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Politică

La storia dell''Air Force Renzi' è una baracconata comunque la si guardi

La vicenda dell'Airbus di Stato preso in leasing è imbarazzante per l'ex governo, ma in parte anche per quello attuale.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
I ministri Danilo Toninelli e Luigi Di Maio a bordo dell'"Air Force Renzi." Foto via Facebook.

In un hangar bollente di Fiumicino, di fronte a giornalisti e smartphone, ieri pomeriggio i ministri Luigi Di Maio e Danilo Toninelli—e Rocco Casalino—hanno allestito uno spettacolo in pompa magna per mostrare all’Italia intero lo scalpo del nemico: il famigerato “Air Force Renzi,” cioè l’Airbus A340-500 di Stato noleggiato dal governo Renzi.

A giudicare dalle cronache e dalle dirette Facebook, il tutto assomigliava un po’ ai tour guidati nel “Palazzo della corruzione” dell’ex presidente ucraino Victor Yanukovych; o direttamente a una scena tagliata di The Dictator.

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"Questo aereo è il simbolo dell’ancien regime, il simbolo di un regime che è caduto,” ha dichiarato Di Maio, mentre Toninelli ha detto di aver dovuto “desecretare i documenti” per arrivare alla verità, e promesso che “faremo risparmiare ai cittadini 108 milioni di euro” attraverso la rescissione del contratto. I due hanno anche parlato di luculliane “camere da letto” e “Jacuzzi” che Renzi in persona voleva costruire a bordo—giusto per alimentare questo immaginario da dittatura di terz’ordine.

L’ex premier, dal canto suo, non l’ha presa proprio bene. In un post su Facebook ha scritto che “l’aereo di Renzi” è “una bufala,” e che se “rilanciano quella bufala lì, significa che stanno messi male, che sono disperati.” Quell’aereo, ha poi spiegato, “non era per me: era l’aereo per le missioni internazionali delle imprese […] mezzo a servizio delle nostre politiche di rilancio dell'export.”

Quello che può sembrare uno scazzo tra avversari politici, o una banale operazione propagandistica, è in realtà una vicenda interessante dal punto di vista comunicativo e terribilmente incasinata sul piano pratico e contrattuale.

L’Airbus in questione ha circa 12 dodici anni di vita: Etihad—la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti—l’ha comprato nel 2006 e usato fino all’ottobre 2015. Alla fine dello stesso anno, l’allora governo ha deciso di prenderlo in leasing per otto anni—con Alitalia a fare da intermediario—al fine “effettuare voli più lunghi senza bisogno di uno scalo tecnico per il rifornimento di carburante” (l’A340-500 ha un’autonomia di oltre 16mila chilometri, mentre quello utilizzato normalmente per i voli del presidente del consiglio arriva a 8.600 chilometri).

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Dal febbraio del 2016, l’aereo si trova in un hangar di Alitalia a Fiumicino (è troppo grosso per stare a Ciampino, dove solitamente si trova la flotta dei voli di Stato). La compagnia italiana, inoltre, si occupa della manutenzione dei veicolo; mentre l’equipaggio è composto da piloti dell’Aeronautica militare.

In questo lasso di tempo, l’Airbus è stato utilizzato solo due volte: una dal presidente del consiglio Paolo Gentiloni (per una missione negli Stati Uniti e in Canada nel 2017) e l’altra dal sottosegretario Ivan Scalfarotto per una missione a Cuba. Quindi, almeno su questo punto, Renzi ha ragione: non l’ha mai usato.

Il capitolo dei costi effettivi è decisamente più spinoso, e non a caso Renzi se ne tiene alla larga preferendo parlare di "bufala." Fin dall’inizio, in assenza di comunicazioni ufficiali, su questo aereo di Stato sono aleggiate incognite e incertezze. Stando alle prime ipotesi, si parlava di cifre che oscillavano tra i 40mila e i 76mila euro al giorno, per una stima di quindici milioni all’anno.

Per cercare di far luce, nell’ottobre del 2016 il Corriere della Sera si era rivolto a due analisti di una società di leasing. I quali non hanno dato un giudizio lusinghiero sull’operazione: “Se davvero al governo italiano fanno pagare 40mila euro al giorno, allora a Roma hanno dei pessimi consulenti per non dire di peggio.” Secondo loro, un aereo del genere “si può comprare con non più di 18 milioni di euro.” A Palazzo Chigi conveniva dunque acquistarlo, e non noleggiarlo.

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Nel luglio di quest’anno, Il Fatto Quotidiano ha reso pubblici tutti i dettagli dell’accordo stipulato da Alitalia e Difesa. Ad oggi, riporta il giornale, sono stati spesi 70 milioni di euro; ma il contratto—che consiste in 96 rate da pagare fino al 2024—è anche più oneroso. Prevede infatti un esborso di oltre 144 milioni di euro suddivisi in cinque lotti: leasing, manutenzione, supporto, addestramento e “riconfigurazione vip del jet” per allestire “sala riunioni, cabina doccia, camere” (niente Jacuzzi, però).

Diciamolo chiaramente: considerato che l’aereo è fuori produzione dal 2011, sono cifre davvero poco comprensibili; così come è poco comprensibile il senso dell’operazione originaria.

Torniamo a quanto sostengono gli esponenti del M5S. Secondo Toninelli sbarazzarsi di questo leasing sarà un gioco da ragazzi e frutterà—appunto—un risparmio di circa 100 milioni di euro, senza dover pagare penali di sorta. Tuttavia, puntualizza sempre Il Fatto Quotidiano, potrebbe non essere così semplice. Stando al contratto “il governo deve comunque dare un preavviso di dodici mesi,” e in tal caso “sarà riconosciuto alla Società il pagamento del Lotto 1 [cioè il leasing] e delle prestazioni effettivamente eseguite.” In altre parole: il risparmio reale si aggirerà sui 67 milioni di euro.

Ma è soprattutto a livello simbolico che i Cinque Stelle puntano a incassare il massimo risultato possibile con il minimo sforzo. Come ha scritto Pietro Salvatori sull’ Huffington Post, la campagna sull’“Air Force Renzi” racchiude “un messaggio facilmente veicolabile, perché colpisce uno degli aspetti percettivamente più tracotanti di un'epoca, quella renziana, da una buona fetta della società ritenuta di per sé tale.”

In secondo luogo, è l’occasione perfetta per distogliere l’attenzione dai problemi—il decreto dignità, le nomine Rai e Fs, e altre magagne emerse in questi primi due mesi—e al tempo stesso rinforzare quel sentimento anti-casta che da sempre mobilita eletti ed elettori del M5S e costituisce l’orizzonte “ideologico” di riferimento.

Certo, sappiamo tutti che non si tratta di chissà quale montagna di soldi risparmiati—un po’ com’era successo con il ricalcolo retroattivo dei vitalizi; e sappiamo pure che, oggettivamente, ieri è andata in scena una vera e propria baracconata. Però, però: se magari non si servono facili assist su un piatto d’argento, forse non li si fa nemmeno prosperare in questa maniera.

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