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Cibo

Come spendere 1000 dollari in sushi raccontato da me, un idiota

A un certo punto, Matt mi si fece vicino e mi disse, "Ci costerà caro." Io mi professai d'accordo, il cibo era buonissimo e il servizio senza eguali. Eravamo pronti a sganciare un centone. Anche 150.

Qualche anno fa, per un periodo, a New York tutti parlavano di Ian McKellen e Patrick Stewart che avrebbero recitato in due spettacoli in scena nello stesso momento. I biglietti andavano a ruba, e quando il mio amico Matt mi chiamò per sapere se preferissi Terra di nessuno o Aspettando Godot, scelsi il secondo perché ne avevo sentito parlare bene. Ma non sempre ottieni quello che vuoi, e alla fine ci ritrovammo con due biglietti per Terra di nessuno. Ci erano costati abbastanza, ma almeno erano piuttosto lontani dal palco.

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Quella sera Matt mi propose un sushi verso le 18.45. Lo spettacolo iniziava alle 20, ma lui poteva uscire un po' prima dal lavoro. L'idea che io sia uno scrittore che lavora da casa—mentre gli altri hanno i loro impegni da adulti—e che di conseguenza sia perennemente disponibile è piuttosto comune nel modo che gli altri hanno di rapportarsi a me. E mi pesa non poco, principalmente perché è vero. Matt mi chiese se avevo visto Jiro Dreams of Sushi. "Certo," risposi. Non sapevo di cosa stesse parlando. Matt sì, e mi spiegò che vicino al teatro aveva aperto il ristorante di alcuni protégé di Jiro. Era deciso: ci saremmo riempiti la pancia con un bel po' di buon pesce crudo, e poi ci saremmo accomodati in poltrona per ascoltare Magneto e Professor X pronunciare parole antiquate.

Entrammo in un palazzo uguale a tutti gli altri, e la guardia all'ingresso ci disse che il ristorante era al terzo piano. Si prometteva già un'avventura. A Manhattan, i ristoranti ai piani alti significano due cose: o che il cibo è buonissimo, o che sei a Times Square. Attraversammo una tenda rossa che si apriva su una sala vuota e fummo accolti da uno staff particolarmente amichevole.

Ci dissero che in cucina quella sera ci sarebbe stato proprio il protégé di Jiro, Toma. Prendere posto al banco era caldamente consigliato. Il mago del sushi avrebbe preparato i suoi piatti davanti ai nostri occhi. Era una bella notizia, ma al tempo stesso ero spiaciuto: avevamo solo un'ora per cenare. Il sushi mi piace un sacco ed ero pronto a esagerare. Iniziammo con del tonno, seguito da ventresca di tonno. Dopo ogni giro, i camerieri portavano via i piatti, li sostituivano con altri e ci offrivano degli asciugamani caldi. Le bacchette non erano previste, e così le salse (persino quella di soia!). Era come stare su Marte. O forse in Giappone.

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Toma aveva un assistente del tutto identico a lui ma in miniatura, come l'interno di una matrioska, e insieme ci prepararono quello che era di gran lunga il sushi più buono che io avessi mai mangiato e mai mangerò. Dopo ogni piatto, Toma segnava una cifra su un foglietto. Poi si girava con un sorriso e suggeriva un'altra delizia.

L'uni era particolarmente buono. L'uni è riccio di mare, e ha una consistenza tenerissima—come yogurt gelato, ma con il sapore del mare. Lo amo. E non c'era bisogno che qualcuno ci assicurasse che era fresco, dato che Toma ne stava letteralmente cavando uno vivo a mezzo metro da noi.

A un certo punto, Matt mi si fece vicino e mi disse, "Ci costerà caro." Mi dissi d'accordo, il cibo era buonissimo e il servizio senza eguali. Non ero mai stato così su di giri in un ristorante, tranne quella volta che pensavo di aver trovato un pezzo di metallo in un calzone (ma era solo vetro). Eravamo pronti a sganciare un centone. Anche 150 dollari. Quando arrivò il conto, facemmo un bel respiro. "Ci costerà più dei biglietti," scherzai. L'aprimmo insieme, manco fossimo i presentatori del Golden Globe.

Sul conto c'era scritto uno-uno-zero-zero. Millecento dollari. Come dicevo, scrivo di lavoro. Non avevo 1.100 dollari. E nemmeno Matt.

La mia prima reazione fu di pensare a un qui pro quo. "No, no, chiediamo il conto in dollari," dissi, pensando che ci avessero portato la ricevuta in yen. Era un posto autentico, perché non fino in fondo? Ma ahimè, erano 1.100 dollari americani. I camerieri, va detto, erano gentili e pacati nel farci notare che il conto era corretto e che il motivo era che l'uni era "fresco".

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Diedi a un cameriere un bancomat che sarebbe stato sicuramente rifiutato—se un conto in banca potesse ridere, il mio si sarebbe sbellicato dalle risate. Ma serviva solo per darci il tempo di elaborare una strategia. Matt pensava che il meglio fosse andare dritti al punto, ovvero che non eravamo pronti a un conto così salato, e che nessuno ci aveva avvisati che un singolo uni ci sarebbe costato, arrotondando per difetto, 100 dollari. Ma io non gli stavo prestando attenzione, perché stavo pensando a quanto male avrei potuto farmi saltando giù dalla finestra, con un volo di dieci metri, se fossi atterrato con una capriola. Non potevamo alzarci e cominciare a correre?

Matt aveva un piano. "Ecco cosa faremo," disse. "Lo farò addebitare sulla mia carta di credito. Poi chiamerò la mia banca e contesterò. Contesterò la transazione." Quando tornarono con il mio inutile bancomat—in realtà era probabilmente falso, l'avevo avuto in cambio di un ombrello—Matt consegnò la sua, poi si voltò verso di me e mi mollò un'altra pugnalata. "Merda. Non possiamo non lasciare la mancia." E aveva ragione. Il servizio era di prima scelta. Quant'è il 20 percento di 1.100? Di sicuro più di quanto mi costi la spesa per una settimana. Il sushi era eccellente, ma non era questo il punto, no? Certo, era buono. Ottimo. Fresco. Salutare. Mi sentivo come se potessi correre per chilometri o sollevare una macchina. Non penso di essermi ammalato, quell'anno.

Ma non ero nemmeno pieno. Mi sentivo come ci si sente dopo un pasto di qualità—pieno d'energia, equilibrato, in forma. Ma le mie origini italiane mi portano a pensare di non essere pieno finché non ho l'intestino che scoppia e invoco il Signore. Mentre andavamo a teatro, Matt continuava a mugugnare, "…Lo contesterò, ecco tutto…" Mi sono diretto a un bancomat e ho prelevato una grossa fetta dei miei risparmi per risarcirlo.

(È poi venuto fuori che non puoi semplicemente comprare cose costose e poi "contestare la transazione". Matt dovette risarcire la sua banca. Gli interessi su quella cena, solo gli interessi, corrispondevano alla spesa per il cibo di una settimana.)

Decidemmo che la volta dopo avremmo ordinato una pizza e visto X-Men, perché ad oggi non ricordo una singola parola di quella cazzo di pièce.