Brian Slagel della Metal Blade ha respirato metallo per 35 anni

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Brian Slagel della Metal Blade ha respirato metallo per 35 anni

Leggi la nostra intervista con il fondatore della leggendaria label e un estratto in esclusiva dal suo nuovo libro sulla storia di Metal Blade Records.

Dire che la Metal Blade è stata fondamentale a far entrare nella storia l'heavy metal americano non è un'esagerazione. Leggere i nomi che compongono il roster dell'etichetta—Slayer, Fates Warning, Trouble—è come trovarsi di fronte al Gotha del metallo, così come guardare le varie uscite della sua storica compilation Metal Massacre, che servì da trampolino di lancio per band come Metallica, Cirith Ungol, Hirax e Obsessed. Che sia thrash, speed, power, death, doom o black, nel corso degli anni la Metal Blade ha perorato la causa di qualsiasi genere abbia mai avuto il suffisso "metal", con la notevole (e ammirevole) eccezione del nu. Rispetto agli anni d'oro dell'etichetta, l'industria e il genere stesso sono in una fase di saliscendi; l'unica costante è stata Brian Slagel, sua guida e suo fondatore.

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Agli inizi della sua carriera, Slagel ha organizzato concerti, scritto fanzine, lavorato in negozi di dischi. Quando lanciò quella che sarebbe diventata un'istituzione globale con il primo capitolo di Metal Massacre, il suo ufficio era il garage di sua mamma. Ora, trentacinque anni dopo, ha scritto un libro—For the Sake of Heaviness: The History of Metal Blade Records—assieme a Mark Eglinton, con prefazione di Lars Ulrich, in cui racconta il viaggio dell'etichetta e il suo ruolo dietro le quinte della scena: dall'aver procurato due bassisti a una delle band metal più famose del mondo, all'aiuto dato a Prosthetic Records in fase di decollo.

"Mi chiedono da tempo di fare un libro", spiega Slagel. "E io rispondevo sempre 'Ah, è roba da vecchi'. Quindi, ora che sto diventando vecchio… E poi stavamo pensando a cosa fare per il 35esimo anniversario, e l'idea sembrava interessante perché non avevamo mai fatto nulla di simile. Ci è sembrato un buon momento per una cosa di questo genere".

A questo punto sembra ragionevole chiedere a Slagel di tornare indietro e individuare il momento in cui è stato contagiato dal morbo del metal e quale aspetto di questo genere l'ha fatto deviare così tanto dalla retta via. "Mi piacerebbe avere una buona risposta", dice giustificandosi. "Quando avevo 11 anni, mio cugino mi fece sentire Machine Head dei Deep Purple, e quel suono aveva qualcosa di speciale—non avevo mai sentito nulla di simile, fu incredibile. Poi sentii i Black Sabbath, e cominciai a scavare… È difficile da dire, però: appena lo sentivo, lo adoravo e ne volevo di più, e diventai un fanatico. È una cosa che mi colpì all'improvviso e oggi, molti anni dopo, è ancora così".

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Photo courtesy of Metal Blade

Cose del genere, dette da qualcuno che è nel campo da tanto tempo, scaldano il cuore, e Slagel è ben felice di parlare tanto del fascino di classici di Lizzy Borden e Cannibal Corpse quanto delle sue ultime scoperte. Nei 35 anni che ha passato al timone di Metal Blade, l'approccio agli affari di Slagel è rimasto perlopiù lo stesso: l'arte vince sul commercio. "Se lo sento e mi piace, allora lavorerò con la band", dichiara secco. "Ovviamente ci vorrò anche parlare per stabilire se ci troviamo sulla stessa lunghezza d'onda, ma siamo sempre stati super fortunati nel trovare gruppi che sono diventati anche ottimi amici. È davvero una grande famiglia qui, e siamo tutti qui per lo stesso motivo".

