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Tecnologia

Staccarsi per 24 ore da internet non risolverà alcun problema

Il #lifetherapyday vuole allontanare mezza Italia da internet per 24 ore in nome del "vivere genuino," ma non è la giusta soluzione per il problema.

Oggi è la vigilia del Life Therapy Day e in teoria non dovrei scrivere queste parole: infatti dovrei essere lontano dal mio computer, impegnato a prepararmi ad attutire il colpo di domani, quando qui nella redazione di Motherboard mi ritroverò senza internet, intento a riordinare i bicchieri del boccione dell'acqua o a sistemare la cancelleria.

Si tratta di un'iniziativa organizzata dall'agenzia di management di Luca Casadei, che per capirci gestisce l'immagine pubblica di personalità come Favij, Leonardo De Carli e Federico Clapis: nati tutti come youtuber, si stanno lentamente trasformando in notorietà a tutto tondo—tanto da finire anche a fare gli opinionisti in TV.

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Attraverso il suo management Luca Casadei gestisce Web Stars Channel, il più grande conglomerato di internet star d'Italia, con il quale raggiunge poco più di 20 milioni di persone—un bel numero, insomma.

Nel comunicato pubblicato dall'account LinkedIn di Casadei si capisce che il Life Therapy Day sia una sfida in cui "le 44 web stars più influenti d'Italia cercheranno di stare 24 ore senza usare un cellulare, un pc, andare sui social, staccare almeno per un giorno da tutto che non ci fa più gustare i piaceri della vita reale [sic]."

Insomma, domani diverse migliaia di giovani sparsi per tutta Italia non utilizzeranno la tecnologia, e visti i numeri sembra che davvero, domani, i social network saranno un po' più vuoti.

Il problema è che basta scavare appena qualche centimetro sotto la superficie per scoprire che questo Life Therapy Day sia, di fatto, uno stunt pubblicitario con valenza sociale prossima allo zero Kelvin.

Il Life Therapy Day infatti è un'iniziativa—dichiaratamente—pensata per promuovere Game Therapy, il film prodotto in collaborazione con Lucky Red in uscita nelle sale il 22 ottobre, che vede protagonisti proprio FaviJ, Leonardo De Carli, Federico Clapis e Zoda.

Sorvolando per un attimo sulla agghiacciante qualità del prodotto—non a causa dei protagonisti, contro cui non ho alcuna opinione negativa—, quella di Casadei è una trovata pubblicitaria come un'altra, e se vogliamo anche lodevole visto il successo riscosso. Il problema è ciò che si sta cercando di promuovere attraverso questa iniziativa.

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"[… In queste 24 ore] andranno a trovare i loro parenti, giocheranno a calcetto, faranno una passeggiata, guarderanno il cielo sdraiati su un prato, diranno alle persone importanti che le amano, insomma si prenderanno del vero tempo per loro." Eh?

La mia generazione ha un problema con internet, è innegabile: conosco persone che parlano solamente attraverso meme, altre che dal vivo ci tengono a mostrarmi dei "video divertenti" trovati sul web, altre ancora che discutono con altre persone nella sezione commenti di Facebook. Io stesso ho un enorme problema con internet: i miei account sui social sono una vetrina del lavoro che faccio, e se domani improvvisamente scomparisse internet dalla faccia della terra mi trasformerei di punto in bianco in un essere umano privo di qualunque tipo di utilità pratica o sociale.

I nostri colleghi di Motherboard US quest'estate sono stati in vacanza a Cuba, e dopo un forzato stop a internet di 3 settimane sono tornati in patria talmente scossi dall'esperienza da doverci scrivere non uno ma molteplici articoli a riguardo.

Siamo letteralmente dipendenti dai social network, il nostro cervello produce una scarica di dopamina per ogni "like" su Facebook e il principio del multitasking con il quale la pluralità intrinseca di internet ci ha cresciuto ha sviluppato in ognuno di noi una blanda e fastidiosa sindrome da deficit di attenzione—potete solo immaginare quanto tempo abbia vergognosamente sprecato su altre schede del mio browser nella scrittura di questo paragrafo.

