Musica

"Il pop del futuro" è una cazzata, Charli XCX è il presente

Miley Cyrus ha portato l’attitudine rap e gli eccessi nel pop? Billie Eilish ne ha rivoluzionato l’estetica? Bé, prima di loro c’era Charli XCX, la popstar più incompresa dei nostri tempi.
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La copertina di Charli di Charli XCX

Charli XCX si esibirà al Fabrique di Milano lunedì 18 novembre, i biglietti sono in vendita adesso.

"Nell'ultimo anno ho pianto un sacco, è stato assurdo. In un certo senso sono una cattiva pop star, dato che tutto dovrebbe essere sempre fantastico per me, ma non lo è—ed è una merda quando la gente finge che sia così. Ma adoro sapere che tutto potrebbe succedere. È per questo che lo faccio."

L'anno, quell'ultimo anno, era il 2013. Charli XCX stava venendo intervistata dal Guardian in una stanza d'hotel a Budapest, appena prima di un'esibizione a un festival. Era a letto e stava mangiando un'insalata mentre rispondeva. Ci aveva messo sette anni ad arrivare lì, a rendere la sua musica un lavoro e a rendersi subito conto che le popstar perfette erano una cosa del passato. Che i nostri tempi sono fatti di ansia, ironia, lagne e nostalgia.

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Oggi cercare "Charli XCX interview" su Google significa essere bombardati da una trentina di articoli che la definiscono "la pop star del futuro", a dimostrare 1) che nel giornalismo musicale il concetto di "futuro" è inflazionato e 2) che è difficile trovare un modo per spiegare Charli XCX a chi non la conosce e condivide la sua sensibilità artistica ed estetica—che è in realtà perfettamente contemporanea più che futuribile. E lo è sempre stata, fin dagli inizi della sua carriera.

Aveva cominciato giovane Charli, a sedici anni. Già nel 2008 si esibiva a Londra est per "raver fatti di ketamina"—la sua musica una versione volutamente esagerata dell'electropop buono sia per i blog che per le classifiche di Uffie, una ragazza che in quegli anni con "Pop The Glock" aveva già inconsapevolmente regalato al mondo un esempio di come lo sporco e l'imperfetto potessero diventare appetibili per la massa informe del pubblico generalista. Sempre il Guardian, all'epoca, la chiamò "una M.I.A. adolescente".

Con queste aspettative era ovvio che una major le offrisse un contratto, ma lei non aveva bene idea di cosa farci: "All'epoca odiavo il pop, volevo fare rap brutto. Non sapevo chi ero". E ancora: "Non volevo fare musica pop, volevo fare canzoni strambe da performance artistica, roba che potessi suonare ai rave vestita come Marge Simpson." E così la sua etichetta la mandò a Los Angeles a lavorale con Ariel Rechtshaid, un producer che hanno formato il suono dell'oggi—misto, ibrido, frullato—e nel cui curriculum ci sono i Vampire Weekend, ma anche Madonna, ma anche i Major Lazer, ma anche Sky Ferreira. Risultato? All'alba dell'era del poptimism, non poteva che arrivare un Best New Music su Pitchfork.

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"Non volevo fare musica pop, volevo fare canzoni strambe da performance artistica, roba che potessi suonare ai rave vestita come Marge Simpson"

E proprio lì è nato il più grande problema e il più grande pregio di Charli: da un lato è un'autrice pop capace di scrivere quelle canzoni che entrano nelle teste di milioni di persone, dall'altro è una ragazza a cui piace tutta la musica, soprattutto quella strana ed esagerata, e non ha intenzione di mettere il suo nome su cose che non rispecchiano questa sua convinzione. La soluzione? Mettere il suo nome al servizio di altri artisti dall'identità meno forte.

La prima volta che il nome di Charli XCX arriva a chiunque, infatti, è nel 2012. Il suo nome è su "I Love It" delle Icona Pop, un duo di DJ svedesi che avrà in quel pezzo la sua unica, vera grande hit—un pezzo che all'epoca girava su qualsiasi radio e in qualsiasi club in tutto il mondo, sorretto dalla forza di un ritornello roboante e menefreghista fin dal titolo, rafforzato da un testo in cui già si poteva prevedere la Miley Cyrus libertina tutta diti medi di Bangerz: "You're from the '70s, but I'm a '90s bitch", gridava Charli, e con lei un sacco di altra gente.

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Charli XCX, fotografia promozionale (2013)

"I Love It" dà a Charli credibilità commerciale, e quindi nel 2013 arriva il suo esordio True Romance —un disco pop che, per intenderci riguardo alla natura del materiale che lo compone, già al secondo pezzo campiona un genio dell'underground elettronico americano come Baths. Però le folle grandi diventano ancora più grandi quando, ancora una volta, presta il suo servizio a un'altra voce: quella di Iggy Azalea, di cui nel 2014 firma "Fancy".