Quest'atmosfera familiare è così forte che il CFO della label Tracy Vera si è innamorata e ha sposato il bassista dei Fates Warning e degli Armored Saint, Joey Vera, dopo averlo visto "ricoperto di melma dei Gwar" a un concerto, ma questo non rischia di portare a scontri o faide interne quando si tratta di contratti? "È piuttosto raro", dice Slagel. "L'unica volta che mi viene in mente in cui a me piaceva qualcosa e lo staff non ne voleva sapere sono i Volbeat. Avevo ricevuto il primo demo e pensavo fosse strafigo, ma tutti qua negli States e in Europa mi dicevano 'nah, non ci piace…' così non li abbiamo prodotti, e poi guarda cos'è successo. Quindi, ogni tanto, se c'è un po' di esitazione, posso sempre dire: 'hey, ricordatevi dei Volbeat!'"

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Del resto il fatto di mancare alcuni dei gruppi più grossi è stato una costante di tutta la storia della label, incapace di tirare su abbastanza soldi per accalappiare Metallica, Megadeth e Mötley Crüe, per non parlare di quando la Def Jam le scippò gli Slayer dopo Hell Awaits. Tuttavia, anche se l'etichetta non è stata in grado di finanziare futuri classici dell'heavy metal, Slagel ha sempre avuto un ruolo da burattinaio nella coltivazione della biosfera heavy metal—per esempio, tenendo un posto nel primo capitolo di Metal Massacre per la band di Lars Ulrich che all'inizio non esisteva, e aiutandola a solidificare la propria formazione.

"Penso che si possa usare l'analogia dell'appuntamento al buio perché è praticamente quello che successe con Cliff [Burton]", racconta Slagel parlando di come introdusse il leggendario bassista nei Metallica. "Era in una band chiamata Trauma che avevamo messo su Metal Massacre II. Vennero a LA per suonare e ci sembrarono medi come band, ma il bassista era incredibile. Poco tempo dopo, Lars mi disse che cercavano un nuovo bassista e gli parlammo di questo Cliff. Lui andò a un concerto e, in tipico stile Lars, disse: 'Quello sarà il mio bassista'. Vederlo nei Metallica per la prima volta… Erano già fantastici, diversi dagli altri e capaci di migliorare a ogni concerto, ma vedere Cliff là sopra fu come trovare il pezzo mancante del puzzle".

"Mi dissi proprio 'Ok, è tutto come deve essere'. Con Jason [Newsted], ero super contento che si fosse unito alla band e ho sempre pensato che sia stata la scelta migliore. I Metal Church suonarono al Country Club ed era tipo primo o secondo concerto dei Metallica con Jason. Ovviamente c'era il pienone e fu una bomba—ero molto contento per i ragazzi perché erano belli da vedere, belli da sentire e sembravano a loro agio".

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Foto di Jeremy Saffer

Per quanto riguarda un altro dei Big Four del thrash, Slagel dimostra di aver preso con filosofia l'abbandono degli Slayer in favore di un'etichetta più grossa, parlando di una giustapposizione tra i ragazzini scemi che fanno a gara di scoregge e il fanatismo dei loro fan, la dedizione della band alla propria arte e le loro evidenti potenzialità di grandezza. "Non erano necessariamente i migliori amici, e non erano sulla stessa lunghezza d'onda musicalmente, ma se mettevi quei quattro insieme in studio o sul palco succedeva sempre una magia", dice.

Per chi non c'era, la scena metal americana degli anni Ottanta sembra una specie di Far West della musica, anche se Slagel ci tiene a evidenziare lo spirito di sperimentazione, cameratismo e competizione amichevole dei primi tempi. "A quei tempi eravamo tutti innocenti", dice. "Non sapevamo nulla, amavamo soltanto la musica ed era super divertente andare ai concerti—era come una grande famiglia disfunzionale dell'heavy metal. Facevamo feste leggendarie a casa della mamma di Betsy delle Bitch. Era a dieci minuti da Hollywood, per cui ci trovavamo tutti là con Megadeth, Metallica, Lizzy, Steeler, Bitch, Mötley e Ratt, tutti a far festa. Non capivamo nulla, e penso che nessuno credesse che sarebbe diventato così famoso".

