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Com'è far nascere tuo figlio in prigione

Nelle prigioni inglesi, le donne incinte continuano a perdere i figli, non avere accesso ai servizi necessari e venire separate dai loro bambini. E la situazione non accenna a cambiare.

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La gravidanza è un'esperienza che spaventa tutte le donne: la paura di perdere il bambino, le malattie congenite, il timore per le complicazioni durante il parto e di non saper gestire la situazione sono naturali. Ma se sei incinta in prigione, queste normali paure possono diventare puro terrore. E se non avrai un'assistenza adeguata? E se non ti lasciano uscire dalla cella quando ti si rompono le acque? E se hai un aborto spontaneo e nessuno sa cosa fare?

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Ma la più angosciante della paure è di non poter tenere il bambino con te. Nonostante nel Regno Unito alle detenute sia concesso dalla legge di rimanere con il bambino per i primi 18 mesi in un'unità speciale, la maggior parte dei neonati viene separata dalle madri. Di conseguenza, molte donne affrontano il parto sapendo che il neonato gli verrà tolto dalle braccia qualche ora dopo, e che torneranno in prigione da sole, gonfie e con il seno dolorante per il latte.

Stando agli ultimi dati, ogni anno nelle prigioni di Galles e Inghilterra nascono circa 100 bambini. Ma le cure prenatali in prigione rimangono irrisorie. Non solo non esistono standard internazionali che determinano ciò che le prigioni devono garantire alle donne incinte, ma non c'è nemmeno nessun obbligo legale di offrire corsi preparto. Anche se porti un figlio in grembo, resti comunque una prigioniera. È provato che le donne in carcere hanno più possibilità di partorire figli con difetti di nascita o nati morti rispetto alle donne libere.

Maddie Logan, 30 anni, di Bristol, ha vissuto in prima persona questa esperienza. Per tutta la durata della gravidanza, le è stato detto che non avrebbe potuto tenere il bambino. "Ho sofferto di depressione per tutti e nove i mesi perché mi dicevano che non mi sarebbe stato permesso di tenere mia figlia con me," mi ha detto.

Il parto, avvenuto due settimane dopo il termine, è un momento che Maddie ricorda con paura. "Quattordici giorni oltre il termine, finalmente mi hanno messo su un furgone e trasportata in ospedale per indurre il parto," ha detto. "Non c'era niente che funzionasse. Prima mi hanno dato delle pillole, che non hanno funzionato. Poi mi hanno fatto rompere le acque, ma neanche quello ha funzionato. Alla fine mi hanno aumentato la dose della flebo."

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Solo quando l'agente penitenziario è entrato a comunicarle che avrebbe potuto tenere la figlia, Ruby è "nata senza problemi." In meno di 30 minuti, è venuta al mondo, in mezzo a due guardie penitenziarie.

"È stato orribile avere due persone che conoscevo a malapena là con me tutto il tempo. Specialmente in una stanza così piccola, in cui c'era spazio solo per un lettino da ospedale e due sedie," ricorda Maddie. "Immagina svegliarti nel pieno della notte al suono del pianto di tua figlia, e vedere due agenti uomini che ti fissano ai piedi del letto. Ci si aspetterebbe che stessero almeno fuori dalla porta. Tanto non sarei mai potuta scappare. Le finestre neanche si aprivano."

Maddie ha passato l'intera gravidanza nell'incertezza. "Pensavo che avrei dovuto lasciare la bambina a un familiare e non vederla per più di due anni e mezzo, fino alla fine della pena," spiega. "Avevo paura anche di un sacco di altre cose. Quando suonavo per chiamare una guardia e nessuno veniva, entravo nel panico che anche al momento del travaglio sarebbe stato lo stesso.

"Avevo anche paura di perdere la bambina o che non avrebbero avvertito la mia famiglia in tempo. Dio," sospira, profondamente. "Tutte queste preoccupazioni mi hanno fatto entrare in depressione. Non è come essere incinta fuori dalla galera. Se hai paura, non puoi semplicemente andare dal dottore, devi aspettare."

