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Attualità

Veloce come il vento è il film che ha risolto il problema di Stefano Accorsi

Veloce come il vento di Matteo Rovere ha come merito principale quello di essere riuscito a far interpretare a Stefano Accorsi, per la prima volta in carriera, un personaggio credibile.
Still dal film Veloce come il vento.

Attenzione: questo articolo parla anche di Veloce come il Vento. Potrebbe quindi contenere qualche spoiler.

Ieri sera immaginavo di stare per entrare in un pub all'interno del quale, a un tavolo, era seduto Stefano Accorsi che sorseggiava una birra. Lo immaginavo non perché abbia chissà quale feticismo per il principale esponente della generazione Muccino, ma per il semplice fatto che qualcuno, non ricordo neanche chi, mi avesse ripreso per la rapida espansione del mio ego. Sarebbe riuscito quel pub a contenere me, Accorsi e i nostri due, giganteschi, ego? No. Per questo motivo non riesco a odiare Stefano Accorsi, anche se la gran parte del pubblico italiano sembra pensare il contrario: chiedete a chiunque vi stia vicino e abbia meno di cinquant'anni un parere su di lui, e vi diranno che è un attore "cane, pure sopravvalutato" (una citazione a caso tra le tante da me raccolte). Ciononostante, negli ultimi anni la sua immagine ci ha tormentati, e tra pubblicità, film e serie TV, il suo sorriso sornione e la sua voce impostata ci sono apparse anche in sogno senza nessuna via di scampo.

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Poi è arrivato Veloce come il vento, parte della saga tanto cara alla critica online del "Rinascimento del cinema italiano" comprendente film come Suburra o Lo chiamavano Jeeg Robot. Il film è la storia romanzata—o liberamente ispirata—di Carlo Capone, ex pilota che oggi vive in una struttura psichiatrica piemontese, interpretato, appunto, da Stefano Accorsi. C'è chi lo ha definito "il miglior film sulle auto mai fatto in Italia", chi lo ha paragonato a una lista infinita di titoli e chi a un bicchiere di vino. Fortunatamente in questo caso il tutto coincide con quello che alla fine potremmo definire un buon film, un dramma da lacrime e abbracci con un contorno interessante (e inedito) come quello delle corse.

Come già per Jeeg Robot, ciò che stupisce, più che la storia in sé—di tanto in tanto esasperata al massimo per far sentire a casa Accorsi—è il fatto che questo contorno sia curato quanto il tema principale e che la realizzazione sia tecnicamente decente. Ovvero: le gare sono riprese di vere gare e non filmati d'archivio RAI del 1954, e sono seguite da veri piloti, con vere macchine da corsa.

Se dovessi partecipare anche io allo sport del paragone, potrei dire che Veloce come il vento è un po' il nostro The Fighter: la droga, l'amore fraterno, gli allenamenti, l'apice della fama e il crollo immancabile. La frase che ho sentito di più, pronunciata da tutti coloro che hanno guardato il film, è stata però, "Bello, nonostante Stefano Accorsi."

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Se in tanti non sopportano Stefano Accorsi è forse per il "Da un'idea di Stefano Accorsi" messo in testa a ogni episodio della soap opera più bella degli ultimi anni, se solo non avesse avuto delle intenzioni di ricostruzione storica. Altri lo definiscono poco espressivo, uno che "recita sempre allo stesso modo, poco importa se si tratta dello spot di un gelato o di una serie drammatica." Altri ancora lo ritengono "perennemente fuori posto" (altra citazione a caso tra le tante da me raccolte).

Ecco, se c'è una sensazione che ho avuto guardando Veloce come il vento, e quindi un enorme pregio da assegnare al film, è che qui Accorsi non sembri così fuori posto. In pratica, è impossibile non uscire dalla sala e pensare: "Cazzo, dovrebbe fare il tossico. Sempre." Per capire perché basta giocare sporco e prendere due tra i film più famosi di Accorsi, quelli che hanno titoli con la parola bacio e Muccino alla regia (deadly combination). Ciò che mi infastidisce ai limiti dello spegnere tutto di quei film—tralasciando la colonna sonora di Jovanotti—è la surreale perfezione di Stefano Accorsi che piace e si piace. In quei film Accorsi ha una mimica statuaria e perfetta, lo sguardo sempre profondissimo, una dizione senza alcuna sbavatura, riesce a essere bello pure sotto la pioggia mentre urla il nome di qualche malcapitata o mentre urla in casa o mentre urla in macchina. Che mi ricordi, in quel film urla sempre. Le collaborazioni con Muccino, però, non sono l'unico problema: i ruoli di Accorsi, fino ad ora, sono stati abbastanza limitati. Fa il giovane pur non essendo giovane da più di metà della sua vita, oppure fa il trentenne turbato, ma con una tale perfezione e scomposta compostezza da risultare di plastica, come quando non suoni R. Kelly. E quando non fa questi ruoli, fa i film di Ligabue.

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Chiunque dotato di un raziocinio sa che tutto ciò che sta facendo sullo schermo Accorsi non succederà MAI così teatrale nella vita reale, neanche preferire il Maxibon a qualsiasi altra forma di gelato sulla terra. Stefano Accorsi è, molto semplicemente, irritante. Ma dargli una pipa da crack in mano, come accade in Veloce come il vento, sembrerebbe riuscire nell'impossibile impresa di giustificare tutta la sua teatralità. Al di là della droga e i capelli unti che indubbiamente aiutano, per la prima volta ho trovato che un suo personaggio avesse senso e che quindi ne guadagnasse tutto il film. Non c'è un racconto molto dettagliato del suo passato, probabilmente per evitare il classico momento "personaggio che senza motivo racconta una storia lunghissima perché lo sceneggiatore non avrebbe saputo come altro infilarla nella narrazione," e per questo bisogna ringraziare chiunque abbia lavorato al film, ma il punto è: il tormento di Stefano Accorsi sembra reale.

Il momento in cui tira una testata a un teddy boy è surreale, ma ben inquadrato, e rientra perfettamente nei comportamenti del personaggio. Grazie alla parlata emiliana adottata dal suo personaggio, per la prima volta guardando un suo film non ho avuto l'impressione di essere a una lezione di dizione. E poi, anche qui per la prima volta, una scena di lui che urla il nome di una donna sotto la pioggia ha perfettamente senso.

Questa scena.

In un certo senso il suo ego influenza comunque il personaggio, che rimane fascinoso e con un fisico statuario nonostante una manciata di denti in bocca e le unghie nere. Non mancano poi episodi così surreali che non possono essere giustificati neanche dalla droga, ma in definitiva, nonostante qualche piccola sbavatura, questo è il miglior Stefano Accorsi che abbia mai visto. Ora devo togliermi dalla testa che basti una pipetta per essere la versione migliore di se stessi, perché non credo aiuterebbe la mia carriera. Ma per il resto posso ringraziare Stefano Accorsi per avermi permesso di fare coming out.

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