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Non voglio sapere chi è Elena Ferrante

Ieri l'italianista Marco Santagata ha "svelato" chi è Elena Ferrante sulla base dell'analisi dei suoi romanzi. Ecco perché ha scritto forse l'articolo più interessante sulla questione, ed ecco perché comunque spero che sia l'ultimo.

Il video del Corriere con l'intervista a Santagata. Grab via corriere.it.

Prima che La lettura del Corriere della Sera uscisse ieri in edicola trascinandosi dietro l'obbligata orgia di "dato per certo", post riassuntivi e smentite, un post su Facebook mi aveva avvisato che domenica 13 marzo l'italianista Marco Santagata avrebbe smascherato Elena Ferrante.

Perciò, un giorno prima di leggere l'inserto del Corriere ho cominciato ad avere paura che Elena Ferrante avesse accettato di fare coming out dopo anni di latitanza—una latitanza che ha fatto progressivamente più scalpore fino a raggiungere l'apice con la candidatura al premio Strega 2015, e in cui l'autrice è sempre stata appoggiata dalla sua casa editrice, E/O—e che avesse deciso di farlo sul supplemento (il più ingiustamente ignorato, va detto) di un quotidiano nazionale, nelle braccia del filologo che ha curato l'edizione Meridiani della Divina Commedia.

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Alla fine—per fortuna, ma questa è solo la mia opinione—non è successo niente, se non che tutti abbiamo avuto la possibilità di assistere a un'interessante lectio magistralisdi filologia. Basandosi sulle ricorrenze, le scelte lessicali e il contesto extra-testuale dei romanzi del ciclo de L'amica geniale di Elena Ferrante, Santagata ha prima ricostruito un "parzialissimo identikit" dell'autrice (normalista prima del 1966, poi studiosa della Camorra), e le ha poi dato un nome: Marcella Marmo, ordinaria di Storia Contemporanea alla Federico II di Napoli. Dopo la rivelazione l'interessata ha negato, e lo stesso ha fatto E/O—come, peraltro, Santagata prevedeva.

Chi abbia ragione o torto non è dato saperlo, ma forse l'articolo di Santagata è uno dei pochi sull'infinita diatriba sull'identità di Elena Ferrante che valga la pena leggere, perché offre elementi nuovi tradotti da un'analisi testuale, l'unica che mancava e forse era necessario fare sull'autrice—come, nota Santagata, con "i fantasmi del passato". Anche perché ormai troppo è stato detto sulla base di ricostruzioni in malafede (quelle di chi vuole l'autrice una macchina da soldi-panel di letterati inventata a tavolino come iniziativa commerciale tout court) o su voli pindarici, o su Domenico Starnone.

La pagina di facoltà di Marcella Marmo sul sito dell'Università Federico II di Napoli. Grab via.

D'altra parte, il fatto che un critico di un tale calibro utilizzi tutti i suoi strumenti come un investigatore privato messo dal marito (l'industria editoriale o la fame del pubblico della Lettura) alle calcagna della moglie fa un po' commedia all'italiana—nonostante il passo indietro finale, quando Santagata scrive che, "Se questa fosse un'indagine di polizia giudiziaria non mi azzarderei a sovrapporre i lineamenti di un volto reale a quelli di un identikit disegnato su basi tanto parziali, ma qui nessuno rischia di essere incriminato." Resta il fatto che la foto di una signora che forse avrebbe preferito fare altro la domenica, sia o meno l'autrice, è comparsa in quinta pagina sull'inserto di un quotidiano nazionale.

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Certo, non si può ignorare che la domanda a cui vuole rispondere Santagata sia legittima, e sia parte del potere mediatico di Elena Ferrante. E questo potere mediatico deve essere ben grande se anche il primo tra i dantisti italiani vi dedica i suoi studi.

Ma oltre a porsi la domanda "chi è Elena Ferrante", attualmente insolubile, penso che la critica e tutti noi altri interessati alla vicenda dovremmo fare un passo indietro e chiederci anzitutto perché Elena Ferrante vuole rimanere un mistero? La risposta di molti è che sia una mossa pubblicitaria. E considerazioni di questo tipo devono essere fatte—ma credo ci siano anche altri motivi. Il primo, banale, è non voler essere una persona pubblica. Uno scrittore non è una popstar che deve evitare i paparazzi, ma è anche vero che il seguito di Elena Ferrante è un seguito pop: che la sente vicina prima ancora di ammirarla. (Che si possa riavvicinare la letteratura alla gente è proprio quello che non torna alla critica italiana, per cui sembra valere ciò che ironicamente scriveva Roal Dahl, "per essere considerato un vero scrittore, devi inserire nel tuo testo almeno una parola di cui nessuno sa il significato.")

