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Tecnologia

Lo strano mondo dei quantificatori seriali

Il movimento del Quantified Self ha radici profonde, ma non tutte affondano nello stesso terreno. C'è chi si monitora per sport, chi per problemi di salute e chi perché non ha niente di meglio da fare.
Immagine: Sebastiaan ter Burg/Flickr

“La risposta è dentro di te. Però è sbagliata,” recitava un grande saggio del tubo catodico. C'è voluto un po' di tempo, ma la scienza è riuscita a convincerci del contrario. Almeno per quanto riguarda il nostro stato di salute fisica. Come riporta Nature, a marzo avrà inizio uno studio pilota che vuole monitorare, attraverso alcuni dispositivi digitali, la salute di 100 individui per un periodo di nove mesi.

Dietro c'è Leroy Hood, presidente dell'Institute for Systems Biology (ISB): vuole mettere alla prova la sua idea di medicina del futuro, che lui stesso definisce con le “quattro P”: predittiva, preventiva, personalizzata e partecipativa. I dati raccolti saranno analizzati dai medici, che forniranno ai soggetti dei consigli per rendere le loro abitudini più salutari. Se lo studio avrà successo, avrà inizio il progetto vero e proprio, che si prefigge l'ambizioso obiettivo di tenere sotto controllo i dati biomedici di ben 100.000 persone nell'arco di 25 anni di vita.

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Per quanto ambizioso, l'esperimento di Hood non è un caso isolato. L'iniziativa si ispira al fenomeno del Quantified Self: In pratica si tratta di registrare i dati delle vostre attività quotidiane per poi condividerli con gli altri. Magari evitando di lasciarsi prendere troppo la mano.

Immagine: Nature

“Conosci te stesso,” recitava l'iscrizione del tempio di Apollo a Delfi. Per millenni, illustri pensatori, da Socrate a Nietzsche, hanno fatto proprio il precetto delfico elaborandolo in nuove riflessioni. Oggi, che i tempi sono cambiati e i pensatori anche, l'uomo moderno cerca come può di seguire i saggi consigli di Apollo. Per raggiungere la conoscenza di sé non c'è neppure bisogno di spremersi troppo le meningi: il lavoro sporco lo fanno le nuove tecnologie comodamente installate sullo smartphone. Il percorso per l'illuminazione non passa più dall'introspezione, ma dai numeri e dalle statistiche—“self knowledge through numbers.”

Certo, c'è stato bisogno di cambiare un po' il motto, ma è normale dopo tutto questo tempo. Quello del nuovo millennio è diventato: “Quantifica te stesso.”

La sacra regola del quantificatore non è incisa per volontà divina nelle rovine ai piedi del monte Parnaso, ma arriva pur sempre da un tempio, della scienza stavolta: il Tech Museum di San Jose, nella Silicon Valley. I precursori di questo credo appartengono a quell'élite menti brillanti che da ormai trent'anni si è insediata nella Bay Area di San Francisco. Non sono greci ma geek, e nel 2007 alcuni hanno cominciato a riunirsi per coltivare una passione comune: misurare e condividere i dati personali registrati durante le più svariate attività quotidiane.

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Il self-tracking—o lifelogging, cioè la quantificazione delle proprie abitudini—nasce come una passione di pochi, ma trova in Gary Wolf, editor di Wired, e Kevin Kelly, tra i fondatori della rivista, due promotori d'eccellenza. Nel 2010, Wolf scrive un articolo sul New York Times, intitolato “The Data Driven Life,” che diventa il manifesto del movimento Quantified Self (QS). Negli ultimi sei anni, il QS è diventato un fenomeno globale e per alcuni una filosofia di vita. Di certo, ha scelto il momento più opportuno per fare la sua comparsa, per almeno tre motivi.

Innanzitutto, l'evoluzione delle tecnologie per la raccolta dei dati ha permesso la creazione di sensori portatili precisi e affidabili, ma anche poco costosi e quindi alla portata del grande pubblico. È difficile immaginare lo sviluppo della comunità dei self-tracker senza l'apporto di questi dispositivi, i quali, di riflesso, hanno ricevuto un grande beneficio dall'aumento della domanda.

Le grandi aziende non si sono certo fatte sfuggire l'occasione e hanno messo sul mercato prodotti sempre più completi e accattivanti. La piattaforma Nike+ è un ottimo esempio, ma ne esistono molti altri. Come per l'uovo e la gallina, è difficile dire se sia nato prima il self-tracker o il suo strumento.

Secondo, la società prosegue a folle velocità la sua corsa verso l'accumulo di sterminate quantità di informazioni, i famosi Big Data. Siano questi di natura scientifica, economica, o personale—con buona pace della privacy—poco importa. Quel che conta è raccoglierne tanti, poi qualcuno li analizzerà e ci capirà qualcosa. Nel frattempo i dati si vendono, facilmente e a peso d'oro.

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Terzo, il QS sfrutta a pieno le potenzialità di internet, il terreno di coltura perfetto per ogni sottocultura contemporanea. La rete ha una gran fame, vuole inglobare e mettere in connessione quante più cose possibili. Come è ovvio, c'è spazio anche per i dati delle nostre attività quotidiane, se vi va condividerli con il resto del mondo.

Certo, c'è stato bisogno di cambiare un po' il motto, ma è normale dopo tutto questo tempo. Quello del nuovo millennio è diventato: “Quantifica te stesso.”

Se ci pensate, una rete così complessa non esisterebbe senza ogni singolo nodo. Grazie alla diffusione dei social network e di altri strumenti di condivisione, internet è diventato il luogo ideale dove le piccole comunità possono nascere, crescere, acquisire una propria identità e poi diffondersi a macchia d'olio.

