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Com'è andare a ballare quando hai la sindrome di Asperger

La sindrome di Asperger rende la vita sociale una questione molto complessa: anche una cosa banale come uscire la sera per andare a ballare diventa un'impresa. Una ragazza che ne è affetta ci ha raccontato la sua esperienza.

Nessuna delle persone ritratte ha l'Asperger. Foto di Jake Lewis. Questo articolo è tratto da Broadly.

Adoro le abitudini. Una mia abitudine è andare nei ristoranti buoni. Perciò il mercoledì sera mi fermo sempre a mangiare qualcosa fuori. Ordino sempre la stessa cosa, e la mangio guardando nel vuoto davanti a me. So che non sembro particolarmente entusiasta. Ma lo sono. È tutto il giorno che aspetto questo momento.

Questo posto in particolare sta aperto tutta la notte ed è vicino ad alcune discoteche in . Ho pensato di andare a ballare, dopo, ma al momento non sono vestita né truccata nel modo giusto. Sto seduta a un bancone tutta scarmigliata, con il cibo che fa quasi da barriera tra me e gli altri.

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Il ragazzo dall'altra parte del bancone è figo. Lo scruto di nascosto (almeno, spero che non se ne sia accorto. Quando ero al primo anno di università qualcuno mi ha scritto con un pennarello indelebile sull'armadietto, Smettila di fissarmi.)

La ragazza accanto a me—mai vista—mi bisbiglia, "Ti piace?"

Annuisco.

"Perché non ci parli?"

"Sono fidanzata," le dico. Perciò inizia a parlarci lei. A volte mi lanciano un'occhiata, come a far capire che anche io sono inclusa nella conversazione. Sento un nodo stringersi nello stomaco.

Ecco il problema della mia vita sociale: mi succede anche se non voglio. Da sempre. Quando ero adolescente mi hanno diagnosticato l'Asperger, una sindrome dello spettro autistico. Chi ha l'Asperger fa fatica a cogliere gli input della socializzazione e a relazionarsi alle proprie emozioni; razionalizziamo le informazioni piuttosto che averci un rapporto intuitivo. Mi sento molto più lenta degli altri in tutto, sono arrivata dopo su un sacco di cose; in particolare, su quello che riguarda la sfera della "vita sociale."

Felicity, la ragazza, sta andando in discoteca. Ci va sempre. Sembra giovane, ma dal collo e dalle mani capisco che ha la mia età—siamo entrambe agli sgoccioli degli anni del divertimento. Lei non vuole smettere perché lo fa da troppo tempo, io non voglio smettere perché non l'ho fatto abbastanza.

La prima volta che sono andata "a ballare" è stato in un pub della città dove andavo al college. Era l'unico. Sono andata con un mio amico autistico. Durante un corso estivo a New York sono uscita spesso, ma non sapevo ancora che i club più alla moda non facevano per me. Quando sono tornata a casa ho trovato un postaccio hippy, e lì stavo benissimo. Piacevo a tutti, lì. Non si lasciavano intimorire dal fatto che avessi bisogno di uno spazio di sicurezza dalle altre persone o che dovessi prendermi delle "pause" in bagno perché in mezzo alla gente andavo in sbattimento—troppi stimoli. Mi sono fatta un sacco di amici. Ma non sono mai stata pienamente "connessa" con loro. Ogni tanto qualcuno vuole essere mio amico perché pensano che sia onesta, divertente, stramba o anche solo anomala—e per questo affascinante. Quando esco con loro mi sento in qualche modo "più in alto". Le persone non autistiche ("neurotipiche") mi sembrano tutte condividere una coscienza collettiva che io e i miei amici—che sono per la maggior parte come me—non riusciamo a comprendere.

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Felicity dice che conosce i proprietari, ma sembra non crederci nemmeno lei; sorrido e annuisco mentre penso che non credo a niente di quanto ha detto finora. È una cosa positiva per me—cinque anni fa non ero in grado di capire se una persona mentiva o meno. O almeno, non razionalmente. Sento le "vibrazioni" delle persone, ma di solito non capisco cosa significano.

Il ragazzo mi si avvicina e mi mette il telefono davanti alla faccia. C'è scritto, "tutto quello che ha detto questa mi sa di cazzata."

Non so perché sia così arrabbiato. È il problema numero uno dei neurotipici: sono molto orgogliosi. Dato che per loro le relazioni sociali sono facili, non capiscono i difetti.

"Mi piace il tuo vestito."

Io ho un fidanzato. Viene al mio gruppo di sostegno.

Digito il mio numero sul telefono del ragazzo.

Felicity continua a parlarmi. Sono sicura che pensa che sono un'ingenua. Forse le piace stare accanto a un'ingenua—per sentirsi importante. E questo è il mio ruolo.

"Vuoi venire con me?" mi chiede.

Andata.

"Sei sicura che ci fanno entrare?" chiedo.

