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Tecnologia

Come i videogiochi free to play violano la nostra privacy

Una confessione di un insider rivela come i videogiochi gratuiti che oggi spopolano su tutte le piattaforme stiano irrimediabilmente violando la nostri privacy per convincerci a spillare soldi.

"Conosciamo tutto di te. Sappiamo dove vivi, sappiamo quanto guadagni. Conosciamo le tue relazioni, per quale squadra tifi e le tue preferenze in fatto di cibo. Conosciamo il posto in cui lavori. Possiamo programmare un evento per fare in modo che coincida proprio con quel lungo weekend in cui sei libero. Ti abbiamo in pugno."

Sono cresciuto con in testa due concetti ben chiari e che spesso si scontrano tra loro. Il primo è: "gratis è sempre meglio"; il secondo, nelle sue varianti, è sintetizzabile con un "nessuno ti regala niente".

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Col tempo però la diffidenza verso il modello gratuito si è un po' diradata visto che, come sostiene Chris Anderson nel suo brillante saggio Gratis, viviamo una realtà economica che si fonda in larga parte sul concetto di "freemium."

I prodotti freemium sono quelli che, all'interno di un modello di distribuzione su base gratuita, inseriscono delle micro-transazioni tramite le quali è possibile acquistare con moneta sonante elementi del prodotto stesso. Il principio alla base del tutto è: se non vuoi faticare devi pagare.

Un esempio di gioco gratuito dell'era mobile: Farmville. L'Alfa e l'Omega, l'inizio e la fine, il tutto e il nulla, vita e morte. via Zynga

Siamo invasi da videogiochi basati sul modello free to play che danno occasione, attraverso un negozio interno, di acquistare oggettini per il proprio avatar, potenziamenti o semplicemente chiavi per sbloccare porzioni avanzate di gioco.

Grazie all'apparente democraticità di questo modello alla portata di tutti—"non vuoi pagare? gioca di più; vuoi pagare? ecco il tappeto rosso, le ballerine e lo champagne"—questi giochini hanno fatto breccia nel cuore di milioni di videogiocatori abituali e non. Tanto per capirci: a Natale ho regalato a mio padre un tablet e da quel momento lo vedo provare ogni giorno nuovi giochi free-to-play in cui costruisce una fattoria o si risolvono casi di omicidio virtuali. Il tutto senza spendere un euro. Bellissimo, no?

Non voglio parlare di come una consistente percentuale di utenti finisca comunque per versare più di qualche spicciolo in acquisti virtuali all'interno dell'applicazione; invece voglio raccontarvi di una lettera che uno sviluppatore anonimo ha pubblicato sulle pagine di TouchArcade. L'autore dell'articolo è riuscito a convincere un insider, attivo nel mercato delle app sin dal lancio dell'Apple Store, a raccontare la propria esperienza a proposito della raccolta dati che avviene attraverso queste esche gratuite.

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La sua lettera si apre con le parole inquietanti che ho scritto in apertura. Con una rapida carrellata ci racconta di come il carpire informazioni dalla propria utenza sia sempre stato un pallino dei vertici: come possiamo obbligare il giocatore a comprare oggetti e a convincere i suoi amici a scaricare il nostro gioco?

Con l'arrivo di Facebook le cose sono diventate davvero semplici. Grazie ai social network gli sviluppatori possono avere accesso a tutte le informazioni che vogliono. La cosa incredibile è che gli utenti che non utilizzano Facebook non sono più al sicuro degli altri, ma vengono studiati allo stesso modo.

In un mondo iperconnesso è sufficiente sondare i collegamenti dell'utente, le sue abitudini, ricostruire la sua identità attraverso i suoi spostamenti o i piccoli input che fornisce al gioco. Se avete visto il film dedicato a Edward SnowdenCitizen Four, e se non lo avete visto fatelo—vi ricorderete che i servizi segreti statunitensi utilizzano metodi simili per tracciare profili molto dettagliati dei soggetti dei quali vogliono ottenere informazioni, semplicemente analizzando la loro carta di credito o il registro delle loro chiamate.

C'è un altro frammento interessante della lettera: si parla dei giocatori chiamati whale, balene. Vengono definiti così quei giocatori che spendono grosse cifre negli store dei freemium. Lo sviluppatore ammette che se un giocatore viene classificato come whale, può succedere che le società cerchino, attraverso profili fake, di raggiungere a ogni costo il suo profilo social.

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Non c'è nemmeno bisogno che la balena abbocchi all'amo, perché è possibile imparare tantissimo anche solo dall'osservazione del profilo Facebook; perfino se non si fa parte della cerchia degli amici. Una volta che l'amicizia viene accettata, il gioco è fatto: possono studiare i suoi gusti e realizzare degli oggetti nel gioco che siano cuciti attorno alle passioni del soggetto. Come la sua squadra del cuore o i suoi film preferiti o le canzoni che non può fare a meno di ascoltare.

Una volta che l'amicizia viene accettata, il gioco è fatto: si possono studiare i suoi gusti e realizzare degli oggetti nel gioco che siano cuciti attorno alle passioni del soggetto come la sua squadra del cuore, i suoi film preferiti o le canzoni che non può fare a meno di ascoltare.

Giornalmente viene analizzata una mole di dati impressionante. Un malloppo talmente impossibile da quantificare che le grandi compagnie del settore hanno una divisione apposita per analizzare il flusso di informazioni che ricevono. Anche il frammento che sembra più insignificante—la scelta del sesso o della nazionalità all'inizio del gioco, l'età—viene catalogato e venduto a enormi aziende che hanno interessi nel realizzare campagne pubblicitarie sempre più mirate.

La lettera si chiude con un appello: volete che questa sorveglianza spietata smetta? Pagate i giochi. Come si diceva in apertura: nessuno ti regala niente.

Le statistiche del mercato mobile risalenti a maggio 2014. grab via Statista

Oltre questo danno, però, c'è anche una beffa bella grossa: i giochi freemium stanno diventando sempre meno divertenti. La corsa ai modelli di monetizzazione sta facendo letteralmente stagnare la creatività dei designer, costretti a inseguire progetti sempre meno ispirati e limitati dalla necessità di convincere il giocatore a passare quanto più tempo possibile all'interno della app.

Date queste premesse, quindi, i giochi freemium andrebbero evitati? Sì e no: sebbene il mercato che sono stati capaci di generare sia oggi gestito in maniera quantomeno malsana—come la confessione su TouchArcade di rivela—le piattaforme mobile sono uno dei mercati più importanti per l'industria dei videogiochi, e ciò è successo in buona parte grazie a questi giochetti gratuiti.

Dopo aver letto la lettera è difficile osservare mio padre che gioca col suo tablet senza provare un brivido. Mi viene in mente che lui utilizza sempre l'accesso tramite il suo account Facebook—è più veloce, gli permette di iniziare a giocare immediatamente e di non dover star dietro a tante registrazioni; tanto è gratis!—e che ogni decisione che prende giocando contribuisce alla costruzione di un database su di sé, sui suoi amici, su quello che gli piace e quello che non sopporta.

Eppure mi chiedo: riuscirei a convincerlo a sborsare quattro o cinque euro per giocare lo stesso gioco con cui adesso si diverte senza spendere un centesimo?