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Stefano Mele: Privacy e sicurezza a mio avviso sono assolutamente compatibili, se si vuole renderle compatibili. È comprensibile che un governo, soprattutto in situazioni di emergenza come questa, possa trovare una comoda soluzione nell'inasprire determinati controlli anche rendendoli in alcuni casi totalmente preventivi rispetto alla commissione del fatto e senza alcun indizio su un soggetto. È un grande classico. In parte è già successo, ad esempio, dopo l'11 settembre con il decreto Pisanu. Ma non bisogna approfittarsi di una situazione come quella di oggi per inserire delle norme così fortemente limitative delle libertà dei cittadini.
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Assolutamente no, si può anche agire in modo diverso. Se lei, ad esempio, è una persona che architetta un attentato, i suoi comportamenti balzano agli occhi delle specifiche unità di intelligence e di polizia anche al di là di una sorveglianza di massa.
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Il decreto antiterrorismo successivo ai fatti di Charlie Hedbo ha introdotto una serie di misure ulteriori rispetto a quelle che erano già in vigore. In particolare, per quanto riguarda la parte web, ha previsto la possibilità di chiudere quei siti che svolgono attività di propaganda o di far cancellare eventuali specifici contenuti generati dagli utenti, segnalandoli agli Internet Server Provider che hanno il dovere di chiuderli entro 48 ore. In merito alla reale efficacia di quelle misure non ho informazioni che mi consentano di esprimermi, anche se in linea teorica sono sempre stato abbastanza tiepido sulla loro efficacia. Infatti, dal momento in cui si decide di "giocare a carte scoperte" e si fa sapere al proprietario di un sito che fa proselitismo online per finalità di terrorismo che le forze dell'ordine italiane sono sulle sue tracce, chiudendo quel sito, il soggetto saprà con certezza di essere sotto controllo e agirà di conseguenza. Tra l'altro, non penso si riesca nemmeno a raggiungere lo scopo di interrompere il flusso di informazioni per scopi di proselitismo, in quanto il soggetto, sapendo di essere attenzionato, duplicherà su Internet lo stesso sito ponendolo in zone del mondo non collaborative, maschererà ancora meglio la sua identità, utilizzerà metodi di crittografia più efficaci.
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La principale criticità dal punto di vista della privacy del cosiddetto Decreto antiterrorismo è quella relativa al diritto all'oblio dei dati delle comunicazioni informatiche e telefoniche. Su questo tema si può evidenziare un leggero sbilanciamento verso un ampliamento dei poteri delle forze di polizia dovuto alla necessità di acquisire rapidamente i dati di interesse non solo investigativo, ma anche preventivo (il c.d. monitoraggio di soggetti sospettati), senza correre il rischio che gli stessi siano cancellati. Anche a costo di sembrare un po' controcorrente, devo dire che queste misure mi appaiono coerenti con il tenore emergenziale del decreto legge e la compressione del diritto all'oblio dei dati pare ben bilanciata, anche attraverso una finestra temporale di vigenza ben precisa, ossia il 31 dicembre 2016.
La mia lettura del discorso di Renzi è che ha cercato di semplificare concetti e dinamiche molto complesse. Solo così si può provare a spiegare l'uso di termini poco tecnici, ma facilmente comprensibili al pubblico, come la frase 'taggare i terroristi', che ha fatto ovviamente molto scalpore tra gli esperti. Provando ad interpretare, si può pensare che l'obiettivo reale sia quello di utilizzare tecniche biometriche di riconoscimento facciale anche nelle strade, attraverso i sistemi di videosorveglianza. Se questo "sospetto" fosse vero, la situazione che si verrebbe a creare sarebbe molto preoccupante sotto il punto di vista della privacy e protezione dei dati personali dei cittadini.