Ovviamente, oltre a essere un pilastro dell'heavy metal, Metal Blade ha rappresentato anche una carriera per Slagel. Il primo album della label fu più una fotografia della scena locale di Slagel che una dichiarazione d'intenti o mossa commerciale, e la sua uscita rimane una delle sue grandi conquiste. "Ricordo che ero nel negozio di dischi in cui lavoravo e arrivarono tutti quei dischi", dice. "Quello, per me, è ancora una cosa che mi fa impazzire—avevo veramente fatto uscire un disco, ed ero soltanto un ragazzo di 21 anni che non sapeva cosa stava facendo. Non era una carriera per me, non pensavo di stare fondando un'etichetta, non pensavo di star facendo niente di più che aiutare la scena locale, ma feci uscire questo album e nel 1982 non era facile. Dopo un po' ti immergi così tanto nel tuo lavoro che non hai più tempo per fermarti a pensare—ma quel primo disco, invece, ho avuto la possibilità di assaporarlo un po'".

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Quindi, quando cominciò a essere una vera etichetta per Slagel? "Ci è voluto un po', questo è sicuro", ammette. "Per i primi tre anni facevo tutto dal garage di mia madre. Penso che l'EP degli Armored Saint che li fece finire sotto contratto con la Chrysalis sia stato un punto fondamentale. Il fatto che una delle tue band firmasse per una major ti faceva pensare 'Wow, qua si inizia a fare sul serio'".

Il sentiero da hobby a impresa sarà stato anche lavato da sangue, sudore e lacrime, ma poggiava anche sulla pazienza e lungimiranza della madre di Slagel, che non sembrò preoccuparsi dell'abbandono della scuola da parte del figlio e sopportò che casa sua diventasse la base iniziale delle operazioni. "La musica non le è mai piaciuta", ricorda Slagel ridendo. "Magari un paio di pezzi qua e là, ma non si è mai appassionata. Ma è super orgogliosa di come sono andate le cose, di come è gestita bene l'etichetta e del fatto che sono riuscito a mantenere questa cosa in piedi per 35 anni. Penso che sia andata a tre o quattro concerti in tutto, non era il suo stile".

Quali? "L'ho portata a vedere Lizzy Borden; l'ho portata anche a un concerto delle Bitch ai primi tempi. Ho cercato anche di farla andare a qualche concerto più grosso—forse l'ho trascinata a vedere i metallica a un certo punto quando stavano avendo successo, ma non volevo davvero che vedesse tutto, visto che era pieno di gente fuori di testa, coi petardi, le canne, eccetera!"

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Leggi un estratto da 'For the Sake of Heaviness: The History of Metal Blade Records'

Ricordo di aver ricevuto una telefonata intercontinentale da Lars Ulrich durante l'estate del 1981.
"Non ci crederai mai. Sono con i Diamond Head!"
"Amico, mi stai prendendo per il culo. Non è possibile."
"No, no, sul serio…"

In quel momento mi trovavo con John Kornarens e stavamo entrambi dando di matto. Non potevamo credere che noi ci trovavamo bloccati a LA mentre lui era laggiù, a vivere il Sogno Europeo per l'estate, in giro con Diamond Head, Motörhead e tutte quelle altre band fantastiche. Era tipico di Lars. Anche da ragazzino, sembrava avere una capacità fuori dal comune di far succedere le cose.

Quando tornò, non vedeva l'ora di raccontarci tutto, così ci invitò a casa sua a Newport Beach. Mentre ci trovavamo nella sua stanza, notai che aveva una batteria nell'armadio a muro. Non era nemmeno montata; erano solo dei pezzi sparsi.
"Perché hai una batteria qua?" chiesi.
"Formerò una band", rispose con sicurezza.
Tutto quello che pensai in quel momento fu: "Certo, Lars, sicuro…"

***

Anche a quel punto, cercare di spargere la voce di una scena metal che non sembrava interessare a nessuno era un lavoraccio che non dava soddisfazioni. Se parlavo di una band nella mia fanzine New Heavy Metal Revue nel tentativo di generare interesse, le copie stampate sarebbero state al massimo mille, quindi il raggio d'azione non era particolarmente ampio. Poi mi venne un'idea. Influenzato dall'attitudine do-it-yourself portata avanti dalla New Wave of British Heavy Metal—dove compilation come Metal for Muthas avevano iniziato a diffondersi nel 1980—pensai: "Perché non metto insieme una compilation tutta mia?"

