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A8N6: Il sesto annuale di narrativa

Le puttane che ho amato

Un racconto di Clancy Martin.

Illustrazioni di Benjamin Marra
Traduzione di Laura Spini

"Diventare una prostituta messicana non faceva parte del mio piano,” mi disse, china sopra di me, i suoi capelli che ci avviluppavano come una zanzariera, come una coperta di seta nera che ci eravamo tirati sopra la testa. Aveva l’alito che sapeva di birra, cocaina e rame. “Ma lavoro in Messico da quasi tre anni. Sono arrivata facendo l’autostop dall’Argentina. Si può dire che ho risalito tutta la costa a colpi di lapdance.” Rise.

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Veniva dalla Georgia, e faceva venir voglia di scoparla foss’anche solo per il suo accento. Un vero peccato che i suoi clienti messicani se lo perdessero. Ci trovavamo a ottanta chilometri a est di Puerto Vallarta, in un paese che consisteva in un bordello, tre bar e, poco distante, una maquiladora che produceva mobili di lusso. C’erano tavoli e sedie “Scandinavia contemporanea” in tutti i bar, e la sala da ballo principale del bordello—in cui le ragazze mettevano in piedi uno spogliarello prima di ricevere i clienti—sembrava un’IKEA, ma con muri di pietre a secco, luci soffuse rosse, blu e verdi, e cinque palle stroboscopiche che pendevano dal soffitto. Di un’IKEA aveva anche le dimensioni, e probabilmente in quel momento c’erano trecento ubriachi: sabato sera. Non vidi altri americani o europei. Dovetti pagare ciascuno dei due buttafuori cento dollari per ottenere i favori di questa ragazza, eludendo la folla di clienti che sventagliavano banconote e la aspettavano dopo la sua lapdance. Era una delle favorite.

“Non dici mai niente” disse lei. Le piaceva parlare, mentre faceva sesso, il che è insolito per le prostitute. “Fai domande e basta.”

Ci sono prostitute a cui piace fare battute, mentre scopano, il che è negativo: non vi conoscete da abbastanza tempo per una cosa simile.

Tornai a trovarla per sei sere di fila, e ogni sera rimasi per tutta la notte, il che mi costava trecento dollari, al tempo: economico, per gli standard americani, ma vergognoso in un bordello messicano non turistico.

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Tra birre e coca, in quel posto lasciai un totale di più o meno 2.500 dollari. Dopo la seconda notte, smisi di dare bustarelle ai buttafuori. Lei mi chiese di arrivare più tardi, in modo da poter condurre i soliti affari prima che io mi presentassi, ma io arrivavo comunque prima e la stavo a guardare. Non avevo, prima di allora—e non ho mai più—osservato una donna con cui avrei dormito accompagnarsi a uomini—numerosi uomini——con cui avrebbe fatto sesso prima di me. Al contrario di quanto potreste immaginare, non accende affatto quel po’ di scintilla erotica. E, sebbene io sia un amante geloso, non mi provocò gelosia. Ma, sì, volevo ammazzare quegli uomini dagli occhi stanchi quando riscendevano le scale e strisciavano verso la porta, o se ne uscivano tranquilli, o tornavano dai propri amici al tavolo. Soltanto tre donne, nella mia vita, hanno fatto sesso con altri uomini prima di farlo con me: perché il fatto che sia avvenuto davanti ai miei occhi, tutto in una notte, dovrebbe importarmi? I loro amici ridevano, ma quegli uomini non si univano all’ilarità come gli uomini che erano appena usciti dalla camera di altre donne. Capivo bene la loro tranquillità e la loro sazietà; sapevo, cosa che i loro amici non sapevano, che per almeno un paio d’ore non avrebbero voluto essere toccati da chiunque altro—nemmeno una pacca sulle spalle, svagata e brilla. Non riuscivo a comprendere come quegli uomini riuscissero a tornare dalle proprie mogli, la sera stessa. Non era il fatto di sentirsi sporchi. Una volta ho ascoltato un amico disinfettarsi in una doccia soffocante dopo aver fatto un salto al Peppermint di Bangkok: mi viene ancora da aggrottare la fronte, a ripensare a quando emerse dai vapori del bagno in un asciugamano bianco, la pelle tutta rossa, come la schiena di Meryl Streep in Silkwood dopo che l’hanno sfregata con le spazzole di ferro. Il sesso era ottimo, come potrete aspettarvi, ma convenzionale. Non si trattava del sesso, o del suo corpo (anche se i seni ti sgusciavano via dalle mani, e le sue areole avevano un diametro di più di cinque centimetri, erano rosa come tulipani, e i capezzoli erano costellati di fossette). Era piena di curve, era snella, e le piaceva quando le si reggeva il culo con entrambe le mani. Non era depilata. Fui sorpreso nello scoprire che non le piaceva, né permetteva, roba violenta. Aveva un corpo procace da contadina americana.