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Però, in quel periodo, Charli è insoddisfatta: "Ero orgogliosa di quello che pubblicavo, ma ho capito che non era la musica che volevo ascoltare nel mio tempo libero. Non era quello che volevo sentire quando andavo a ballare". Nel 2015 esce SUCKER, il suo secondo album: funziona bene, lei viene inquadrata come neo-icona femminista, ma non è ancora quello che Charli ha sempre voluto fare, cioè pop per la gente che—come lei—non ascolta pop. "La copertina di SUCKER colpisce l'occhio e rappresenta bene la sua musica", aveva scritto Noisey UK di quel periodo, "cioè luminosa, audace, piena di carattere. Ma poteva stare sul disco di chiunque, da Katy Perry a Miley Cyrus, passando per Demi Lovato".

Il 2017 è l'anno in cui il pop colma finalmente il gap con Charli.

Fortunatamente sul suo percorso incontra un collettivo che, guarda caso, sta giusto giusto facendo pop per gente che non ascolta pop. L'ha fondato tale A.G. Cook, si chiama PC Music, e fa elettronica HD, zuccherina, iperreale, queer, cantata, esagerata—fino a sfociare nella performance art. Tutti aggettivi perfetti per descrivere il Vroom Vroom EP (prodotto da SOPHIE), Number 1 Angel e Pop 2, i primi progetti che, se ascoltati oggi, hanno chiaramente dentro tutte le caratteristiche che definiscono il pop più avanguardistico di oggi: il 2017 è, insomma, l'anno in cui il pop colma finalmente il gap con Charli.

"La storia della carriera di Charli finora non è stata fatta di frenate e ripartenze: la realtà è che è sempre stata diversi passi avanti rispetto a tutti gli altri, e che non ha mai avuto la pazienza di aspettare che il mondo la raggiungesse", scriveva Noisey UK due anni fa. Lei era in pace: inserita alla perfezione nell'industria musicale, ma abbastanza libera dal classico ciclo di promozione e pubblicazione di inediti. "Non so nemmeno se pubblicherò un album", disse a The FADER in quel periodo, "L'album è una cosa in cui vale la pena investire per me in quanto artista? Non saprei".

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La copertina di Pop 2 di Charli XCX, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Charli era, ed è tuttora, la conferma che la musica ibrida era davvero il futuro, come si diceva da un paio d'anni a quella parte. Su Pop 2, che già dal titolo diceva, "Hey! Questa è una cosa nuova!", tutto era fluido, queer, sconfinato, traslucido. C'era l'eroina drag brasiliana Pablo Vittar, il rapper estone Tommy Cash e quello sudcoreano Jay Park, la popstar per poptimisti Carly Rae Jepsen e quella per indie convinti Caroline Polachek, quel modello di liberazione sessuale nella lingua del rap che è cupcakKe. Tutti nomi e tutte qualità che il pop più industriale, oggi, imita e prende per farsi woke, contemporaneo, figo.

E quindi è strano che ancora oggi i titoli delle interviste a Charli XCX siano incentrati sul futuro, come se l'essere (ancora) fluidi, queer, sconfinati, traslucidi sia ancora una proiezione e non un prendere atto del proprio stato, qui e adesso. Charli non è la popstar del futuro, è la popstar di oggi. Quella che "è dentro la macchina, sa come funziona e la vuole fermare", secondo le parole di Adelaïde Letissier, cioè Christine and the Queens, cioè sua compagna di traccia su "Gone"—il pezzo di punta di Charli, il suo nuovo album.

È strano che ancora oggi i titoli delle interviste a Charli XCX siano incentrati sul futuro, come se l'essere fluidi, queer, sconfinati, traslucidi sia ancora una proiezione e non un prendere atto del proprio stato, qui e adesso.

Perché poi, anche se nel 2017 aveva qualche dubbio, Charli l'ha fatto un altro album. Ma lo ha fatto solo una volta che si è sentita "in possesso della sua cazzo di roba": l'ha fatto come Pop 2, ma con il budget e l'ambizione di un progetto da major. L'ha fatto coinvolgendo tutto ciò che è il pop-non-tradizionale più figo della contemporaneità (Troye Sivan, Lizzo, Sky Ferreira, le HAIM) e innestandoci sopra l'elettronica presa bene di Yaeji, la bounce di Big Freedia post-sdoganamento di Drake.

E lo sa, Charli, che quello che ha fatto e farà ha un valore al contempo distruttivo e creativo. "Sentirete parlare di me per un sacco di tempo, anche se non farò numeri uno", ha detto. "Forse non farò sempre l'artista. Forse farò l'autrice. Ma avrò cambiato lo scenario del pop, la sua definizione. L'ho già fatto. Ci credo, davvero. So che può sembrare arrogante guardare negli occhi qualcuno e dirglielo, ma è vero." Elia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.