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Il nuovo disegno di legge sulla sicurezza vuole rendere sempre più difficile manifestare

Il ministero dell'Interno sta lavorando a un disegno di legge sulla sicurezza molto più repressivo, che tra le altre cose prevede il carcere per chi manifesta a volto coperto.

Foto di Riccardo De Luca. Ieri pomeriggio, a Roma, si è tenuto un vertice sul tema della sicurezza urbana tra il ministro dell'Interno Alfano e i sindaci delle principali città italiane—quelli di Torino, Firenze, Catania, Venezia, Bari, Napoli, Roma, Palermo, Cagliari, Reggio Calabria e Messina. Durante il vertice è stata presentata la bozza di un disegno di legge messo a punto dal ministero dell'Interno, che prevede un'estensione dei poteri dei sindaci per tutelare la sicurezza dei cittadini e contrastare il degrado urbano.

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Secondo quanto riportato dal Manifesto, la proposta elaborata da Alfano prevede nuove misure repressive, tra cui il carcere per chi manifesta con volto coperto o indossa un casco durante una manifestazione—anche in assenza di reato. Altri provvedimenti previsti sono una pena da due a cinque anni di carcere per chi usa "razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, bastoni, mazze, scudi, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti" e il rafforzamento delle misure per contrastare i comportamenti lesivi del decoro urbano, come "l'accattonaggio invasivo nei luoghi pubblici"—qualcosa che ha ben poco a che fare con le manifestazioni violente, ma che che viene accomunato ad esse sotto l'egida della "sicurezza."

La proposta è stata valutata "positivamente" dal sindaco di Milano Pisapia, mentre i sindacati di polizia ne hanno contestato un articolo che prevede l'introduzione di un codice identificativo per ogni "reparto degli operatori in servizio di ordine pubblico."

Ma al di là di quest'ultima misura—giusta ma decisamente insufficiente, e che oltretutto difficilmente vedrà la luce—il disegno di legge rappresenta il compimento di un'opera di repressione e accrescimento dei poteri della polizia in corso da diversi anni.

Come ha fatto notare in un'intervista la sociologa Donatella Della Porta, autrice di diversi saggi sull'argomento, "[negli ultimi anni] i poteri di polizia sono cresciuti da un lato grazie alle leggi sul terrorismo, dall'altro in relazione all'hooliganismo nel calcio. Sull'esempio del Daspo, fogli di via, divieti di accesso a luoghi e città sono stati usati contro chi protesta, così come lo sono state le multe e tutta una serie di strumenti meno brutali delle manganellate ma egualmente efficaci nello scoraggiare la protesta."

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Un esempio illuminante di questa strategia è il caso di Gianmarco De Pieri, un attivista del centro sociale TPO di Bologna che lo scorso agosto si è visto notificare un divieto di dimora nella città—nonostante risiedesse lì con la famiglia da 20 anni—per aver partecipato a un presidio contro uno sgombero.

Parte dell'opinione pubblica italiana, però, sembra allineata su questa idea di repressione. Un caso esemplare è quello dei fatti del primo maggio a Milano, quando già durante gli scontri si poteva trovare su Facebook e Twitter gente che inneggiava indiscriminatamente all'uso della violenza e arrivava persino a evocare una "nuova Diaz"—nonostante meno di un mese prima l'Italia fosse stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo proprio per quella vicenda.

In quell'occasione le immagini di auto bruciate, vetrine sfasciate e muri imbrattati dovevano aver colpito particolarmente l'immaginario collettivo degli italiani—tanto che qualche giorno dopo c'era stata una grande manifestazione spontanea per riparare ai danni e ripulire Milano. È stato proprio da quel momento in poi che il tema del "degrado" ha iniziato a comparire in maniera sempre più ricorrente nel dibattito pubblico italiano, toccando il suo punto massimo nel caso di Roma.

Insomma, le conseguenze di quei fatti e della reazione dell'opinione pubblica si possono vedere chiaramente oggi, sotto forma di un inasprimento della repressione verso ogni forma di dissenso. Un'operazione per cui Expo può essere considerato una specie di laboratorio—basti pensare ai licenziamenti politici di lavoratori, agli scioperi precettati e al divieto di indossare simboli politici all'interno della manifestazione—e che tramite l'equiparazione progressiva del dissenso alla criminalità comune sta rendendo sempre più difficile manifestare in Italia.

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