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Quando le confessai molti dei miei peccati, mentre giacevamo insieme nel letto, a parlare e a guardare i ragni che andavano a caccia o si nascondevano negli interstizi tra le pietre, mi rispose: “L’ultimo uomo perfetto di cui ho sentito parlare è morto in croce.”

In quel periodo della mia vita mi barcamenavo tra due mogli, non avevo un lavoro, vivevo degli scampoli di un business che avevo portato alla bancarotta, e giravo per le case di tolleranza di tutto il mondo. Le mie preferite si trovavano in America Latina, perché hanno spesso sede in antichi forti costruiti dagli spagnoli. I bordelli del Belize invece si trovano in fatiscenti casette di legno a due piani costruite dagli inglesi, così come i bordelli dei Caraibi. Una volta, ad Alligator Pond, in Giamaica, vidi un uomo—un uomo che conoscevo molto, molto bene, e che da allora è morto—che in mezzo alla strada si faceva fare un pompino da una drogata di crack senza denti e incinta di sette mesi. Lei gli disse che erano cinque dollari americani, lui gliene diede venti; penso fosse la banconota di più piccolo taglio che avesse con sé. La seconda donna più bella con cui abbia mai passato la notte era una prostituta cubana che venne al mio hotel a New York. La mattina dopo si offerse di fare colazione insieme a me, ma ero esausto, mezzo ubriaco, e imbarazzato, perciò le dissi di no. Capii subito che avevo ferito i suoi sentimenti. Quella notte le avevo fatto grandi promesse. Un’altra volta, mentre ero sperduto per Londra intorno a Piccadilly Circus alle quattro di mattina, mi imbattei in una bassina bionda; camminammo per un po’, separati, e quando voltammo su una stradina laterale, lei si mise in ginocchio e mi aprì la cerniera. Dopo cinque desolati minuti, le scostai la testa, chiedendole scusa. Per ragioni che vanno ricondotte all’infanzia, mi è quasi impossibile raggiungere l’orgasmo nella bocca di una donna. Poi mi domandò se potessi prestarle trenta sterline. Finsi di averne soltanto dieci. Generalmente sono una persona generosa, e non so perché abbia umiliato sia me che lei in tale maniera. Sono sicuro non fosse una professionista, ma è probabile che si fosse già trovata in situazioni simili.

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Don Giovanni, Giacomo Casanova, Warren Beatty e le sue improbabili migliaia, Fidel Castro che se la gode con due donne al giorno, ogni giorno: cos’è che ad amanti inveterati come loro è chiaro, che non sia già ben chiaro alla puttana messicana media, trentenne, che abbia iniziato a esercitare a quattordici anni?