Inoltre, Elena Ferrante parla di sentimenti, di famiglia, di perdite e separazioni. Ed è plausibile che per farlo attinga alla propria esperienza: in casi simili non è strano cercare la distanza, a meno, appunto di voler diventare un personaggio—come Knausgård. Tanto più in un mondo maschile come quello della letteratura, dove quando scrivi di cose personali e sei donna è un attimo che ti chiamino a essere la nuova Barbara Alberti, la prossima Natalia Aspesi.

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Gli (altri) indizi su Elena Ferrante «Ecco chi è» Video|Foto|Speciale
Due ore col fan… — Corriere della Sera (@Corriereit)14 marzo 2016

E qui veniamo alla seconda domanda che penso potremmo farci nel rassegnarci, per ora, a ignorare l'identità di Elena Ferrante: perché vogliamo sapere a qualunque costo chi è? Anzitutto, credo, perché non riusciamo a farci una ragione del fatto che l'autrice si stia sottraendo al nostro diritto di sapere—al suo dover essere, appunto, una persona pubblica. Credo che Elena Ferrante si stia in qualche modo rifiutando di essere un prodotto d'esportazione, una specie di Sofia Loren della letteratura italiana: che è invece quello che le chiedono quanti ne vogliono scoprire a tutti i costi l'identità. Si sta rifiutando di rappresentarci più di quanto non stia già succedendo al di là della sua volontà. E infatti c'è anche chi l'ha messa in catastrofici termini geopolitici: cosa sarà di noi quando gli americani si accorgeranno che ci siamo fatti prendere per il naso? Non succederà niente, è la risposta, come noi non abbiamo intentato causa ai francesi quando hanno dato due Goncourt a Gary non sapendo che Émile Ajar era proprio lui.

Perciò, mi chiedo, in fin dei conti cosa vogliamo da Elena Ferrante? Che partecipi ai salotti TV—che sono un po' i paparazzi della vita culturale—che si faccia intervistare a qualunque nuovo programma RAI creerà Daria Bignardi, che sieda alla destra di Fabio Fazio insieme a Fabio Volo? Oppure ci basta darle un volto, un volto di cui poi rispetteremo l'assenza mediatica, crogiolandoci nella certezza che almeno esiste come rappresentante di "quella cosa lì"?

"Quella cosa lì", forse, è il locus dell'intellettuale italiano pubblico, anche un po' mainstream. Se è vero, come sosteneva qualche mese fa Carlo Mazza Galanti, che al posto di Vittorini, Montale e Moravia in una nota foto della metà dello scorso secolo potrebbero oggi sorseggiare drink solo grossi calibri come Mari, Moresco e Siti, è anche vero che questi intellettuali non sono mai stati visti sorseggiare drink insieme da nessuno (che io sappia). Che la comunità a cui appartengono è anzitutto una comunità delle idee e dei libri, che poco ha a che fare con una posizione politica o in altro modo di riferimento. Perciò mi chiedo se chi cerca di dare un volto a Elena Ferrante voglia vederla scendere in campo per le unioni civili, o prendere parti politiche come Joan Didion. Per poi contestarla, immagino, perché non si è mai visto che una donna che scrive "romanzetti" possa avere un'opinione inattaccabile.

In questi termini, a volte la caccia a Elena Ferrante mi sembra non la caccia a un prodigio che vuole rimanere anonimo—altri casi ci sono stati, per svariati motivi, nella letteratura—ma una caccia di frodo. Tant'è vero che gli unici che sembrano rispettare la sua richiesta di anonimato sono proprio i lettori. Gli studiosi fanno il loro lavoro, e se si può appassionare la gente a un dibattito culturale, ben venga. Ma una caccia di questo tipo rischia anche di diventare gratuita, visto che la critica non si decide a considerare le sue opere, ma solo il mistero della sua identità, e che l'unica cosa che sappiamo di Elena Ferrante è che vuole rimanere solo Elena Ferrante.

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