Ho cercato di capire perché i vostri amici sono sempre "pieni di lavoro"

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Ho cercato di capire perché i vostri amici sono sempre "pieni di lavoro"

Questa autoflagellazione costante comincia a diventare pesante—soprattutto per le persone normali.
Paul Douard
Paris, FR

Ne abbiamo già parlato in passato: quante volte capita di mandare un messaggio contenente una richiesta a un amico e di attendere per ore una risposta per poi veder comparire sullo schermo una successione di parole che fa più o meno "Scusami, non avevo visto!"? Ecco, a questa usanza tanto comune quanto deprecabile se ne aggiunge molto spesso un'altra: quella che dà luogo a risposte come "Scusa, sono pieno di roba al lavoro. Non ho tempo per niente…"

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Dirò subito che personalmente sarei volentieri per mandare tutti quelli che rispondono in siffatta maniera su uno degli esopianeti che abbiamo appena scoperto, luoghi indubbiamente accoglienti dove potranno realizzarsi senza problemi e riscaldare le zuppe pronte in tre minuti così da non perdere troppo tempo. Dato che per il momento però l'opzione degli esopianeti non sembra praticabile, ho pensato di approfondire le dinamiche che governano questa categoria di lavoratori che, pur investendo nella loro professione lo stesso vostro tempo, sembrano sempre lavorare molto più e più duramente di voi.

Nella sua Teoria della classe agiata, pubblicata nel 1899, l'economista e sociologo Thorstein Veblen analizza la nuova logica economica della sua epoca concentrandoli su una delle trasformazioni più radicali della concezione del tempo libero del diciannovesimo secolo. L'ammettere apertamente di non lavorare, spiega Veblen, è diventato un simbolo di successo—un'affermazione che, tradotta nel contesto odierno, potrebbe indicare che fregarsene (e farne mostra) sarebbe appannaggio dei ricchi, che non hanno certo bisogno di sgobbare dieci ore al giorno in un ufficio con le plafoniere al neon per potersi permettere un cocktail con buffet. Anche se a una prima impressione tutto ciò potrebbe sembrare perfettamente logico, la situazione sembra essersi ribaltata. Ovviamente supporre che i ricchi lavorino più dei poveri è riduttivo e semplicistico. Ma molte persone benestanti sembrano fare un vanto delle loro abitudini di dormire quattro ore per notte, come a voler giustificare uno stipendio assurdo e come se "essere pieno di lavoro" fosse diventano un simbolo di successo della nostra epoca.

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A provare a spiegare il fenomeno viene in nostro aiuto una ricerca condotta da tre docenti—Silvia Bellezza, Neeru Paharia e Anat Keinan—provenienti da Columbia, Georgetown e Harvard. Nella ricerca, i partecipanti (americani ed europei) sono stati sottoposti a storie che mettevano in contrapposizione individui che passavano intere giornate a lavorare ad altri che disponevano di molto tempo libero. La prima categoria, quella dell'individuo oberato di lavoro, è risultata quella percepita più positivamente. Silvia Bellezza, con la quale ho avuto modo di discutere via mail, mi ha spiegato che "Più riteniamo che il successo sia basato sul lavoro forsennato, più abbiamo la tendenza a pensare che le persone che ignorano gli svaghi e lavorano sempre abbiano uno status sociale elevato."

Illustrazioni di Pierre Thyss.

Se questa distinzione sembra ben presente nella nostra società, in parte è anche per colpa dei lavori che facciamo. Secondo Bellezza c'è stata un'importante transizione: "Se guardiamo all'insieme di professioni che compongono l'economia, noteremo che la maggior parte è fatta di servizi. Queste professioni fanno appello alle facoltà intellettuali, richiedono riflessione, contrariamente all'epoca in cui il mercato del lavoro era dominato dall'agricoltura e l'industria." Oggi, essere impegnatissimi significa magari lavorare in una start up che cambierà il mondo installando Nintendo Switch integrati nei bagni, mentre ai tempi di Thorstein Veblen significava stare coi piedi nello sterco e infilare il braccio dentro una mucca. È quindi normale che i cliché persistano: "Quando pensiamo a una persona molto occupata a livello professionale, l'immagine che ci costruiamo è quella di un uomo bianco e ricco dietro una scrivania. Ma specificando che si tratta di una persona impegnata nel settore primario o terziario, il suo status sociale precipita immediatamente."

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E se "essere pieni di lavoro" diventa un sinonimo di ricchezza e una strategia per affermare la propria superiorità sugli altri, il tempo libero passa automaticamente dalla parte degli sfaticati. Senza fare della sociologia spicciola, converrete con me che non è raro sentirsi giudicati quando si dice di aver passato l'intero fine settimana a non fare assolutamente niente.

Ovviamente ci sono persone oggettivamente piene di lavoro, ma non tutti sentono il bisogno di ricordarlo continuamente al prossimo. E come evidenzia uno studio del 2015 dell'agenzia Havas, inoltre, il 51 percento dei lavoratori intervistati ammette di esagerare quando afferma di essere impegnatissimo. Questo perché "il problema non è tanto il non avere abbastanza tempo, ma il fatto che associamo la quantità di impegni lavorativi a una vita piena e soddisfacente." È ciò che spiega anche Tim Kreider sul New York Times: "L'essere occupati è una rassicurazione esistenziale, una barriera contro la sensazione di vuoto. Perché la tua vita non può essere inutile o banale se sei pieno di cose da fare."

È una situazione particolarmente snervante, anche perché non è raro avvertire un briciolo di invidia di fronte a chi si dichiara "pieno di cose da fare." A volte sono arrivato a sentirmi addirittura in colpa per aver preso delle ferie, come se avessi abbandonato un cane in una piazzola autostradale a ridosso del ponte di Ferragosto. So benissimo che è un ragionamento idiota. Ma potrebbe essere anche una specie di sindrome di Stoccolma sul piano del lavoro, no?

E sapere che probabilmente state leggendo quest'articolo mentre vi date un'aria indaffarata rende il tutto ancora più folle.

L'articolo è stato adattato rispetto all'originale. Segui Paul su Twitter.