“Mio papà è un dottore” mi disse, mentre risaliva e poi ricadeva su di me, i seni che le ondeggiavano delicatamente, ora che li aveva scostati dalle mie mani. “Non ti muovere” disse. “Rimarremo qui per un bel po’. Voleva che anch’io diventassi dottoressa. Ci credi che ho preso il diploma in biologia all’Emory, prima di scendere fino a Buenos Aires col furgone? Dovevo fare il—come cavolo si chiama l’esame?” mi domandò. Senza interrompersi, si allungò verso il comodino, prese una Pacifico dal secchiello di latta, tenendola tra il pollice e due dita, e mi versò in bocca della birra—mi colò in faccia e sul petto—e poi ne bevve anche lei dei lunghi sorsi, mentre osservavo quel suo sottile collo bronzeo da gazzella, la sua schiena tesa, il suo mento all’insù, e subito sotto il mento quell’incavo triangolare che palpitava. Rimise la bottiglia in fresco. L’unica luce che c’era filtrava da un paralume viola sbiadito dal sole e posto sopra una lampada a stelo finta Arco. Entrambi sudavamo. Era estate, e persino di notte, persino con il ventilatore a pale curve acceso che cigolava e tre finestre aperte su tre pareti, c’erano quaranta gradi. Mi piaceva vedere il nostro sudore che si mescolava fino a formarmi una pozza sulla pancia. Sarà stato un forte, una chiesa o un monastero? mi domandavo. Dall’entrata non si riusciva a capire, e l’intera proprietà era cinta da un alto muro in pietra. Macchine, camion, taxi, tutti parcheggiati nella polvere e nella sabbia.

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“L’em-cat” le dissi.

“Esatto, l’em-cat. Avrei dovuto fare quell’esame. Ma a quel punto ho pensato, sai che c’è? Fanculo. Voglio vivere una vita vera. Gli altri facciano pure quello che gli viene detto e fingano per tutta la vita, se a loro sta bene. Non vado a dire a nessun altro come comportarsi da cretino.” Era stata reginetta del ballo, ed era una di quelle giovani donne del sud che tutti si aspettavano finisse per sposare il fidanzato del liceo—lui andava alla Georgia State University, veniva da una famiglia di avvocati e politici, avevano iniziato a uscire in terza liceo, ed era un giocatore di tennis ben quotato, a livello amatoriale. Non sapeva cosa ne fosse stato di lui, da quando se ne era andata. Non gli aveva nemmeno spedito una cartolina. “Non è stata una cosa carina, lo so, devo avergli spezzato il cuore. Comunque, io e una mia amica siamo saltate sulla mia Toyota blu—era stata di mio fratello, e poi era passata a me; lui è diventato un medico, un anestesista, se quell’assurdità si può chiamare “medico”: è un casino più unico che raro—e poi abbiamo imboccato la I-10 verso Houston e da lì ci siamo dirette a sud. Da quel momento, non ci siamo più voltate a guardare indietro. Non fino a che non abbiamo raggiunto la punta del continente.” Una cheguevarata al contrario. Mi raccontò che si erano lette Gabriel Garcìa Márquez a vicenda, mentre guidavano. Nessuna delle due parlava una parola di spagnolo. Ebbero fortuna, a raggiungere l’America Centrale, pensai. “Si è presa un brutto virus in Perù—si chiama Ginny, ora è sposata a un banchiere che la tradisce, ha partorito due gemelle che sono le più belle che abbia mai visto, avranno a malapena tre anni—e quindi prese un aereo, se ne tornò a casa, mentre io continuai a guidare. E a quel punto avevo già conosciuto un bel brasiliano dalle ciglia lunghe.” Disse che aveva dei boccoli neri alla Byron che gli arrivavano fin sotto le spalle. Fu allora che sentii che lei avrebbe dovuto essere mia, non sua, ed ebbi una sensazione di desolazione, a conoscere ciò che lei aveva nel cuore.

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Durante il corso della notte, sempre quando stavamo facendo l’amore, le chiedevo di sposarmi—sei volte, le chiesi di sposarmi—e ogni notte lei rideva.

“No che non torno indietro” disse. “Se penso a quelle grasse facce bianche che mi sorridono, è già fin troppo. So che non posso fare questo mestiere per sempre, scommetto di avere ancora un cinque, sette anni di entrate, e pure con quelle, dovrò sempre stare in movimento. Sono qui al Leopardo”—il bordello si chiamava El Leopardo, non ho mai capito perché, ma nei miei ricordi, il nome ha conferito lustro al bordello (per via delle pietre, delle colline, e del vento secco e caldo della Lampedusa del Gattopardo) la gloria sbiadita di antiche famiglie e amori perduti—“da nove mesi, ormai, e le cose stanno iniziando a rallentare; bisogna essere nuove, per fare i soldi migliori. Ovviamente è bello parlare inglese, tanto per cambiare. Ma sarò contenta, quando tornerai negli Stati Uniti. Non puoi stare nel mezzo del deserto messicano a struggerti per una troia. Hai una figlia di sei anni. Non sei più un ragazzino. Dovresti essere diventato un uomo. Questa è una cosa che qui in Messico capiscono bene. Gli uomini, qui, tradiranno pure le proprie mogli più degli uomini della Georgia, lo so bene. O quasi quanto gli uomini in Georgia. Ma si prendono cura delle proprie famiglie. Sono bravi cattolici. Magari inseguono le gonnelle, ma mai per troppo tempo.” Rise di nuovo.

