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Adolescenti ubriachi e gare di rimorchio: com'è crescere in una località turistica italiana

Per chi al mare va solo in vacanza è difficile immaginare l'insofferenza e l'incomprensione che chi vive tutto l'anno nelle località turistiche prova nei suoi confronti. Abbiamo chiesto a cinque ragazzi, da Jesolo al Salento, di parlarcene.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Probabilmente non ci pensate quando prenotate il Flixbus o il volo low cost che vi ci porterà, ma le località deputate alle ferie sono abitate anche da esseri umani che vi rimangono anche nelle altre stagioni, e che per un paio di mesi l'anno devono sorbirsi la presenza imposta di villeggianti che si aggirano per le loro strade ubriacandosi e tentando di rimorchiare.

Ovviamente, in Italia, i pattern di convivenza tra residenti e turisti sono variabili, e i mix di accettazione, sopportazione e lucro sono molto diversi in base alla zona e alla tipologia di turisti che storicamente la colonizzano. Per capire com'è effettivamente crescere in un'area turistica italiana, come cambia la vita durante i mesi estivi, e come gli autoctoni si approcciano a quello che è sempre definito "la più grande ricchezza della zona", ovvero il turismo, abbiamo deciso di interpellare cinque ragazzi fra i 25 e i 30 anni, da Jesolo fino al Salento. E loro ci hanno raccontato cosa pensano dei nostri orribili costumi e delle vacanze scoperecce. ALESSANDRO, 26 ANNI, VERSILIA

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Ragazzi alla Capannina di Forte dei Marmi. Foto di Giulia Chiti.

Solitamente chi ci viene in vacanza ha un'impressione leggermente distorta e stereotipata della Versilia, e considera tutto il pezzo di costa che scorre da Viareggio fino a Forte dei Marmi come una specie di agglomerato di camicie infilate nei pantaloni, mocassini da barca e bottiglie sciabolate. Quella, in realtà, è solo Forte dei Marmi d'estate. Essendo cresciuto a Viareggio so quanto in realtà Viareggio e Forte differiscano anche per tipo di turismo: se la seconda è frequentata storicamente dai milanesi con i soldi, e recentemente dai russi, Viareggio è la patria della casa al mare di moltissimi toscani dell'entroterra, che vengono in Versilia con la famiglia da quando sono nati. La caratteristica che lega questi due universi è il sentimento che gli autoctoni generalmente nutrono verso di essi: sopportazione, fastidio e soprattutto distacco. La Versilia è fondata sul turismo, ma chi ci vive tutto l'anno durante l'estate occupa uno spazio parallelo: io ho sempre avuto amici che venivano da fuori, però solitamente chi vive qui non frequenta gli stessi locali o le stesse zone che per gli esterni rappresentano la Versilia. Per la maggior parte di noi andare in Capannina a vedere Jerry Calà è una cosa un po' ridicola, quindi stiamo soprattutto in darsena la sera, dove ci sono locali che c'entrano poco con l'aura patinata della Versilia. Insomma, l'immaginario fighetto e decadente è alla base di un sistema economico, ma c'entra poco con come siamo noi.

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GIACOMO, 25 ANNI, OLBIA

Foto di Russ Roe.

Se esiste una categoria umana che non viene presa in considerazione quando si parla della Sardegna, è quella dei sardi. Pensateci: avete mai sentito parlare dei sardi quando qualcuno racconta le proprie vacanze in Sardegna? Probabilmente no, se non per indicare figure indistinte e basse che stanno in piedi nei campi vicino alle calette in cui i turisti fanno il bagno. L'unica forma di interazione turismo-sardi è forse rappresentata dai nomi delle località scritti in sardo sui cartelli. "Oh guarda, 'Poltu Rutundu", che strana lingua che parlano quei tizi nei campi."

Almeno, è quello che avviene nella mia zona—quella di Porto Rotondo e Porto Cervo, per intenderci, che possiamo definire con un po' di approssimazione la più emblematica fra le mete vacanziere sarde. Essere sardo per me significava essere escluso quasi interamente dalla gamma di esperienze che i turisti identificano come gratificanti quando parlano della Sardegna: i locali, gestiti da non sardi, sono accessibili economicamente solo ai non sardi, così come i locali sulla spiaggia pieni di nomi anglofoni che non hanno nessun tipo di contatto con la nostra vita reale. Il marchingegno economico che per anni ha rimpolpato il turismo in Sardegna era— ed è—non solo non destinato ai sardi, ma nemmeno pensato, dai sardi. L'unica forma di scaltrezza che possediamo noi sardi rispetto ai ricchi che popolano la nostra zona d'estate è conoscere a menadito tutti gli anfratti di costa in cui loro vorrebbero avventurarsi con il tender, e che noi ci guardiamo bene dall'indicargli, gongolando mentre ci tuffiamo e prendiamo i ricci con il retino. Loro invece se ne stanno spaparanzati sui morbidi asciugamani dei resort da 15.000 euro al mese, lontani dalle murene. Quando ho capito quanto fosse magra come consolazione, mi sono trasferito.