Maddie non riesce a mandar giù il fatto di non aver ricevuto un trattamento diverso durante la gravidanza. "Non erano più gentili. In prigione mi hanno fatto tutte le ecografie, ma di certo non erano più attenti a me. Non ho partecipato a nessun corso preparto. Non mi hanno dato un materasso speciale. Se piangevo o mi arrabbiavo, tutto quello che facevano era mandarmi un agente e farlo sedere accanto a me. Non voglio generalizzare, ma alla maggior parte del personale non gliene fregava assolutamente niente. Erano là solo per fare il loro lavoro".

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Maddie è finita in carcere per aver tentato di portare della droga e un cellulare a un'amica in prigione, e in prima battuta le è stata data una pena di cinque anni. Successivamente, quando il giudice ha scoperto che era incinta, la pena è stata ridotta a tre anni e mezzo. "Ero incinta di due settimane quando ho commesso il crimine. Mi hanno beccata subito, mi hanno messa in custodia preventiva e dopo due settimane già avevo la sentenza," spiega. Ex eroinomane, Maddie si era data allo spaccio per pagare dei debiti. "È una storia lunga, ma mi hanno costretta a farlo perché avevo un sacco di debiti."

Mentre scontava la sua pena, Maddie è stata spostata dalla prigione di Holloway, a Londra, a Bronzefield e poi a Eastwood Park, dove si trova l'unità per madri e bambini. "Era decisamente meglio," dice. "Potevo uscire e camminare con la mia bambina. Ovviamente è tutto recintato, ma c'è un grande giardino. Certo, ci sono orari precisi in cui devi essere nella tua stanza, ma ti danno le chiavi. Non è che vieni rinchiuso con tuo figlio."

Maddie dice che senza Ruby non ce l'avrebbe fatta. Avere la bambina con lei le ha dato la forza per andare avanti. "Vorrei solo che non avessero aspettato fino all'ultimo per dirmi che avrei potuto tenerla. Capisco che devono fare tutti i controlli—se fossi già stata in prigione per comportamenti violenti, non avrebbero potuto accettarmi nell'unità—ma non era il mio caso."

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Maddie e Ruby sono state rilasciate dall'unità per mamme e bambini nel 2010, quando la bambina aveva sei mesi e mezzo. "Ruby adesso ha cinque anni e sta benissimo," dice Maddie. "È stupenda. Non si ricorda niente della prigione, ma penso che dovrò dirglielo quando sarà più grande."

Maddie non è l'unica ad aver vissuto questo tipo di esperienza. Gli ultimi dati riportano che ogni settimana nelle carceri inglesi nascono due bambini. Nonostante questo, le necessità fisiche e psicologiche delle donne incinte continuano a essere ignorate. Le prigioni sono istituzioni progettate dagli uomini per gli uomini.

Inoltre, molte donne scoprono di essere incinte solo durante i controlli di salute preliminari. Sono costrette a fare i conti con la notizia dietro le sbarre. Le future madri vengono lasciate in prigioni normali, dormono su materassi di plastica sottili come ostie, con coperte logore. Sono costrette a mangiare qualsiasi cosa gli venga rifilata dalle cucine—nonostante le voglie—e come tutte le altre detenute devono confrontarsi con la routine rigida e punitiva. Se hanno la nausea e saltano la colazione, non potranno certo avere un pacchetto di cracker a metà mattina.

Oltre alla nutrizione inadeguata, i dati mostrano che le cure prenatali e il supporto emotivo sono assolutamente insufficienti. In uno studio recente a cui hanno risposto 1.082 madri detenute nelle prigioni inglesi, quasi due terzi hanno riportato di aver sofferto di depressione.

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Gli aborti spontanei sono un altro grave problema che riceve pochissime attenzioni. Public Health England non ha dati sul numero di aborti nelle prigioni. Comunque si pensa siano molto diffusi, con storie da brividi di donne costrette a ripulire il loro stesso sangue sul pavimento.

Clive Chatterton, 62 anni, con una lunga carriera di direttore di carceri alle spalle, ha assistito in prima persona al fallimento del sistema carcerario. Chatterton ha cominciato a lavorare in carce nella famigerata prigione di Strangeways negli anni Settanta, prima di cambiare 13 prigioni e diventare il direttore di tre di esse. È andato in pensione nel 2012.