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“Sei un caro ragazzo” disse, e con la mano mi scostò i capelli bagnati dalla fronte. “Magari in un’altra vita.”

Aveva ventisette anni, e io ne avevo trentatré.

“Hai un buon cuore. Non dimenticartelo.”

Le prostitute felici ed esperte parlano d’amore con autorità catalettica.

La settima sera arrivai con l’auto a metà strada, poi dissi al mio autista di fare inversione. Si chiamava Raphael, ed era un diciassettenne con la testa rapata, paffuto ed entusiasta, e non approfittava mai della coca che gli offrivo, né fumava i miei sigari, anche se ogni tanto beveva un sorso di tequila, se me l’ero portata con me e, quando la mattina lo trovavo addormentato in auto, raggomitolato sui sedili di dietro, fuori dalle mura del bordello, si fumava una canna prima che ci rimettessimo in strada.

“Niente Leopardo, stasera, señor?” disse, accostando e poi rimettendosi in strada, ritornando verso ovest. “Vuole provare un posto nuovo? Ne conosco uno piccolino. Sembra una casa, ma hanno ragazze carine. Molto carine. Una veniva a scuola con me. Sono tutti innamorati di lei. Non sanno che lei è, be’, ha capito. Lo so solo io per via di mio fratello e perché guido l’auto.”

“Non credo, Raphael” dissi. Parlavamo inglese. Ho passato mesi in America Centrale, nel corso degli anni, ma il mio spagnolo è ancora da buttare. “Penso che sia ora di tornare a casa.”

“Ok. Capisco. È stanco. È esagerato, ogni sera. Un uomo ha bisogno di riposo” disse. Era molto serio. Tornò a osservare con attenzione lo sterrato illuminato dai fari. Non c’erano cactus: solo sterpaglie, polvere, e la sabbia e le rocce del deserto. Raphael guidava, aggrappato con grinta al volante.

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Il giorno dopo tornai a Houston su un aeroplanino messicano da quaranta posti, e pochi giorni dopo presi un autobus diretto a Austin, nel Texas, dove di lì a un mese avrei iniziato un dottorato (per la seconda volta).

Nel Chile, a Valparaiso—una città universitaria e governativa che rotola dalle colline enormi giù fino al Pacifico—si prende la funicolare per arrivare ai quartieri residenziali dopo una sera passata al porto, a bere vino cileno scadente da bicchieri da una pinta. Alle quattro del mattino, i ristoranti chorrillana sono pieni di studenti, e i night club fanno chiasso per tutto il centro, ma quando ci si innalza sul mare, sulle funicolari piccole e antiquate in pelle e legno smaltato, la musica inizia a rarefarsi, e se si sa ascoltare, si può sentire—quasi toccare—l’incessante andirivieni delle onde sulle rocce, e si può capire perché Neruda decise di costruire proprio tra queste colline la sua casa tutta irregolare, dai bassi soffitti, e non se ne andò mai. Non ho calcolato da quanto tempo è che non passo la notte con una prostituta.