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Noi abbiamo in piedi moltissime banche dati, soprattutto all'interno della pubblica amministrazione. Se ci sono i presupposti, ognuna di esse è a disposizione di forze dell'ordine e del comparto di intelligence. Questi numerosi database—che, lo si deve ricordare, contengono informazioni e quindi dati personali e a volte anche sensibili di specifici soggetti—in alcuni casi sono già interconnessi tra loro e, come si è detto, sono accessibili a richiesta da parte dei soggetti autorizzati. Tutto questo già si fa. Lo step successivo potrebbe essere forse quello di unirle ancora, di interconnetterle ulteriormente ad altri database già esistenti.
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La crittografia è uno strumento utilissimo che, se da una parte nelle mani sbagliate permette di svolgere con maggiore libertà anche attività criminali, dall'altra rappresenta un elemento fondamentale per la sicurezza di tutto il nostro business.I dati in nostro possesso in materia di cyber-crime, infatti, sono quantomai allarmanti e parlano di un fenomeno che moltiplica le sue percentuali di crescita di parecchie decine di unità ogni anno. Appare chiaro che qualcosa non va. Proprio la crittografia è un elemento fondamentale per cercare di arginare questa problematica e quindi non possiamo assolutamente minare il suo utilizzo e la sua efficacia. Ciò, infatti, significherebbe rendere ancora più debole la rete Internet, già vulnerabile di per sé all'origine, il nostro modo di utilizzare questo strumento e la nostra capacità di sfruttarne a pieno le sue potenzialità.
La sorveglianza di massa è sicuramente un tema che spaventa tutti e moltissimo. In pratica, significa che tutti noi diveniamo controllabili nelle nostre attività quotidiane tramite intercettazioni, sistemi di videosorveglianza, geolocalizzazione, profilazione, eccetera. In linea teorica, questo genere di sorveglianza di massa è tecnicamente possibile, anche se per periodi di tempo limitati. In tal senso, basti pensare che tutta la attuale potenza di calcolo e di conservazione dei dati della NSA riuscirebbe ad intercettare costantemente tutte le comunicazioni e le informazioni generate da un'intera nazione di medie dimensioni (come l'Italia) per circa sei mesi complessivi.
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Io non credo che si arrivi a leggi speciali simili a quelle degli anni di piombo, siamo in un periodo storico completamente differente e ci troviamo di fronte a situazioni e comportamenti che poco hanno a che vedere con quella parte di storia del nostro Paese.Restando sul tema anni di piombo, abbiamo imparato qualcosa da quel periodo?
Assolutamente sì. Gli anni di piombo hanno fatto sì che si sia creata nelle nostre forze dell'ordine una capacità unica nel gestire le attività sul territorio dei guerriglieri. Non ci dobbiamo dimenticare, infatti, che lo Stato Islamico non può essere considerato come un gruppo terroristico, ma come un gruppo di guerriglieri che usano strumenti terroristici. Gli anni di piombo e le vicende legate alle Brigate Rosse, quindi, hanno certamente dato la possibilità di creare una vera e propria expertise sulla gestione di questo genere di minacce.In conclusione, secondo lei esiste un reale rischio di star progressivamente rinunciando alle nostre libertà?
Quello che temo, sinceramente, non è una sorveglianza di massa calata dall'alto che ci faccia perdere le nostre libertà. Magari proveranno a stringere le maglie, ma starà a noi tenerci strette le nostre libertà. Quello che sempre più mi preoccupa, invece, è l'evoluzione che la tecnologia ha e a maggior ragione avrà in futuro nella vita di tutti i giorni dei cittadini.Sono i cittadini stessi a comprimere volontariamente e sempre di più il loro diritto alla privacy e alla protezione dei dati personali. Non c'è bisogno di alcun governo che lo faccia al posto loro. Lo fanno volontariamente e spesso consapevolmente i cittadini, pur di avere l'ultimo "giochino" tecnologico o di essere su tutti i social network. Il vero attentatore alla privacy è quindi l'utente stesso.Credo, quindi, che prima di parlare di una privazione della privacy imposta da qualche governo, dovremmo riflettere seriamente e preoccuparci di come ce ne priviamo prima di tutto noi stessi.Segui Flavia su Twitter