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Macro

Come cambierà il mondo del lavoro nei prossimi decenni

Per quanto riguarda il lavoro, quella che stiamo vivendo è un'età di mezzo in cui tutto cambia molto velocemente. Tra economia delle piattaforme e megacorporazioni, ecco cosa ci riserva il futuro del mondo del lavoro.

Foto via Flickr/

Shane Adams

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Siamo nel 2015 e stiamo vivendo un'età di mezzo—un periodo storico a metà tra I pronipoti e Gli antenati. Tutto accade molto in fretta, e se solo qualche mese fa ho cercato di analizzare le conseguenze dell'avvento di piattaforme come Uber o JustEat, adesso si è già cominciato a pensare a un mondo interamente regolato da quel tipo di modello economico—un mondo fatto cioè di piattaforme e di lavoratori a chiamata.

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La questione è piuttosto semplice. Anziché fornire direttamente un servizio, si costruiscono piattaforme che mettono in contatto chi ha bisogno di quel servizio e chi quel servizio già lo offre. Si chiama "economia delle piattaforme" e il suo scopo è accorciare il più possibile la distanza tra cliente e fornitore di un servizio, trattenendo una piccola somma per ogni contatto creato. Una volta che si è creata un'infrastruttura, la si è popolata e la si è resa indispensabile per l'adempimento del servizio di cui si occupa, il gioco è fatto. È quello che ha fatto Uber, che proprio grazie all'efficienza della sua piattaforma può continuare a offrire i propri servizi nonostante abbia diversi problemi legali.

Secondo un sondaggio del 2010 realizzato dall'Università di Chicago, il 62 percento del commercio al dettaglio impiega lavoratori part-time, e sempre più spesso i datori di lavoro preferiscono allargare il proprio bacino di impiegati per mantenere una maggiore flessibilità in quanto a orari e disponibilità piuttosto che impiegare per più ore gli stessi lavoratori. E questo non è solo un esempio, ma è anche un sintomo di una tendenza che attraversa sempre più settori e si fa sempre più marcata.

Anche quando non si tratta di vendita al dettaglio, il freelancing è all'ordine del giorno: diventa quindi sempre più necessario un organismo che permetta a questo esercito di micro-lavoratori di coordinare le proprie abilità e la propria disponibilità con le necessità dei datori di lavoro.

In questo senso, sempre più spesso la tecnologia viene sfruttata a vantaggio del datore di lavoro: l'utilizzo di algoritmi che favoriscano i vantaggi di chi impiega a sfavore di chi viene impiegato è sempre più diffuso, e la mancanza di una vera e propria normativa che regoli questi nuovi modelli lavorativi crea una zona grigia in cui l'unica ancora di salvezza è l'autoregolamentazione.

Un esempio è il caso di Starbucks, che fino a poco tempo fa aveva un sistema automatico per cui ai dipendenti a cui veniva richiesto di chiudere il negozio veniva automaticamente richiesto anche di aprirlo il giorno successivo. Per quanto si possa parlare di stacanovismo, è evidente che situazioni del genere sono meri buchi logici in un sistema informatizzato che possono essere risolti solo in due modi: abolendo il sistema informatizzato o obbligandolo a lavorare all'ombra di una normativa ben precisa.

Il problema è proprio questo: le tecnologie di cui oggi disponiamo potrebbero diventare le fondamenta di una nuova cultura del lavoro meno autoritaria e più collaborativa, in cui impiegato e datore di lavoro coordinano i loro sforzi per garantire vantaggi a entrambi. I sistemi informatizzati possono essere in grado di eliminare tutta la burocrazia necessaria a rendere un flusso lavorativo dinamico, riuscendo al tempo stesso a fornire a lavoratori e manager le informazioni necessarie per creare una sorta di "coordinazione armonica" nell'interesse di entrambe le parti. Il lavoro sta diventando sempre più frammentato, e le occupazioni durature e i "tempo indeterminato" sono sempre più distanti dall'infrastruttura del lavoro. Il motivo è ovvio: moltissimi settori si stanno espandendo e stanno acquisendo dinamicità e richiedono la stessa dinamicità ai propri lavoratori. Sono sempre di più le occupazioni che al lavoratore chiedono tutto meno che la classica mentalità da scrivania: si va verso un mondo di lavoratori impiegati in maniera parziale e continua. In un articolo su The WTF Economy, Tim O'Reilly ha descritto così il bivio davanti al quale ci troviamo: "Ci sono due modi per utilizzare la tecnologia per gestire e coordinare la manodopera. Il primo fornisce dati e controllo solamente ai manager, abbassando il controllo che i lavoratori hanno sul loro lavoro e minimizzando i loro costi per migliorare i profitti dell'azienda; il secondo fornisce questi dati sia ai manager che hai lavoratori, generando così una fascia di impiegati liberi di lavorare quanto e quando vogliono." È un modo di intendere il lavoro che negli Stati Uniti viene definito "the 29-hour loophole"—in riferimento al cavillo legale grazie al quale molti datori di lavori sfruttano questa situazione per ottenere una manodopera efficiente ed economica, privandola dei numerosi vantaggi garantitagli dal welfare. Si tratta, insomma, dell'ennesima zona grigia che necessiterebbe di più chiarezza. Ma, in ogni caso, quello delle piattaforme non è l'unico futuro che ci dobbiamo aspettare. Una ricerca di PwC, per esempio, descrive tre possibili scenari, denominati "Orange World," "Blue World" e "Green World". Il primo è quello del modello descritto finora, fatto di micro-lavoratori estremamente flessibili; il secondo pronostica invece una forte autorità corporativa e la creazione di grossi conglomerati aziendali votati solamente alla crescita del brand che rappresentano; l'ultimo parla di una crescita economica sostenibile, con un'inversione di tendenza dettata dalle circostanze e un'umanizzazione generale del concetto di lavoro. "La cultura del lavoro è destinata a cambiare," afferma la ricerca. "Nel "Blue World" sarà il punto cardine di una strategia dettata da statistiche e dalla necessità di aumentare i tassi di efficienza. Nell'"Orange World" invece si tratterà principalmente di delegare compiti, frammentare il lavoro per renderlo efficiente e sostenibile. Mentre nel "Green World" la cultura del lavoro sarà necessaria per garantire che la manodopera non venga oppressa dal lavoro stesso." Benché queste previsioni siano effettivamente credibili, c'è da chiedersi come potrà cambiare il mondo nei prossimi anni. In uno storico articolo del 2001, intitolato The Law of Accelerating Returns, Ray Kurzweil ha scritto che "i prossimi 100 anni di progresso saranno, di fatto, più una compressione di 20mila anni di progresso regolare." Nell'era moderna, infatti, le scoperte e le innovazioni arrivano e colpiscono la società a velocità esponenzialmente maggiore rispetto a prima—tanto che appena dieci anni fa una teorizzazione dell'economia delle piattaforme sarebbe sembrata pura follia. Così, inaspettatamente, potremmo ritrovarci a dover fare i conti con nuovi modi di lavorare. Per esempio, l'avvento delle auto self-drive potrebbe portare alla nascita di una nuova classe di lavoratori specializzati costantemente in movimento e pronti a offrire servizi on-demand a qualsiasi ora del giorno e della notte. Insomma, non resta che stare a guardare e sperare di non rimanere inghiottiti dal volume di novità che ogni giorno inondano il mercato del lavoro. Segui Federico su Twitter