Era ovvio che era una puttana. Era una principiante: a Valparaiso, di fronte a uno dei grandi edifici governativi in pietra, c’è una rotonda dove le passeggiatrici stanno ad aspettare gli uomini che passano in auto, in moto e sui motorini. Ho visto una puttana andarsene seduta sul manubrio della bicicletta di un cliente. Avvicinarsi a piedi era considerato cattiva educazione: forse perché la polizia ignorava tacitamente il traffico, ma solo in caso una retata fosse impraticabile. Se vai in giro a piedi, un poliziotto non ha ragioni per non arrestarti, in un Paese fortemente cattolico. La ragazza—pensai avesse diciannove o vent’anni, aveva ancora l’acne giovanile—veniva dalla rotonda, e ora c’eravamo solo noi due, le nostre ginocchia che quasi si toccavano—indossava sottili autoreggenti nere e una minigonna gialla—mentre la carrozza borbottava sulle rotaie, dirigendosi verso l’alto, e la carrozza vuota dall’altro lato, il nostro contrappeso, scendeva borbottando anch’essa. Mi avvicinai e la baciai, sorprendendo me stesso, e lei aprì la bocca: baciava malissimo, la sua lingua si aggirava affannosamente intorno alla mia, come un pipistrello spaventato. Mi infilò le mani tra le gambe e, nonostante il bacio, ero suo. Scendendo dalla funicolare ci baciammo, e il custode mezzo addormentato mi lanciò uno sguardo sprezzante, al che io gli diedi mille pesos, circa due dollari. Non avevamo nessun posto in cui andare. Alloggiavo sulla scogliera, in un minuscolo hotel gestito da una donna severa che si arrabbiava ogni volta che rientravo tardi la sera, solo (non lasciava una chiave per entrare nelle ore notturne: bisognava bussare e svegliarla). Nella stanza accanto alla mia c’era una coppia in luna di miele, dividevamo il terrazzo, e sapevo che sentirci li avrebbe turbati: non facevano molto sesso. Con il mio pessimo spagnolo le domandai se avesse un letto, e lei mi disse qualcosa che c’entrava con sua madre. Ci baciammo a un angolo, contro un muro, e oltre al muro potevo vedere, sotto di noi, l’intera città che si estendeva a forma di mezzaluna, e oltre la città, l’acqua nerissima. Mi mise una gamba intorno alla vita, e mi aprì la cerniera. “El condon?” le domandai, e lei disse “No, no” e ci spingemmo l’uno sull’altra. Mi mise le mani sotto la camicia, e le sue unghie mi facevano male, e lei strillò—non capivo quanto stesse facendo scena, era giovane—e mi guardai alle spalle ma non c’era nessuno, per strada, soltanto due cani marroni che ci osservavano con aria amichevole, scapola contro scapola, scodinzolando. Cercai di sbrigarmi, perché lei urlava, ma eravamo in piedi. Infine venni, e cercai di uscire, ma ancora una volta lei disse “No, no”, e mi si aggrappò al culo in modo che io le rimanessi dentro, in profondità, e mi ricordo di aver cominciato a fluttuare al di fuori del mio corpo, e di aver guardato noi due dall’alto, mentre lei mi mordeva la mascella—la mattina si vedeva il segno dei denti—e mi sentii grande quanto il cielo, e per un momento pensai di stare morendo. Vidi i cani che scodinzolavano e noi due avvinti inestricabilmente e il mare e le luci della città e la padrona del mio hotel addormentata nel suo letto sotto una trapunta che aveva cucito lei stessa e i due sposini sdraiati sulla schiena ai due lati del piccolo letto, e gli adolescenti che ancora ballavano nei club laggiù e i poliziotti al porto che fumavano marijuana, e il treno che ti porta a nord, a Vina del Mar, fermo alla stazione sul mare, e i marinai addormentati nelle proprie brande e il barista che spazzava il pavimento, con gli sgabelli rovesciati sul bancone dove ero stato seduto quella sera, ad ascoltare le conversazioni dei vecchi.

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Continuò a spingermisi addosso, non mi lasciava andare, e io boccheggiai e lei mi prese il volto tra le mani e mi guardò con aria seria. “It was a good one?” disse in inglese, e non potei far altro che annuire. Poi camminò lungo il muro, tenendomi per mano, e io la seguii, anche se gambe e spalle mi tremavano, e lei si accovacciò per fare pipì e per pulirsi con un piccolo asciugamano rosa che aveva in borsa, e velocemente si cambiò d’abito davanti a me, e indossava dei jeans, un paio di Keds rosse e una maglietta di Billy Idol bianca e nera, di cotone e a maniche lunghe. Le diedi cinque banconote da diecimila pesos. Ero in imbarazzo.

No, es mucho” disse lei, e me ne diede indietro tre. Io ne presi una e gliela ridiedi, e lei la accettò.

