FYI.

This story is over 5 years old.

A9N5: Sauna salvadoregna

Il barbiere

Vi presentiamo un nuovo racconto di Barry Gifford, uno degli scrittori americani più acuti e originali che abbiano mai fatto scorrere una penna su un foglio. Fa parte della sua nuova raccolta "The Roy Stories" e parla di un barbiere di nome Rocco.

Siamo orgogliosi di presentarvi un nuovo racconto di Barry Gifford, uno degli scrittori americani più acuti e originali che abbiano mai fatto scorrere una penna su un foglio. Abbiamo già pubblicato alcuni suoi racconti su VICE, per cui non staremo qui a sbrodolare sul suo lavoro. Vi basti sapere che se vi capiterà di vedere il suo nome scritto sulla copertina di un libro dovreste leggerlo, perché non vi deluderà. Il brevissimo racconto che segue fa parte della sua nuova raccolta The Roy Stories, in uscita a ottobre. Parla di un barbiere di nome Rocco.

Roy aveva sentito per caso la madre dire alla sua amica Kay che Rocco, il barbiere che viveva nella casa accanto, l’aveva molestata sui gradini di casa. Kay e sua madre se ne stavano sedute in salotto e Roy, nove anni, era in piedi nell’ingresso, invisibile a tutti. “All’inizio era tutto gentile,” disse la mamma di Roy, “stavamo chiacchierando e poi, improvvisamente, ha cercato di baciarmi in bocca. Ho girato la testa ma lui ha insistito, mi si è appiccicato addosso e mi ha toccato il seno. L’ho spinto via e ho urlato ‘Mi violenta!’, gli ho dato del pappone perché sua moglie, Maria, mi aveva detto che a Napoli faceva il magnaccia, durante la guerra. Probabile che lei fosse una delle sue donne.” Kay era una specie di ragazza dello zio di Roy, Buck, il fratello di sua madre. Era una donna affascinante, una rossa che pareva Rita Hayworth e aveva un profumo buonissimo. Roy era sempre contento di vederla, perché ogni volta Kay lo baciava e lo abbracciava, e lui poteva sentirne il profumo. Era la moglie di un ricco avvocato, ma usciva sempre con Buck, quando veniva a Chicago. Una volta Roy aveva chiesto a suo zio perché non avesse sposato Kay, e Buck aveva risposto: “Vedi, Roy, ci sono ragazze che sposi e ragazze che sei felice di vedere sposate con qualcun altro, il che non significa che tu non le possa incontrare lo stesso, qualche volta.” “Lo dirai a Rudy?” chiese Kay alla madre di Roy. “Ci sto pensando. Gli spezzerebbe le gambe.” Rudy era il padre di Roy. Lui e sua madre avevano divorziato quando Roy aveva circa cinque anni, ma erano rimasti in buoni rapporti e parlavano sempre bene l’uno dell’altra in presenza di Roy. Spesso quando sua madre aveva urgente bisogno di soldi chiamava Rudy. “Se lo merita, quel porco,” disse Kay. “Rudy ha fatto anche di peggio, con altre persone.” Roy uscì di casa in silenzio, chiudendo la porta d’ingresso senza farsi sentire. Mentre andava al parco a giocare a baseball, Roy non riusciva a smettere di immaginarsi Rocco il barbiere che assaliva sua madre. Non ne parlò con nessuno, al parco, ma più tardi, nel pomeriggio, dopo la partita, Roy passò per Ojibway Boulevard, la via del negozio di Rocco, e si fermò dall’altro lato della strada. Era fine agosto, l’aria soffocante. Non appena il cielo iniziò a scurirsi, caddero un paio di gocce di pioggia e si alzò un debole vento. Il cane di Rocco, un dobermann Pinscher con tre zampe di nome Smoky stava legato, come al solito, a un palo davanti al negozio. Leggenda voleva che Smoky avesse perso una zampa in una lotta mortale con un ghiottone, una volta che Rocco se l’era portato a caccia nel Michigan o nel Wisconsin. Tommy Cunningham aveva detto a Roy che il figlio di Rocco, Amelio, di sei anni più grande di loro, gli aveva raccontato che Smoky aveva ucciso il ghiottone azzannandolo alla gola, ma che il ghiottone aveva attaccato Smoky per primo, strappandogli una zampa. Un’altra versione raccontava che Smoky era stato investito da un autobus mentre rincorreva un bambino per Ojibway Boulevard cercando di morderlo, ed era la versione più affidabile, secondo Roy, dato che Smoky cercava di mordere ogni bambino gli si avvicinasse. Roy tirò fuori dalla tasca il coltello a serramanico Davy Crockett e lo aprì. Attraversò la strada, aspettando che non ci fosse più nessuno a guardare. Nell’istante in cui Smoky girò la testa per leccarsi il moncone della zampa mancante, Roy si lanciò sul cane e affondò la lama nell’occhio destro di Smoky. L’animale ululò e scosse la testa, facendo cadere il coltello che rimbalzò sul marciapiede. Roy riprese in fretta il coltello e corse via. Non aspettò di vedere Rocco e altri uomini uscire dal negozio per vedere perché Smoky stesse ululando e mugolando così. Quando Roy arrivò a casa, sua madre e Kay non c’erano più. Sciacquò il sangue dalla lama nel lavello della cucina, lo asciugò bene con lo straccio per i piatti, poi andò in camera e lo nascose in fondo alla cesta dei giochi. Tornò in cucina e si versò un bicchiere di latte al cioccolato, lo portò nella veranda sul retro e si sedette sul gradino in cima. La pioggia batteva sempre più forte. La volta dopo, passando davanti al negozio di Rocco, Roy notò che Smoky non era più incatenato lì davanti. Roy sarebbe andato a tagliarsi i capelli all’Arturo Barber College, anche se era più lontano da casa. Gli apprendisti erano macellai, ma almeno prendevano solo un quarto di quanto prendeva Rocco. Roy odiava andare dal barbiere, in ogni caso. Avrebbe voluto non doversi tagliare i capelli mai più.

Altri racconti:

Estate/Autunno

Sei brevissimi