Chatterton dice che ciò che più lo ha turbato nei suoi 37 anni di carriera è stato il periodo come direttore di Styal, un carcere femminile. In una sua lettera all'ex segretario di giustizia, Ken Clarke, scrive: " Non ho mai avuto a che fare con una tale concentrazione di individui feriti, fragili e dai bisogni complessi."

"Styal mi ha aperto gli occhi," mi dice. "Avevamo 460 detenute, e alle volte capitava che 40 fossero contemporaneamente incinte. Chiedevano di essere messe nell'unità per madri e bambini, ma se la richiesta veniva rifiutata, i bambini dovevano andare in custodia. Il membri del personale dicevano che assistere a quella separazione era una delle cose più traumatiche della loro vita."

Chatterton mi ha anche detto che molte donne scelgono di non fare domanda per le unità per madri e bambini. Piuttosto, lasciano il figlio con i loro parenti. "La distanza era un'altra ragione per cui le donne esitavano a fare domanda. Se Styal era piena, avrebbero dovuto far domanda per un posto che poteva essere anche a 150 chilometri dalle loro famiglie."

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Forse non a caso, Styal è un vecchio orfanotrofio vittoriano. Al contrario di quanto è successo con altre istituzioni di questo tipo, recenti ispezioni ne hanno dato un resoconto positivo. Nonostante questo, Chatterton insiste sul fatto che la prigione non è l'ambiente giusto per una futura madre. "Diciamoci la verità, la prigione non è un bel posto per nessuno, ed è tremendo per una donna incinta. Specialmente quando ti ricordi che la maggior parte delle donne vengono mandate in prigione per crimini non violenti e di poco conto."

Mentre il numero di detenute continua a crescere— nel Regno Unito è aumentato di oltre un terzo nello scorso decennio—sempre più neonati vengono separati dalle madri. Anche se ci sono otto unità per madri e bambini nel Regno Unito, in grado di ospitare in tutto 73 madri con i loro neonati, le domande non accolte sono moltissime. Nel 2013, in queste strutture si contavano solo 38 madri, ovvero metà della capacità totale.

Oltre ai criteri di sicurezza che fanno sì che le domande siano spesso rifiutate, molte donne scelgono di non fare domanda. Forse perché sanno già da prima che la loro richiesta sarà rifiutata, o forse perché credono che la prigione non sia il luogo giusto per un neonato. O non vogliono allontanarsi dalle loro famiglie e dai loro figli più grandi.

Non ci sono dubbi sul fatto che, quando metti in prigione una donna incinta, stai anche incarcerando suo figlio, completamente innocente. E, dietro le sbarre, a questo bambino viene negato l'ambiente sicuro e stimolante a cui ha diritto. Ovviamente, gli effetti a lungo termine sulla crescita fisica, sociale, ed emotiva di un bambino possono essere significativi. Lo stesso discorso vale per i bambini che vengono lasciati soli mentre la madre è dietro le sbarre, nella grande maggioranza dei casi costretti a lasciare la propria casa. I bambini delle detenute soffrono—e hanno il doppio delle possibilità di sviluppare problemi mentali rispetto al resto della popolazione.

Le donne che infrangono la legge hanno bisogno di aiuto, non di rigidi sistemi punitivi. Non solo metà delle detenute ha subito violenza domestica, ma il 53 percento è stata vittima di abusi da bambina, e un terzo ha subito violenze sessuali nel corso della vita. In più, delle 3.959 detenute attualmente in prigione in Inghilterra, più di otto su dieci sono dentro per crimini non violenti, e non è frequente che siano recidive.

Di conseguenza, Alex Hewson dal Prison Reform Trust sostiene che "le donne incinte non dovrebbero essere mandate in prigione. Non è il giusto ambiente per far crescere un figlio."

Per dirla con le parole di Dostoevskij, "Una società non dovrebbe essere giudicata da come tratta i suoi cittadini migliori, ma da come tratta i suoi criminali."

*Maddie e Ruby sono nomi di fantasia

@MayaOppenheim