“Mañana?” mi domandò, rimanendo seria. “Dove alloggi?” domandò.

Cercai di spiegarle la mia situazione, ma non riuscivo a essere chiaro. Perciò mentii e le dissi che stavo da amici.

“Ma ci vediamo domani sera” disse, e mi diede un altro lungo, spiacevole bacio, con l’intero corpo e i piccoli seni premuti su di me.

La sera dopo, mentre giacevo sveglio nel mio letto d’hotel, mi sentii come l’uomo che ogni notte va a dormire dopo aver dato un’ultima occhiata al telefono, nella speranza che telefoni la donna che lo ha lasciato. Non osai andare a cercarla.

Rory dagli occhi solenni era una spogliarellista che arrotondava facendo il mestiere.

“Non hai idea delle cose che ho fatto” mi disse. “Non ti piacerei nemmeno, se le sapessi. Sicuro non vorresti che fossi la tua ragazza.”

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Fui il suo fidanzato provvisorio finché il suo vero amore non uscì di galera. Era un eroinomane, ma non capii mai perché fosse stato mandato per nove anni, all’età di ventiquattro anni, in un carcere federale di massima sicurezza a Beaumont, nel Texas. Avevo uno strano rapporto con Beaumont, perché ero uscito con una donna—era una delle mie rappresentanti, quando avevo la gioielleria—che era nata e cresciuta in quella sinistra cittadina petrolifera illuminata a olio. La rappresentante venne ammazzata dopo un’asta vicino alla mia gioielleria. Violando la politica aziendale, si mise addosso dei gioielli per andare a trovare un uomo, e un aiuto cameriere che viveva temporaneamente a casa di lui—lui era il manager di un Chili’s, e si era affezionato all’aiuto cameriere, che se la passava male—vide il suo bracciale tennis in diamanti, la sua collana di smeraldo, e il suo Rolex President, se ne andò per un attimo nella camera temporanea, afferrò la sua calibro 32 e sparò a entrambi. Venne arrestato a pochi chilometri di distanza. Nel frattempo, mentre gli impulsi cerebrali della mia rappresentante rallentavano fino ad arrestarsi, sua mamma venne avvisata, e il dottore cercò di convincerla a farle donare gli organi della figlia. La madre, una battista vecchio stile, si rifiutò, e secondi, poi minuti di encefalogramma piatto si fecero strada con il loro lamento acuto, mentre la discussione si inaspriva, quando tutt’a un tratto la mia rappresentante si mise a sedere e disse—i fili che le pendevano dal cranio—“Cosa è successo?” Più avanti nel tempo, divenne una star vagamente famosa in una serie di filmini di gangbang, eppure non riprese mai completamente la parola o la coordinazione. Quando uscivamo insieme, prima che le sparassero, insisteva sempre perché facessimo sesso in luoghi pericolosi: sul cornicione all’ultimo piano di un parcheggio; sulla ringhiera del terrazzo di un hotel; sui binari della ferrovia; su un piccolo kayak di plastica nel Golfo del Messico, di notte; in un’auto in movimento in autostrada; in un taxi in mezzo al traffico del centro di Dallas. Mi domandai, più avanti, se le sue predilezioni sessuali fossero dovute a una qualche soprannaturale prescienza del suo futuro semitragico da pornovittima. Un’altra brutta faccenda riguardante Beaumont è che un investitore che avevo accidentalmente truffato possedeva, lì, un giro di pitbull, e in quei giorni di preoccupazione sospettai che potessi svegliarmi e trovare, sguinzagliata sul portico di casa, una creatura mangiauomini dal collo taurino che faceva la guardia, o che forse sarebbe direttamente saltata nella mia decappottabile. In quel periodo tenevo sempre la decappottabile chiusa. Ma non quando facevo sesso con quella rappresentante, che esigeva: “Fottimi, fottimi con il tettuccio abbassato” in più o meno qualsiasi luogo in cui si potesse guidare. Come molte delle belle donne che ho conosciuto, aveva una certa vena esibizionista.

“Voglio delle scarpe. Mi compri delle scarpe?”

