FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Bentornato Earl

Ho fatto da stalker al mio rapper preferito.

Da bravo teenager, ho deciso di andarmene dalla città per lo Spring Break. Los Angeles mi sembrava l’opzione migliore—era l’esatto opposto di Salt Lake City—e una fatidica mattina di metà marzo mi sono svegliato in un dormitorio sconosciuto della UCLA con alcuni versi di Earl Sweatshirt che mi frullavano in testa, un ricordo musicale della sbornia della sera precedente.

Mi sono mangiato una banana, mi sono allacciato le Converse, mi sono infilato la mia felpa preferita degli Atlanta Braves (cosa che speravo potesse essere gradita a un membro degli Odd Future) e sono uscito. Così ho iniziato la mia ricerca.

Pubblicità

Non c’erano cartine o navigatori a guidarmi in questo viaggio. Non avevo idea di dove stessi andando. Non avevo altro indizio se non quello postato su Twitter da Earl il giorno prima, che avevo già imparato a memoria, ma anche salvato sul cellulare nel caso mi fossi dimenticato qualche dettaglio importante. Aveva lanciato un’offerta allettante ai suoi follower che non volevo farmi scappare. Aveva scritto: “Ehi, se siete a Los Angeles venite dal 7 all’11 da Olympic and Barrington, comprate questa maglietta e incontriamoci. Mi servono soldi per mangiare. Saremo lì per le 3.” Mi sono sentito il cuore in gola. Il mio rapper preferito in vita, di cui si erano perse le tracce da più di un anno, era tornato, disposto a incontrare chiunque volesse comprare una sua maglietta, in modo da poter mangiare qualcosa.

Pochi minuti dopo essere atterrato a Los Angeles, mi sono ritrovato ancora una volta a controllare febbrilmente l’account di Earl su Twitter. “Rieccomi,” diceva, “Cazzo, venderò questa maglietta. Domani stessa ora da Stoner Doe. Forse.” Nessuno voleva la maglia di Earl: la cosa era triste, ma giocava a mio favore. Avevo un’altra occasione. Il suo tweet un po’ criptico mi ha spinto a cercare “LA Stoner” su Google, portandomi, oltre a numerosi richiami a una controcultura erbivora, a uno skate park vicino a Santa Monica, che stava a cinque chilometri dal dormitorio del mio amico alla UCLA. Valeva la pena tentare.

Pubblicità

Ho lasciato il dormitorio e ho cominciato a camminare, poi ho cominciato a camminare velocemente, poi ad andare come un treno. In pochi minuti sono arrivato allo Stoner Skate Park e mi sono seduto su una panchina, cercando di nascondere il fatto di non avere uno skateboard. Stavo solo aspettando, controllando il Twitter di Earl, quando ecco spuntarne un altro: “Siamo in macchina cercando di vendere questa maglietta. Magari ci fermiamo a Westwood per un panino, yo!” Westwood? Che cazzo dici, Earl? È da dove sono partito! Ma ho pensato che fosse inutile lasciare subito lo Stoner Park; forse sarebbe arrivato dopo il panino. Dopo un lungo minuto in cui il mio cuore batteva all’impazzata, ha postato un altro tweet: “Siamo da Fatburger.”

In un secondo ero fuori, correndo il più velocemente possibile sul marciapiede, e sono saltato nel primo taxi che ho trovato. Dieci minuti dopo ci siamo fermati da Fatburger, dove ho subito visto Earl con la maglietta in mano, di fronte a un furgone rosso. Ho urlato: “Earl! Aspetta!” Poi ho visto i soldi che stringeva nel pugno. Era troppo tardi. Altri due fan mi avevano battuto. Mi sono reso conto di averli già visti—erano gli stessi tizi che avevo visto aspettare in un furgone allo Stoner Skate Park. Ho abbassato la testa e ho ammesso la sconfitta, ancora con il fiatone.

Sono andato da Earl e gli ho detto che ero letteralmente corso lì per vederlo, come dimostrava il mio fiatone. Come premio di consolazione, mi ha allungato qualche adesivo e io gli ho chiesto una fotografia veloce, l’unico modo per convincere i miei amici di averlo veramente incontrato, una volta tornato a casa. Ha accettato e dopo avermi battuto il cinque è tornato a finire il suo panino con gli amici.