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Ciò che mi disturba di questa iniziativa è l'errata illusione che produce: il problema c'è, ed è evidente, ma non è questo il modo giusto per risolverlo, e benché si tratti di uno stunt pubblicitario—e lo ripeto, uno stunt riuscitissimo—è necessario impostare un discorso serio sulla questione. Internet non è un passatempo, né tanto meno un contenitore di informazioni: internet è ormai uno strumento imprescindibile da cui non si può pensare di "disintossicarsi," anche si trattasse, come in questo caso, di appena 24 ore. Per non parlare dell'incongruenza fondamentale dell'iniziative, che vuole che il 16 settembre, dopodomani, i partecipanti postino su internet un video che racconti la loro giornata senza internet. Un giorno di prova al SERT, insomma.

Al contrario, bisogna imparare ad utilizzare internet, e con ciò non intendo trasformarlo in un mero strumento da utilizzare per lavorare o per recuperare informazioni quando servono, ma assumere coscienza degli effetti che produce su di noi.

Parafrasando direttamente le frasi del comunicato, internet, oggi più che mai, ci sta permettendo di organizzare partite di calcetto quando vogliamo e dove vogliamo con una velocissima chat di gruppo su WhatsApp; ci ha permesso di avere vicine persone lontanissime, donandoci così l'abilità di stabilire relazioni sincere e profonde con persone che non abbiamo mai visto in vita nostra o che non possiamo sempre avere fisicamente vicino.

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"Se non ci volete morti, dateci il diritto di essere dei drogati" era il titolo di un articolo apparso qualche mese fa su Noisey, dopo la tragedia del giovane morto al Cocoricò per overdose: in quel pezzo Birsa criticava la tendenza a giudicare quello delle droghe in discoteca un "problema da combattere." Quelle sostanze non devono essere viste come un pericoloso serial killer sempre in agguato, ma come uno strumento che quando sfruttato con coscienza permette di ottenere il meglio da una determinata esperienza. Seppur con sintomatiche diverse, internet in Italia è una realtà che vive della stessa casistica.

Dobbiamo smettere di trattare la sovraesposizione alla rete e l'eccesso di interconnessione come un problema reversibile da combattere: si tratta di un'opportunità preziosissima che finalmente abbiamo, e che va trattata con fini educativi e non proibizionistici. Incoraggiare a staccarsi da internet per 24 ore non solo è completamente inutile—per il semplice fatto che chiunque avesse un problema con internet prima non farà altro che passare quelle 24 ore a immaginare quanto il giorno dopo sarà bello passare in rassegna tutte le notifiche che ci si era persi—ma è anche pericoloso. E la tacita accondiscendenza con la quale il promotore dell'iniziative è un'agenzia che lavora proprio grazie a internet non fa altro che renderci tutti silenziosi complici del deterioramento del medium, "Siamo tutti dei tossici, ma stasera per metterci la coscienza a posto non ci drogheremo."

La maggior parte delle persone che potrebbe partecipare al Life Therapy Day, me compreso, ha il lusso di potersi annoiare su internet, di sprecare una parte del proprio tempo a non fare nient'altro se non scorrere la timeline di Facebook o riaggiornare la homepage di Reddit. Insegnare che questo lusso sia un problema, un dannoso cancro pandemico da estirpare, è sbagliato, e rischia di privare coloro che quel lusso non ce l'hanno della possibilità di sfruttare uno strumento potente come internet, che proprio in questi mesi sta letteralmente salvando la vita a migliaia di persone.

Il Life Therapy Day non dovrebbe invitare tutti ad allontanarsi per 24 ore dalla tecnologia, ma dovrebbe implorare di spendere 24 ore ad inseguire un'educazione al medium. Domani internet va utilizzato, e se proprio non vogliamo usarlo come al solito, sfruttiamolo per chiedere alle istituzioni maggiore chiarezza sulle faccende virtuali, per scoprire nuove pagine interessanti da cui informarci, per farci un giro tra l'enorme catalogo di documentari che YouTube offre.'