Eravamo a Las Vegas, e stavo pentendomi di Rory perché le prostitute per strada erano molto più carine di quella che mi ero portato con me, e se le passeggiatrici avevano quell’aspetto, pensai, pensa un po’ cosa potrei ottenere se telefonassi a un servizio rispettabile o prendessi una limousine e andassi al Chicken Ranch (che, sia ben avvisato il lettore, non è quello che era un tempo). La portai da Manolo Blahnik, da Louboutin, da Gucci, da Marc Jacobs—anche se le sue scarpe da donna non mi piacciono, ed ero certo che lei avrebbe scelto qualcosa di cattivo gusto—da Prada, da Barney’s. Si divertiva a giocare alla Julia Roberts—aveva solo ventitré anni—ma non ero dell’umore per andare per negozi. Le lasciai la mia carta di credito, e andai in cerca del drink più vicino, che in genere, a Vegas, si trova al massimo a una decina di metri di distanza, a meno che tu non sia in un grande magazzino con la tua fidanzata puttana. Sapevo che se l’avessi lasciata sola troppo a lungo se ne sarebbe andata via con un altro. Me l’aveva già fatto molte volte, in passato, nelle sale biliardo e nei bar, una volta persino in una pizzeria in centro a Austin. Un’altra volta, a Chicago, alloggiavamo al Four Seasons in una stanza romantica con una splendida vista, e le suonò il cellulare, e venne fuori che aveva un appuntamento. Voleva sapere se l’avrei incontrato anch’io: si trovava in un bar, a cinque chilometri da lì, e la aspettava. Un cliente fisso, che conosceva da anni, uno chef sudafricano che aveva un dottorato in filosofia. Non sapevo se fosse bianco o nero. Come sapeva, lei, che lui era a Chicago? “È cicciotto” disse lei. “È carino. Ti piacerà. Suona. È in un jazz bar. Vedrai che ci divertiamo.” Feci un bagno e poi presi un taxi e me ne andai all’aeroporto, dopo aver detto in reception che la signora Martin se ne sarebbe andata la mattina dopo, e che non avrebbero dovuto autorizzare spese superiori ai cinquecento dollari.

Alla fine, scelse un paio di ballerine Miu Miu in pelle di serpente. Le uniche belle scarpe che le abbia visto calzare. Di solito, indossava quelle enormi e pesantissime zeppe di plastica che si vendono alle spogliarelliste; o un paio di scarpe da tennis, che io preferivo. Portava il quarantatré: ecco che tipo di ragazza era Rory. Grandi appetiti. Grosso culo. Capelli biondo sporco che le arrivavano alle spalle e che lei voleva che le tirassi, stringendoli in entrambi i pugni. Lo preferiva da dietro. Mi chiedeva di parlarle in tedesco, quando la scopavo: questo perché aveva trascorso un anno in un bordello di Francoforte, e lo descriveva ancora come il migliore anno della sua vita.

La andavo a prendere a casa e, nella piccola Porsche arancio che avevo (apparteneva a un ex cliente che mi doveva, e mi deve tuttora, 55.000 dollari, anche se la Porsche l’ho venduta poco dopo aver smesso di uscire con Rory), la portavo allo strip club dove lavorava, e lei, nel sedile del passeggero, cantava e ballava sull’heavy metal o su Notorious B.I.G. “Devo essere carica per il lavoro,” diceva, “altrimenti è troppo deprimente.” Il suo scrittore preferito era Charles Bukowski, e le raccontai di quanto lui ammirasse Céline, perciò lei passò l’estate a letto a leggere, o a sostenere di stare leggendo Viaggio al termine della notte. Allo spogliarello preferiva la prostituzione, ma si spostava troppo di frequente per costruirsi una clientela regolare. La andavo a prendere dopo il turno—o a volte rimanevo al bar, seduto a bere, per tutto il suo turno; ero innamorato di Rory e di un’altra donna che lavorava con lei al Yellow Rose, una studentessa di antropologia dai capelli neri, ma il problema era che erano buone amiche—e poi andavamo a mangiare dei panini con le patatine in un posto aperto tutta la notte che mi piaceva o, rimanendo in auto, prendevamo qualcosa al volo da Taco Bueno.