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John Kornarens Al sesto numero della fanzine, Brian mi fa: "Hey, perché non facciamo un album come Metal for Muthas?" E quello fu l'inizio di Metal Massacre. A quei tempi, ero ancora all'università e lavoravo nel reparto ortofrutta di un supermercato per fare qualche soldo. Non avevo idea di quali sarebbero stati i prossimi passi; non c'era alcun manuale su come far uscire dischi. Con un po' di riflessione, pensai che le prime e più logiche persone da contattare sarebbero i vari importatori da cui ordinavo i dischi in distribuzione per Oz Records. C'erano pochissimi distributori indipendenti in giro. Uno era Greenworld a LA—quelli a cui mandai i Mötley Crüe—e l'altro era Important a New York, che poi sarebbe diventato Red Distribution. A entrambi feci la domanda da un milione di dollari: "Se mettessi insieme una compilation con tutte le band metal emergenti di LA, voi la distribuireste?"

"Certo!" fu la risposta da parte di entrambi, quindi ora non avevo altra scelta che andare a parlare con i gruppi. Il piccolo problema a quel punto era che non avevo un soldo—e il problema era tutto mio, visto che avrei dovuto pagare la stampa di più o meno 2500 album. Nessun altro avrebbe messo i soldi per me. Certo, avevo qualche risparmio derivante da un lavoretto come commesso nel reparto elettrodomestici di Sears, ma di certo non era abbastanza per far registrare tutte quelle band. L'unica possibilità che avevo era di andare da loro e dire: "Se voi registrate qualcosa, sappiate che sto pensando di fare questa compilation. Vi posso includere".

Fortunatamente, gran parte delle band aveva già delle registrazioni pronte ed era entusiasta dell'idea. E quelli che non le avevano erano disposti a fare una colletta ed entrare in studio per l'occasione. L'idea piaceva a tutti noi. Avevo bisogno di metterli su quell'album; loro avevano bisogno di essere quell'album perché, a quei tempi, essere su un album di qualunque tipo era una cosa davvero importante. Nessuno faceva uscire album, non c'erano etichette indipendenti di alcun tipo a parte quelle che facevano ancora uscire punk.

Dopo un po' di incontri e conversazioni in cui io cercai di vendere con entusiasmo l'idea della compilation, la band Bitch, capitanata da Betsy Weiss, accettò di partecipare. Anche i Cirith Ungol, una band di Ventura che suonava fin dai primi anni Settanta, dissero ok. All'inizio anche i Mötley Crüe dovevano esserci, ma si ritirarono all'ultimo minuto perché furono messi sotto contratto da una label in seguito all'articolo che John e io avevamo pubblicato su di loro in UK. I Ratt ci stavano. I Malice pure. La sorella di John Kornarens era in una band chiamata Avatar, e anche loro finirono sul disco. L'interesse non mancava. Presto mi ritrovai con la base per una compilation niente male.

Ripensandoci, anche la location di Oz Records fu fondamentale a quel punto. Quel punto di Woodland Hills era abbastanza benestante, ma era anche vicino alla bocca del Topanga Canyon, quindi c'erano due modi per arrivare al negozio: dalla spiaggia o dalla città. Di conseguenza, visto che parliamo di Topanga negli anni Ottanta, vicino a noi vivevano varie rock star che passavano spesso dal negozio.

Kevin Cronin degli REO Speedwagon veniva; Frank Zappa viveva a quattro isolati di distanza, e ogni tanto faceva passava di lì. Un paio di tizi che avevano suonato con Zappa—epoca Joe's Garage—entravano spesso. Il cantante Ike Willis e un altro tizio chiamato Rick Gerard—che aveva suonato il basso con Zappa in qualche momento ed era amico del proprietario di Oz Records—erano sempre lì. Anzi, Rick voleva andare in studio e registrare qualcosa per Metal Massacre. Così nacquero i Demon Flight.

Verso la fine della raccolta delle band per il disco, Lars, essendo tornato dall'Europa ormai da diversi mesi, mi chiamò e mi disse: "Hey, ho sentito che stai facendo una compilation. Se tiro su una band, posso starci anch'io?" E pur non sapendo con sicurezza se l'avrebbe fatto davvero, risposi: "Certo!"

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