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GIULIA, 28 ANNI, RIMINI

Anziani a Riccione. Foto di Mirko Medri.

Passare l'adolescenza a Rimini è stata un'esperienza piuttosto interessante e divertente, specialmente dal punto di vista relazionale. Giugno, luglio e soprattutto agosto rappresentavano i mesi in cui le pensioni economiche, le spiagge e i locali si riempivano di giovani tardo-adolescenti, provenienti da tutta Italia, arrivati in Riviera con la convinzione che scopare sarebbe stata quasi una formalità. Erano gli anni in cui Rimini e Riccione erano ancora le mete predilette per questa specie di "turismo arrapato". Lavorando in un chioschetto vicino alla passeggiata del lungomare, i miei pomeriggi dai 15 anni in poi erano bombardati dalle attenzioni un po' impacciate di giovani romani, toscani e pugliesi con i capelli piastrati e i costumi al ginocchio che tentavano di capire disperatamente quanto le "voci sulle ragazze romagnole" fossero autentiche. Difficilmente, in realtà, ne uscivano soddisfatti. In realtà devo dire che questo tipo di immaginario i romagnoli lo hanno sempre aizzato con un misto di orgoglio/ironia: ancora oggi trovi dei bagnini settantenni negli stabilimenti balneari che battezzano i giovani su come fare il filo alle nordiche, che fra l'altro non ci sono neanche più. L'arrivo della stagione sostanzialmente significava unirsi a questa specie di carrozzone pieno di tamarri e tedeschi, che volevano per lo più sbronzarsi e vomitare fra di loro nei locali che fornivano sconti per gli stranieri. Era così divertente che diventavamo un po' tamarri anche noi e di volta in volta ci univamo a compagnie diverse e ci vestivamo come loro per salire sui pullman convenzionati che ti portavano alle discoteche più famose di Riccione. Questo d'estate—d'inverno a Rimini si rasenta la depressione. Adesso sta cambiando tutto, e la Riviera Romagnola ha perso gran parte del suo appeal—o forse lo penso io visto che per me quell'epoca è passata. Ma credo che essere cresciuta a Rimini durante i primi anni Duemila sia stato un po' come partecipare all'ultimo atto di una specie di monumento estivo italiano.

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ALESSANDRA, 29 ANNI, JESOLO

Foto via Flickr.

Sono nata e cresciuta a Jesolo Lido, e visto che mia madre faceva la bagnina per uno stabilimento balneare, e che durante le estati della mia adolescenza ho sempre fatto "la stagione" lavorando in negozi per turisti, ho avuto modo di avere un contatto diretto con i vacanzieri. Almeno fino a quando non me ne sono andata per frequentare l'università. Il turismo è cambiato tantissimo nel corso degli anni: fino a una decina di anni fa Jesolo era una meta per giovani—provenienti dal tutto il nord est e dalla Germania—che venivano per spaccarsi e frequentare i molteplici locali della zona. Ogni sera era un delirio. Adesso invece è un po' l'opposto: è diventato un posto per famiglie ed anziani, soprattutto perché si è cercato di allungare la stagione. Durante l'adolescenza praticamente tutti i miei amici lavoravano in locali e negozi nella stagione estiva, e quindi in un certo senso l'arrivo dei turisti poteva rappresentare una rottura di coglioni, perché significava lavoro: in realtà ho un bellissimo ricordo di quell'epoca, perché c'era una differenza netta rispetto all'inverno, e avevi modo di conoscere un'infinità di persone diverse—e questo ti rende più sveglio e scafato. "Andare a tedesche", poi, era una specie di sport locale estivo per i miei coetanei maschi, e ricordo nitidamente quel senso di "novità" che provavi ogni volta che arrivava l'estate.

SAMUELE, 27 ANNI, SALENTO

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Non sono ancora riuscito a capire le dinamiche che trasformano all'improvviso un luogo conosciuto solo dagli appassionati di cromatura marittima come "uno dei pochi posti che se la batte con la Sardegna per il mare bello", in un impasto turistico fatto di cocktail in spiaggia, addominali e discoteche. E non riesco a capirlo nemmeno adesso che è successo nel luogo in cui vivo.

Sono infatti cresciuto nel periodo di mezzo in cui il Salento è passato dall'essere un luogo "introverso" a quello che è diventato dopo "l'esplosione di Gallipoli". I miei interessi oggi sono talmente diversi rispetto all'adolescenza, perciò quando penso all'estate ora provo quasi esclusivamente un senso di oppressione per la calca umana che si avvicina, per le code infinite che dovrò fare per spostarmi in certe zone, etc. Ma probabilmente il me stesso 18enne avrebbe venduto un testicolo per vivere nel presente. Provo uno strano senso misto di sollievo e rimpianto per essermelo perso. Sollievo per aver avuto modo di vedere e vivere il Salento prima della sua trasformazione in quella specie di scatola anonima che è oggi; e rimpianto per tutti i viaggi che ho faticosamente organizzato durante le estati dai 16 ai 22 anni per cercare proprio quello che oggi potrei avere uscendo di casa in agosto.

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