A sedici anni era stata Miss Vermont. La notte uno stupratore le entrò in camera e le disse che, se non fosse andata con lui, le avrebbe sterminato la famiglia, compresi suo fratello e sua sorella più piccoli. Le mostrò l’enorme coltello da caccia che aveva portato con sé. Insieme uscirono dalla porta di casa, e lui la tenne rinchiusa nella sua cantina per due settimane, prima che lei riuscisse a scappare. La storia passò ai telegiornali, ma il padre, un ministro anglicano, fece sì che non diventasse un caso nazionale. Non sorprende che molte delle sue fantasie sessuali avessero a che fare con lo stupro. Le piaceva che, con un coltello, le si tagliuzzassero culo, gambe e schiena—fu una cosa difficile da imparare per bene, e non mi piaceva farla—e insisteva sempre per ricevere sculacciate selvagge, e le piaceva essere soffocata con una mano. Una volta mi morse le dita quasi fino all’osso: dovettero mettermi i punti.

Quando le dissi che era finita—avevo cominciato a vedermi con una ventunenne specializzanda in filosofia, che in seguito sarebbe divenuta la mia seconda moglie—ebbe una reazione violentissima. Dapprima, mi attaccò. A calmarla fu una notte di sesso eccezionalmente selvaggio. Ma ci seguì per settimane. Entravo nei ristoranti e lei era lì, al bar, che ci osservava malevola mentre beveva uno scotch. Cercavo di portare la mia ragazza via dal ristorante prima che se ne fosse bevuti tre. La ragazza con cui mi vedevo pensava che fossi di fretta soltanto perché volevo portarla a casa e poi a letto. Rory, dopo più di tre scotch, diventava spaventosa. L’avevo vista ficcare una stecca da biliardo nel naso di un uomo. Adorava il biliardo e, durante l’estate che passammo insieme, ci giocammo per intere notti, per interi pomeriggi. Le piaceva scommettere grandi somme sulle nostre partite, e quando perdeva mi faceva l’occhiolino con quelle pacchianissime ciglia finte che ostentava e poi mi diceva: “Pago in natura.”

Mi ero addormentato sul piccolo letto di ferro e lei mi svegliò accarezzandomi il collo. Nella stanza era buio come il fondo del mare, ma fuori dalla finestra—non c’erano vetri, né tende—nel cielo senza luna vedevo le insolite costellazioni del sud e udivo le onde sotto di noi, e pensai che forse stavo ancora dormendo, non fosse che l’aria era così gelata, nella stanza, e il corpo di lei era così caldo, mentre si infilava sotto il lenzuolo e si attorcigliava a me. Volevo chiederle il nome, e volevo scusarmi per la mia barba non rasata, che le faceva male, quando mi baciava, ma io non parlavo mandarino, e lei non parlava inglese.

Facemmo l’amore per tre, quattro ore, senza dire una parola. Siccome non parlavamo, eravamo in imbarazzo, e persino i nostri respiri e i nostri gemiti erano silenziosi, come se al piano di sotto i nostri genitori potessero sentirci. Io venivo, lei veniva, e poi ci abbracciavamo, e lei aspettava, senza mai rimanere completamente ferma, e mi baciava, e ebbe accesso a punti del mio corpo proibiti ad altre donne. Ma in questo modo mi impediva di sonnecchiare o di sognare, e mi eccitava di continuo. Non ero così eccitato dai tempi dell’adolescenza. E non mi sentivo così sazio—pensai, quando finalmente mi permise di addormentarmi—da una notte passata con tre thailandesi molti anni prima, al Mona Lisa. Quella sera avevo lasciato che la maitresse scegliesse per me le ragazze, che è l’opzione consigliabile, se se ne ha l’opportunità e si tratta di una buona casa di tolleranza.

Quando mi svegliai, la mattina dopo, era ancora a letto con me. È il regalo più gentile che una prostituta possa farti, e questo lo sanno bene. Era una donna davvero nobile. Aveva quasi la mia età. Quando le presi tra le mani il volto addormentato per baciarla nell’obliqua luce del mattino appena sorto, lei lentamente aprì gli occhi e batté le palpebre, assonnata, sorridente, allungandosi verso di me, forse nel mezzo di un sogno, e vidi allora che era cieca.