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Clint Malarchuk e l'incidente più terribile nella storia dello sport

Il 22 marzo 1989, sulla pista di hockey dei Buffalo Sabres, Clint Malarchuk viene colpito al collo dal pattino di uno degli avversari.

Gli incidenti sul terreno di gioco sono tra i momenti più strani e indelebili dello sport. Per lo spettatore la competizione sportiva è un momento di stacco, in cui l'attezione è totalmente concentrata sull'azione. E quando la fredda realtà si manifesta davanti ai propri occhi, come con l'incidente di Ayrton Senna nel 1994 a Imola, l'effetto è quello di una caduta mentale dal decimo piano.

Il 22 marzo 1989, sulla pista di hockey su ghiaccio di Buffalo, succede qualcosa del genere. I Sabres affrontano in casa i St Louis Blues. Clint Malarchuk ha 27 anni ed è in porta per i Sabres. È uno stacanovista ansioso, e l'unico modo che ha per calmarsi è correre più volte alla settimana per 30 km. Si gioca da cinque minuti quando i Blues attaccano. Steve Tuttle avanza in prossimità della porta di Malarchuk in attesa di ricevere un passaggio, poi sbatte contro il portiere e il difensore Uwe Krupp. La lama del pattino di Tuttle si avvicina al collo di Malarchuk e perfora l'arteria carotide esterna. Clint Malarchuk cade in ginocchio, col sangue che gronda sul ghiaccio fino a formare una pozza.

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Ventisette anni dopo, il video di quel momento è ancora agghiacciante. Le urla degli spettatori, l'agitazione dei telecronisti e l'improbabile spot che irrompe mentre in campo Malarchuk è raggiunto dall'allenatore e circondato da compagni e avversari. Dicono che alla vista del sangue ben undici spettatori abbiano avuto un malore, due una crisi cardiaca e che tre giocatori abbiano vomitato in pista.

Se Malarchuk ce l'ha fatta, è stato grazie a uno degli allenatori dei Sabres. Kim Pizzutelli è un veterano della guerra in Vietnam che prima di diventare preparatore atletico per la NHL ha studiato Medicina dello Sport. Ancora prima che l'arbitro fischi lo stop di gioco, Pizzutelli si precipita in campo e blocca l'emorragia con due dita. Poco dopo, sottoponendolo a un ennesimo rischio, il portiere viene portato negli spogliatoi dall'ingresso dietro la sua porta.

La prima cosa a cui dice di aver pensato Malarchuk in quel momento è la madre. "Non volevo che vedesse cosa stava succedendo," spiega nella sua biografia A Matter of Inches : How I Survived in the Crease and Beyond, pubblicata nel 2014. "Non in campo, non in televisione. Ho chiesto che la chiamassero." Dopo aver fermato la fuoriuscita di sangue alla bell'e meglio, lo staff affida Malarchuk a un'ambulanza. "Ho provato a fare una battuta per stemperare l'ansia, ho detto 'Mettetemi un paio di punti e fatemi finire la partita'. Mentre lo dicevo c'era ancora sangue che usciva. Non ha riso nessuno. Erano bianchi come cadaveri, credevo fosse arrivata la fine."

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Clint Malarchuk nel 2013, in un documentario di ESPN.

Ma non è stato così. Malarchuk è sopravvissuto dopo aver perso un litro e mezzo di sangue, con un'operazione che avrebbe richiesto 300 punti di sutura. Dieci giorni dopo è di nuovo in campo per lo scontro successivo dei Buffalo Sabres. È troppo presto, ma al momento lui non se ne rende conto.

Alla fine di una carriera onesta ma senza eccessiva gloria torna a occuparsi di cavalli—nella NHL, non per niente, lo chiamavano il "Cowboy Goalie". Come spiega nel libro, "È stato quello [l'incidente] il mio momento di gloria. Faccio parte di una categoria di portieri che non passeranno certo alla storia, ma tutto il mondo si ricorderà di me per quel momento tragico"—incluso qualche sporadico avversario che da allora, per intimidirlo, si sarebbe portato un dito alla gola.

Nell'hockey, un momento quasi altrettanto tragico è avvenuto 19 anni dopo l'incidente di Malarchuk. Il 10 febbraio 2008, ironia della sorte proprio sulla pista da ghiaccio dei Buffalo Sabres, il giocatore dei Florida Panthers Richard Zednik viene colpito alla carotide dal pattino di un compagno di squadra. Zednik sopravvive, ma decide di concludere lì la sua stagione. Quell'incidente risveglia i fantasmi di Clint Malarchuk.

Tormentato da un disturbo ossessivo compulsivo, depressione e alcolismo, qualche mese dopo l'ex portiere dei Sabres tenta il suicidio. Il 7 ottobre 2008 si spara al mento con un fucile. La pallottola gli avrebbe distrutto due molari per poi incagliarsi nel cranio, senza tuttavia ucciderlo. Poco dopo Malarchuk passa sei mesi in disintossicazione. È lì che si rende conto che non sarebbe dovuto tornare a giocare così in fretta: "Oggi [dopo un fatto del genere] ci sarebbero dei consulenti pronti a spiegarti l'impatto psicologico di un simile trauma e a dirti che non bisogna affrettarsi a tornare a giocare. Oggi avrei seguito i loro consigli."

Ma la storia di Malarchuk non ha una vera e propria morale, se non quella di non prendere alla legera incidenti così gravi. È quello che racconta nella sua biografia, nelle conferenze stampa e in un documentario uscito quest'anno intitolato Goalie : Life and Death in the Crease. A parte questo, ancora oggi i giocatori di hockey della NHL non hanno l'obbligo di indossare protezioni al collo.