverà qualsiasi cosa. Ma dove dai…

Eh. Torniamo a noi però, che stiamo divagando. Contribuire allo sviluppo di una scena ha senso se lo si fa con integrità, perlomeno. Nel rap è molto fraintendibile questo concetto, me ne rendo conto.
Assolutamente. Usiamo questo metodo anche all’estero, perché anche nell’album abbiamo un po’ di collaborazioni piuttosto altisonanti, e abbiamo dovuto usare intercalari in inglese per generalizzarci. Se si vanno a sentire le singole tracce, dietro ognuna di essa c’è un messaggio. Non è detto che tutti lo colgano, ma noi sappiamo che c’è. Questo è rimasto immutato nel tempo, anche perché abbiamo dei riferimenti musicali fissi, che amiamo campionare praticamente in ogni disco, con arrangiamenti diversi.

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Ad esempio?
Ti rivelo dei segreti… La colonna sonora di Betty Blue, o quella di Blade Runner. Lo stesso suono per me ha significati diversi nel ‘90, nel 2000, etc. Lo interpreto sempre in modo diverso.

Mi piace che non vi ispiriate esclusivamente a sonorità legate al mondo del rap. Pensavo proprio ora all’anniversario della morte di Biggie e a come tutti, anche i meno sospetti, si siano improvvisamente ricordati di quanto fondamentale e d’ispirazione sia stata la sua musica.
Il tributo a Biggie ci sta. Fa ridere sì che Kendrick Lamar faccia un omaggio a Biggie, in effetti.

No ecco, non mi riferivo di certo a Lamar, che apprezzo davvero tanto. Tu ci hai visto della malizia?
No, non vedo malizia. È che io quel momento iniziatico Biggie/Wu-Tang l’ho vissuto in prima persona, non ci sono arrivato da fan italiano. In quel periodo abitavo a New York, e ho visto le cose in tutt’altro modo rispetto a qui. Biggie non era nient’altro che il suono genuino che c’era nelle strade, in quegli anni. Invece che camuffarlo, imbacuccarlo da qualcos’altro, quello era esattamente il suono che c’era a mezzogiorno in strada a New York. E alle 12.15 è arrivato in radio. Il suono del Wu-Tang è arrivato alle 12.01, figurati. Il loro primo disco era una cassetta venduta in strada, chiunque vivesse a Brooklyn ci si sarebbe rispecchiato. Immaginati, sei un giovane che sta giocando in un campo di basket e un secondo dopo senti in radio un tizio che parla esattamente come te.

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Quello più Biggie che il Wu-Tang, forse.
Sì, Biggie era esattamente quello che si diceva per strada in quegli anni. La reazione di tutti era “È uno di noi.” In una città in cui c’era un fermento assurdo, in cui cambiava in continuazione il linguaggio, il modo di atteggiarsi, tutto. Lui era l’esatta fotografia di quell’istante, ed era in radio. È difficile che oggi tu accendi la radio domattina e trovi qualcuno che ti rappresenta così tanto, ed è così attuale, non solo dal punto di vista estetico. Questa cosa è durata molto, circa due anni. Era incredibile. Te lo dico perché molte cose oggi ci arrivano e vanno interpretate, ma lì l’interpretazione era una sola: “Ce l’ha fatta uno come noi, che non dice niente di diverso da quello che potremmo dire noi”. Questo manca oggi in Italia. Mi piacerebbe individuare un rapper italiano che parli della quotidianità, senza suonare forzato.

Be’ dai è successo in Italia, periodicamente almeno.
Sì, sicuro. Oggi è più una questione generazionale.

Kendrick Lamar per esempio, a differenza di tanti altri, non mi sembra manchi di contenuto non convenzionale. E allo stesso tempo molti riescono a identificarsi in lui, forse anche solo per la sua umiltà.
Ti passo che di tanto in tanto trovo il pelo nell’uovo inutilmente. Chi ha vissuto un certo periodo in prima persona, guarda con molto sospetto il presente. Per tornare al discorso dei DJ, i DJ di adesso sono tecnicamente più avanti di quelli di un tempo. In mezzo ci sono nuove leve estremamente promettenti, il che è un bene. Nel rap non vedo questa corrispondenza, nel 2015, rispetto a prima. Faccio molta fatica, almeno.

Ovvio che essendo noi di due generazioni diverse abbiamo approcci diversi alla stessa materia. Credo che il sospetto di cui parli sia una reazione involontaria.
Sì, è vero. Molto probabilmente è così, dico solo che la convinzione per cui se sei innovativo sei per forza in gamba è vera solo in parte.

Sicuramente un livello minimo di conoscenza ci deve essere, sono d’accordissimo.
È questo il problema che non si pone molta gente. Che non stai affrontando in maniera leggera una robetta spicciola. Stai affrontando un’intera cultura. Fino a che tu nuoterai in un contenitore chiamato hip hop, che ha cinquant’anni ormai, non potrai discernere da certe cose. Potrai essere leggero, ma fino a un certo punto. Non è easy listening, è una roba molto complicata che per arrivare anche a Kendrick Lamar è dovuta passare attraverso mille peripezie. Se le nuove generazioni si vogliono spogliare di questa cultura…

Non credo che le nuove generazioni se ne vogliano spogliare, credo che sia solo una conseguenza del fatto che è tutto molto più accessibile e realizzabile rispetto a prima. Questo implica che molti canoni cambino. Non si annullano, ma diventano altro, che logicamente si distanziano sempre di più da quelli originari. Serve aver visto questi cambiamenti senza il sospetto di cui sopra, per capire perché molti ne siano così orgogliosi.
Potrai essere orgoglioso quanto vuoi, ma nel periodo di Biggie, in un anno uscivano quindici prodotti di cui ancora adesso ti ricordi, perché sono passati alla storia. Quest’anno in tutto il mondo ne saranno usciti ventimila di prodotti, di cui se ne salva mezzo.

Sono quasi convinta che meno percorsi strutturati uno si fa, meglio vive. Pure io ho cominciato con l’old school e poi sono passata a Maruego.
Per quanto riguarda Maruego, sono consapevole che gli eccessi attraggono. Vorrei comunque chiarirti che molta poca gente sa cosa c’è stato prima in Italia. Parlando di me, appartengo a una categoria di precursori a cui ultimamente sono state chiuse un sacco di porte. Non è che perché alcuni di noi hanno la maglietta da supereroe del rap, allora tutti ci riveriscono. Assolutamente. Il personale contributo che potremmo dare noi a questo “rinnovamento” non penso che avverrà nell’immediato, ma in un futuro andremo a cercare qualcheduno che secondo noi parla la lingua della strada e lo produrremo musicalmente con i nostri canoni musicali. Abbiamo già sott’occhio tre o quattro persone che vorremmo coinvolgere. Come DJ devi solo trovare qualcuno che voglia indossare il vestito della tua musica, e che sia attuale e fresco. Senza voler strafare, come nostro solito. Poi sono d’accordo con te che bisogna farsi meno pippe.

Già. Bello anche parlare di tutto questo, considerando che non sto praticamente più ascoltando rap.
E la tua vita sorride uguale?

Minchia se sorride…
Ahahah.

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