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Ma quanto è ridicolo dire che protestare contro il Congresso di Verona è 'dargli visibilità'?

Stranamente, la maggior parte di quelli che lo dicono sono uomini etero, gli unici che dal Congresso e dai loro sostenitori non hanno nulla da temere.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Vincenzo Ligresti
Milan, IT
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Tutte le foto del Corteo Transfemminista di Verona di Vincenzo Ligresti.

La copertura mediatica di una manifestazione in Italia è un eterno giorno della marmotta—un qualcosa destinato a ripetersi all’infinito, sempre con gli stessi schemi.

Solo per fare qualche esempio: se è un corteo per il clima—come i #FridaysForFuture—lo si racconta solo quando è grosso, ma con un certo fastidio, e premurandosi di cospargerlo di paternalismo; se è un qualcosa contro Salvini, è un “favore” a Salvini; se è un corteo femminista, be’, allora nove volte su dieci semplicemente non esiste.

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Nell’unico caso in cui non si può davvero far finta di niente, immancabilmente parte una lunga serie di distinguo. Lo si è visto in maniera davvero plateale, prima e durante il fine settimana, in riferimento a “Verona transfemminista”—la tre giorni di protesta organizzata da Non Una Di Meno e altre realtà contro il Congresso Mondiale delle Famiglie (World Congress of Families – WCF), culminata con la manifestazione di sabato.

Tralasciando il patetico vittimismo degli organizzatori del WCF—che sono arrivati a paragonarsi ai neri “ai tempi della segregazione”—e le esternazioni di Vittorio Feltri, sui social (e non solo) sono girate diverse opinioni contrarie alla protesta; e non sono arrivate solo da destra. Siccome mi sembrano critiche fuori fuoco o direttamente allucinanti, per comodità d’analisi le raccoglierò in tre categorie.

La prima è quella secondo cui “il Congresso delle Famiglie andava ignorato.” Dopotutto, si trattava solo dell’evento di un pugno di fanatici retrogradi e fuori dal mondo—o di “sfigati,” come ha detto Luigi Di Maio, che vanno in giro con mini-feti chiamati “Michele”; non vale proprio la pena perdere tempo ed energie con questa gente, no?

Ecco, non potrebbe esserci un focus più sballato. Come abbiamo ricostruito qui su VICE, il WCF è di gran lunga il più importante meeting internazionale di gruppi e movimenti anti-scelta. Esiste da quasi trent’anni, e nel corso del tempo è diventato una specie di “prodotto” molto appetibile per le destre europee.

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Tra l’altro, ignorare qualcosa che non ci piace non è mai stata una strategia particolarmente brillante. Anche perché, banalmente, i partecipanti al Congresso sono i primi a non ignorare i loro bersagli: al di là della retorica patinata e positiva sulla “vita” e sulla “famiglia,” nel corso di tutto il weekend si sono susseguite dichiarazioni piuttosto violente sull’aborto (paragonato a un delitto) o sugli omosessuali, soggetti da “convertire” o “guarire.”

La seconda, strettamente correlata alla prima, è che la contestazione “dà troppa visibilità” a una cosa tutto sommato marginale. Nulla di nuovo in questa argomentazione, per carità: qualche anno fa, ogni protesta contro Matteo Salvini veniva considerata la prima causa del successo mediatico del leader leghista—nonostante lo stesso occupi militarmente le trasmissioni televisive, da mattina a sera.

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Ma, per l’appunto, il WCF è un evento tutt’altro che marginale. E questa edizione ha visto la partecipazione di tre ministri, compreso il vicepremier; di parlamentari letteralmente organici al movimento “no gender” come Simone Pillon; o leader di partito come Giorgia Meloni. Il presidente stesso del WCF, Brian Brown, è uno dei più conosciuti attivisti anti-LGBTQI+ al mondo.

Il Congresso si è poi tenuto alla Gran Guardia, uno dei palazzi principali di Verona, con l’appoggio entusiasta del comune; e Verona è un laboratorio politico in cui si intrecciano leghismo, estremismo di destra e tradizionalismo cattolico. Ossia un modello che la Lega di Matteo Salvini vorrebbe esportare anche altrove.

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Stiamo pertanto parlando di un evento e di personaggi che, di loro, hanno già un’elevata visibilità. Non hanno certamente bisogno di una spintarella per apparire sui media.

Tra l’altro, non tutta la visibilità è positiva: le analisi e le inchieste uscite negli ultimi mesi hanno inequivocabilmente mostrato—per usare le parole di Neil Datta, autore del fondamentale rapporto Ristabilire l’ordine naturale—che il WCF è tutt’altro che “un’iniziativa dal basso di religiosi e cristiani. È piuttosto un forum riservato a élite di vario genere, che si scambiano idee e provano a convincersi che quelle stesse idee estremiste siano in qualche modo popolari.”

La terza, infine, recita più o meno così: “se si contesta un evento del genere, allora lo si vuole censurare!” Questa è l’argomentazione di gran lunga più insidiosa, perché si appella a quella che Luigi Manconi definisce “una concezione tecnica e neutrale della dialettica democratica e del libero confronto tra opzioni diverse.”

In pratica: se uno ha determinate idee, anche pessime, perché non dovrebbe essere completamente libero di esprimerle? Andare contro a certe idee, dunque, implica una qualche forma di “censura.” È un po’ quello che ha detto Giuseppe Cruciani de La Zanzara il primo giorno, apparendo a sorpresa sul palco del WCF: “Ovunque cercheranno di vietare a voi di parlare, ma a quel punto sarò uno di voi.”

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Oppure, come ha suggerito Enrico Mentana, non sarebbe meglio confrontarsi pacatamente nel fantasmagorico “mercato delle idee,” senza fare tutto questo bordello? Così facendo, alla fine, si vince tutti insieme.

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Be’, no. Il punto è le persone che organizzano e partecipano al Congresso Mondiale delle famiglie parlano eccome—lo fanno da più di trent’anni a questa parte. E quelle parole sono tutte volte a imporre un modello di famiglia patriarcale, nonché a opporsi a matrimoni gay, aborto, e ogni politica progressista in fatto di sessualità, famiglia o identità di genere. In più, sono parole che hanno un peso: creano reti di di relazioni, fanno convergere una pioggia di soldi su organizzazioni e gruppi, e delineano strategie che possono tradursi in realtà attraverso norme e leggi—come sta succedendo in Italia e altrove.

Se chi subisce questa agenda protesta, non lo fa per regalare visibilità a casaccio o per insopprimibili istinti censori: lo fa per esercitare una pressione politica (anche su questa maggioranza parlamentare), per ribadire che esistono delle linee invalicabili, e soprattutto perché il suo corpo e i suoi diritti sono minacciati concretamente. Non è così difficile da capire.

E infatti, non è affatto sorprendente che molte di queste critiche siano arrivate da maschi bianchi di una certa età. Cioè da soggetti che dal Congresso Mondiale delle Famiglie e dai loro sostenitori non avranno mai e poi mai nulla da temere.

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