Pubblicità

Proprio mentre stavo per andarmene, mi sono girato verso Earl e gli ho chiesto: “Posso mangiare con voi?” Non era affatto una cosa da me. Non sono mai così sfacciato, specialmente di fronte a qualcuno che praticamente idolatro. Mi ha risposto invitandomi a entrare con una mano. Dopo un respiro profondo, l’ho seguito. Ho salutato i suoi quattro amici, anche loro all’ultimo anno di liceo in pausa pranzo, e ho ordinato il mio pranzo, sedendomi di fronte ad Earl, che era già immerso nelle sue patatine.

La conversazione era quella che ci si aspetta da un gruppo di ragazzi dell’ultimo anno di liceo: ragazze, università, lezioni, hip hop e cibo. Ho chiesto agli altri in quale università volevano andare l’anno seguente, e gli ho detto che io avrei studiato cinema alla NYU. Speravo che Earl cogliesse l’allusione e magari mi chiedesse di girare un video per lui, ma suppongo che non si possa pretendere che tutti i tuoi sogni si avverino nello stesso giorno.

Ho chiesto a Earl dove sarebbe andato l’anno prossimo, e mi ha risposto: “Alla scuola di vita, cazzo!” Sono scoppiato a ridere, e le battute non si sono fermate lì. Quando è entrato un gruppo di vecchietti col bastone, Earl ha voltato la testa verso la porta e ha urlato: “Ecco i miei veri fan.” Ha riciclato la stessa battuta quando sono entrati nel locale alcuni bambini, seguiti dalle loro madri.

Il pranzo è continuato. Il mio cuore ha ricominciato a battere normalmente, e il mio panino è scomparso velocemente. Mi sono offerto di pagare a tutti dei frappé, ma Earl si è subito rifiutato, sostenendo che sapeva che “mi meritavo qualcosa di più forte.” Suppongo che in realtà non volesse approfittare del tutto dei suoi fan, o forse non si rendeva conto di quanto piacesse alla gente. Prima di alzarci, Earl mi ha detto di postare su Twitter la sua foto, chiamandomi “bello” per scherzo. Ho subito obbedito, felice come un bambino. Mentre si preparava per uscire, ho scattato qualche altra foto e gli ho chiesto di autografare il mio adesivo. Si è firmato “Gesù.” L’ho ringraziato e ci siamo scambiati un altro cinque. Quando gli ho accennato che speravo di vederlo al concerto degli Odd Future ad Atlanta, mi ha detto che non ce l’avrebbe fatta e mi ha salutato velocemente con un sorriso. Ecco che se n’era andato—scomparso un’altra volta.

Mi ci è voluta qualche ora per digerire il tutto. Avevo incontrato Earl Sweatshirt in persona, la giovane star del rap scomparsa al culmine della sua popolarità. L’avevo trovato. Non potendo far altro che sorridere, ho cominciato a camminare lentamente per Westwood, salutando la gente, tenendo aperte le porte a sconosciuti in negozi a caso e godendomi l’estasi mistica derivante dal mio incontro con quel prodigio perduto dell’hip hop. Quando ho controllato il mio telefono per vedere che ora fosse, ho visto una notifica di Twitter: @earlxsweat aveva ritwittato la mia foto. Da lì a poco hanno cominciato a rispondere i follower, che alla fine della serata erano diventati 70. Innumerevoli fan di Earl che non conoscevo mi chiedevano della mia esperienza. Hanno twittato di quanto fossi fortunato, di quanto assomigliassi a Tyler Craven, di quanto il mio nickname, @thefrajo, fosse stupido.

Di certo, in fin dei conti, la mia vita non è cambiata. Non mi hanno chiesto di entrare a far parte degli Odd Future. Non mi è stato chiesto di girare un video per Earl. Sono solo l’ennesimo fan bianco e adolescente che pensa che la loro musica rispecchi perfettamente la mia generazione e la nostra cultura. Amen.