Ed è proprio quello che è successo al movimento Quantified Self, che oggi vanta una comunità ampia e ben strutturata. I suoi adepti si riuniscono in 138 meetup in tutto il mondo, tra cui quelli italiani di Milano e Torino. Durante gli incontri, i self quantifiers hanno a disposizione 5-10 minuti per esporre la loro esperienza di misurazione e monitoraggio. Nei loro interventi—che chiamano show and tell—devono rispondere a tre domande chiave: “Cosa hai fatto? Come lo hai fatto? Cosa hai imparato?”

Il fenomeno QS è in continua crescita e le stime “prevedono 100 milioni di utenti entro il 2018 (dagli attuali 15 milioni, secondo Juniper Research),” riporta il Corriere delle Comunicazioni. D'altronde in America il 69 percento degli adulti tiene traccia di qualche parametro personale, che sia il peso o quant'altro. Anche i finanziamenti che il settore riceve sono in aumento. I venture capital lo supportano ogni anno di più, soprattutto per quanto riguarda la parte legata alla medicina. Anche le iniziative di crowdfunding vanno per la maggiore, rendendo possibile la commercializzazione dei più disparati dispositivi.

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Qualcuno potrà obiettare che i self tracker, con i loro misuratori domestici, abbiano scoperto l'acqua calda. D'altronde i contapassi non sono certo una novità e mia nonna si misurava da sola—con un glucometro—la concentrazione di glucosio nel sangue quando molti di loro, e il sottoscritto, giocavano ancora con le macchinine. Infatti è così, non hanno scoperto niente di nuovo.

La loro forza è stata quella di creare una comunità che attirasse diversi tipi di pubblico con una promessa: quella del miglioramento personale. Certo, ci sono alcune categorie di persone che rientrano per forza di cose nel mondo dei quantificatori seriali. Mi riferisco a sportivi professionisti, malati cronici e fanatici di gadget e dati. Tralasciando questi ultimi, che il movimento l'hanno fondato—sono i famosi geek della Silicon Valley—gli altri due gruppi sono stati, in un certo senso, dei pionieri del QS.

Gli sportivi hanno sempre usato la tecnologia per monitorare gli allenamenti e ricavarne indicazioni utili sul loro rendimento atletico, e oggi sono una componente importante del movimento. Così ha fatto anche Steven Dean, ex triatleta dell'Ironman—forse la competizione più estrema del mondo—che oggi è l'organizzatore della comunità QS di New York.

Le persone con problemi di salute, invece, non vogliono migliorare le loro prestazioni, ma tenere sotto controllo la malattia attraverso una consapevolezza più oggettiva. Per farlo servono strumenti affinati dalla scienza e un po' di buona volontà, come sanno bene i diabetici. Il fiorire dei dispositivi in grado di controllare specifici parametri biomedici ha dato il via a una sorta di medicina DIY che si avvicina molto alle caratteristiche del self tracking. Inoltre, queste persone possono trovare un grande aiuto nel condividere la propria esperienza—nonché i propri dati—con chi è affetto dalla stessa malattia, creando nuove comunità online. Un buon esempio è il forum PatientsLikeMe.

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La medicina DIY, dipinta con enfasi leggermente esagerata. Immagine: Sebastiaan ter Burg/Flickr

L'aspetto che accomuna queste due categorie, gli sportivi e i malati, è la volontà di raggiungere un obbiettivo o di risolvere un problema. Le dinamiche del movimento QS si adattano bene alla loro situazione, infatti vi aderiscono in molti. Ma come si fa ad attirare nel gruppo chi non deve ricorrere alla quantificazione per necessità?

Il primo trucco è quello di rendere gli strumenti per il tracking simili a un gioco, in cui gli utenti ricevono delle ricompense—anche banali—per il raggiungimento di un traguardo, fissato da loro o dal software del dispositivo. In questo modo si crea una storia personale del soggetto, che lo coinvolge perché parla di lui e lo stimola per il solo fatto di promettere un miglioramento. Inoltre, impedisce che l'utilizzo del gadget resti una fredda e meccanica misurazione giornaliera.

Anche la stretta relazione con la comunità e la condivisione dei propri dati personali sono uno strumento potente. È risaputo che le persone, quando sanno di essere osservate, e forse giudicate, cercano di modificare il proprio comportamento per dimostrare di essere migliori. Questo fenomeno, simile all'Effetto Hawthorne, è una componente fondamentale del successo del QS. Del resto, nessuno vuole fare una figuraccia davanti a tutta la comunità dei quantificatori, ma neppure essere sgridato da un orologio per il fitness.

Insomma, è innegabile che in alcuni casi la tendenza alla registrazione delle attività quotidiane possa rivelarsi molto utile. È così per gli sportivi e per chi è affetto da specifiche malattie. Rimango perplesso sul fatto che una tale spinta al miglioramento costante, che farebbe invidia al grande samurai Musashi Miyamoto, possa essere d'aiuto a chi non ha ben chiaro perché lo stia facendo. La conoscenza di sé—nel senso a cui alludeva l'oracolo di Apollo—non scaturirà, temo, dalla registrazione delle nostre attività giornaliere, nobili o banali che siano.

Ne è un esempio, a mio avviso, la dichiarazione che Bob Troia ha rilasciato alla PBS in un video. Parlando in modo entusiasta della sua mania di quantificare gli stati emotivi, che in pochi anni lo ha portato a spendere più di 20.000 dollari in gadget, dichiara: “Così, in ogni momento, posso controllare sul mio telefono e vedere [dai dati] quanto sono stressato.” Ecco, se questa è l'illuminazione del Quantified Self, io sto al buio.