Com'è fare un film sulla persona che ha fatto tutti i tuoi film preferiti

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Com'è fare un film sulla persona che ha fatto tutti i tuoi film preferiti

David Lynch: The Art Life ti fa capire come David Lynch sia diventato David Lynch. Ne abbiamo parlato col regista, Jon Nguyen.

In questo momento sto fumando una sigaretta e bevendo un caffè e sono convinto che David Lynch stia facendo lo stesso. Molto probabilmente, a differenza mia che sto scrivendo, sta dipingendo nel suo studio mentre la figlia più piccola gli gira intorno con qualche giocattolo. Lo posso affermare perché guardando il documentario David Lynch: The Art Life ho scoperto che è questo che fa Lynch tutto il giorno. Il documentario, che uscirà il 20 febbraio nelle sale italiane, parte dalla vita quotidiana del regista e ripercorre alcuni momenti chiave del suo passato per far capire come Lynch sia diventato Lynch, attraverso una lunga sessione di interviste che vanno dall'infanzia e il periodo scolastico ai fallimenti artistici, fino ad arrivare al momento in cui Lynch si trasferisce a Los Angeles per lavorare a Eraserhead. Il lavoro di Jon Nguyen, il regista del documentario, che già si era avvicinato al tema con Lynch 2007—un film sul processo creativo di Inland Empire—è il frutto di anni di fatiche, dedicati prima alla ricerca del "sì" da parte del protagonista e poi a interi pomeriggi passati a casa sua a tentare di strappargli un po' di ricordi, anche solo per 20 minuti. L'ho contattato per parlare di come è nata l'idea e di com'è stato essere il regista di un documentario su David Lynch.

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VICE: Quando avete iniziato a lavorare sul documentario? Ci è voluto moltissimo tempo per convincere Lynch…
Jon Nguyen: Circa quattro anni fa abbiamo iniziato a lavorare concretamente al progetto, e tutto quello che si vede è frutto di due anni e mezzo di riprese che hanno dato vita a 25 ore di materiale. Dire però che il lavoro è stato "solo" quello delle riprese e del montaggio è riduttivo, dal momento che appunto gli stiamo dietro da 12 anni. La prima volta che gli abbiamo chiesto di collaborare non ci ha praticamente presi in considerazione. In quei 12 anni abbiamo continuato a provare a entrare in contatto con lui finché non ci ha fatto entrare nel suo mondo. E perché proprio Lynch?
Fondamentalmente perché è stato una fonte d'ispirazione e mi ha sempre affascinato il mistero che gli gira intorno. A proposito di mistero: dai film di Lynch potrebbe emergere il quadro di una persona che ha avuto una vita dannatamente difficile. Quello che invece viene fuori è che la sua è stata una vita piuttosto regolare. Hai avuto la stessa impressione?
Non so, penso che la drammaticità della vita delle persone non abbia necessariamente a che fare con ciò che hanno intorno. Un esempio, riportato anche nel documentario, è il passaggio in cui Lynch va per la prima volta lontano da casa, a Boston [per iniziare a studiare presso la School of the Museum of Fine Arts]. Suo padre lo accompagna e fanno la spesa per almeno due settimane, ma rimasto solo Lynch non riesce a uscire e passa ogni singolo giorno, fino all'inizio delle lezioni, in casa con una radiolina. Più in generale, gran parte della sua gioventù ruota intorno al voler essere un artista e a scontrarsi con le difficoltà che ne conseguono. David ha dovuto lottare per ottenere ognuno dei suoi riconoscimenti, e forse è questo l'aspetto che più mi ha incuriosito di lui—ha lavorato duramente per arrivare dov'è adesso, ha avuto dei dubbi. La storia di suo padre che gli dice di smettere di fare Eraserhead dovrebbe motivare chiunque la guardi.

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È per questo che avete scelto di raccontare il personaggio tramite la sua storia giovanile, ampliandone singoli aneddoti e fermandovi proprio a Eraserhead?
Portare Lynch a parlare dei suoi film è molto difficile e noi lo sapevamo, così abbiamo deciso di concentrarci sul suo passato e su tutto quello che ha portato alla creazione dei film che tutti conosciamo. E soprattutto abbiamo pensato che solo tracciando piccoli, ma importanti, frammenti di vita avremmo avuto modo di comprendere alcune chiavi di lettura dei suoi film. Volevamo focalizzarci su tutto ciò che precede la sua figura pubblica, quando era ancora un artista con le pezze al culo. Volevamo mostrare quanto davvero sia difficile diventare un artista. Come dicevo, penso che per chiunque possa essere d'ispirazione vedere come Lynch sia diventato Lynch.

Lynch è sempre stato un personaggio famoso per essere riservato; pensi si sia esposto del tutto nel corso del documentario?
Credo di sì, si è certamente aperto. Ci eravamo praticamente accampati accanto casa sua e ogni minuto che aveva libero lo sfruttavamo per lavorare al film, anche se erano solo 20 minuti al giorno. Ha parlato più di quanto avesse fatto in altre occasioni, ha raccontato storie che fino a quel momento non aveva mai raccontato e ha condiviso con me pensieri e ricordi che mi hanno fatto sentire un privilegiato. Penso che Lynch aiuti le persone a trovare quelle chiavi utili a conoscere meglio se stessi.

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Lynch mentre dipinge con la figlia.

Cosa altro hai capito vivendo così a stretto contatto con lui? Io sono rimasto impressionato da quanto dipinga.
Sì, da quando si sveglia fino a quando va a letto sta nel suo studio, dove dipinge. Tutti pensano a Lynch come un regista, ma la verità è che è molto più un artista che un regista e ha passato praticamente tutta la sua vita a fare quello. Non è conosciuto per questo, ma è ciò che fa. E quanto pensi che questa passione per la pittura e l'arte abbia influenzato i suoi film?
Penso che l'arte sia una sola e che a essere molteplici siano i mezzi di espressione. L'arrivare a fare film è stata una conseguenza di tutto il suo percorso e ciò, una volta che si conosce questo suo lato, è percettibile. Parlando invece di un aspetto un po' più tecnico, perché in tutto il documentario avete scelto di inquadrare Lynch mentre parla solo due volte?
È stata una delle prime cose che abbiamo deciso di fare. Non volevamo fare un documentario che avesse tante parti chiacchierate. Avevamo sentito anche un sacco di altre persone che ruotano—o hanno ruotato—intorno a Lynch, ma alla fine abbiamo deciso di non inserirle e rendere il documentario il più "puro" possibile. Volevamo che lui si ritrovasse a parlare davanti a un microfono [nel documentario Lynch viene ripreso mentre è in una stanza davanti a un microfono] e non una telecamera. Penso che buttargli davanti una telecamera avrebbe potuto cambiare le cose, dal modo in cui si sarebbe espresso al modo in cui si è aperto, e abbiamo pensato che fosse più a suo agio così.

Un dipinto di Lynch.

Perché pensi abbia affidato un lavoro sulla sua vita come questo a te?
È una persona molto privata. Penso che ci abbia dato fiducia soltanto per la perseveranza che abbiamo mostrato nei suoi confronti. Solo un'ultima cosa. Dal documentario sembra anche che Lynch non faccia altro che fumare: fuma davvero tutte quelle sigarette?
[Ride] Sì, fuma un sacco. Ama bere caffè, fumare e dipingere. Ed è davvero tutto quello che fa ogni singolo giorno. David Lynch: The Art Life uscirà nelle sale italiane il 20 febbraio, distribuito da WANTED. Per avere maggiori informazioni sulle proiezioni, clicca qui.

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