"Stai benissimo," mi assicura mentre si accende una sigaretta. Ho addosso una specie di copricostume colorato e delle scarpe da ginnastica.

"E le scarpe?" chiedo.

"Cos'hanno che non va?"

"Sono a fiori."

Felicity mi guarda. Sì, dice, devo fare qualcosa per le scarpe. (Però mi tengo il contapassi. So che può sembrare una pessima idea, ma come molte donne dello spettro ho problemi con il mio peso.) Tolgo le calze e le metto nello zaino. Lego i lacci delle scarpe sotto la suola.

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"Vedi," dice, "tu sì che sei figa!" e mi dice che ormai lo stile vintage è ovunque.

Mi piace. Il ragazzo a cui piace il mio vestito è ancora al bar, sembra infastidito. Non lo guardo in faccia quando gli dico che non esco spesso. (Sono la regina dei segnali contrastanti.) Più tardi quella sera ricevo un suo messaggio: "Pensavo fossi una ok. Ma forse no."

Altro errore classico dei neurotipici. Pensano che se sei "strano" sei una brava persona. Cioè, un po' come se non avessimo l'astuzia che serve per essere cattivi. Questo mi offende. Non sono d'accordo con la storia della persona disabile che è vittima.

Sono nervosa per i buttafuori. Di solito la gente non si accorge del mio linguaggio corporeo strano, ma qui lo noteranno tutti. Ma Felicity li conosce, perciò mi perquisiscono sommariamente e mi fanno entrare. Lei mi prende sottobraccio come un gentiluomo.

Per prima cosa prendo un drink—vuole pagare lei. Poi iniziamo a ballare. Io ballo in modo sfrenato, e nemmeno sempre a ritmo. Nei club gay pensano sia figo; ho fatto amicizia con un sacco di gay perché mi ritengono "pazza". Ai tempi veramente non mi rendevo conto che andare a scuola con una gonna attillata di pelle verde fluorescente fosse inappropriato per la campagna della Pennsylvania, ma loro mi adoravano per questo.

Ma qui non è così. Un tipo con la camicia button-down di rigore arriva e comincia a ballarmi appiccicato al sedere. Mi ci struscio per un minuto, ma poi mi rendo conto che mi sta prendendo in giro per come ballo.

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Sconfitta, torno al nostro tavolo.

"La gente non balla," dico a Felicity.

"Mi piaci un sacco," dice. "Tu sei così e non te ne frega niente."

Questa cosa me la dicono di continuo. Probabilmente lei pensa che io sia un'infermiera veterinaria o simili. Parliamo per un po', poi mi offre della coca. Non l'ho mai presa. E se muoio? Immagino già i titoli:

Autistica di 28 anni muore per overdose.

Gesù.

Felicity mi porta a un tavolo con qualche uomo semi-importante. Seguo la conversazione, intervenendo quando necessario ("Davvero? Cos'è successo poi?"), ma sono sempre distaccata. Lei mette la mano sul bicipite di un ragazzo mentre io scolo un bicchiere di champagne dopo l'altro.

Sono una a cui la sbronza sale emotiva. Inizio a romanzare su quando sono stata in un club vicino anni fa. Io e la mia amica siamo state chiamate mentre eravamo in coda, ci hanno messo nella lista VIP e siamo state nel privée, circondate da trentenni che dicevano che ci avrebbero comprato tutto quello che volevamo.

Una volta avevo avuto una storia di una settimana con un avvocato; immagino fosse la mia preda più grossa. (Anche se avrei dovuto perseverare e arrivare a un banchiere.) "Ti faccio vedere casa mia," mi aveva detto, e mi ha portato sul suo terrazzo e poi in camera sua, dove mi ha in qualche modo fatto capire che stavo opponendo troppa poca resistenza. Poi mi ha detto che non avevo abbastanza autostima.

Sono due anni che vivo a New York. A volte mi sembra che non ce la sto mettendo tutta per aprirmi la strada nei giri che contano. Sono venuta qui per la scuola di moda. Sembra che avere un giro che conta sia necessario, ma non voglio passare per la scalatrice sociale fallita.

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"Sono contenta che tu sia venuta con me," mi dice Felicity. Ed è vero, ne sono certa. Mi ha presentato tutti quelli che conosceva. Non molti lo farebbero.

"Anche se non ci tornerai più," dice come se mi stesse leggendo nel pensiero, "voglio solo che tu sappia che sei bellissima e che questa è la tua serata." Ci scambiamo i numeri e se ne va. Io resto per ballare ancora un po'. Mi presenta i buttafuori e mi dice di dirlo a loro, se ho bisogno qualcosa.

Nel momento in cui se ne va, mi si avvicina un tipo goffo. Ci sono abituata e me la so gestire. Nei club ci sono sempre persone che sembrano fuori luogo. Ma dopo un po' ho capito che esistono due tipi di "ragazzi strani": quelli ostili e quelli carini. Quelli ostili vanno matti per me. Alcuni hanno un modo di fare troppo diretto, che forse farebbe ridere una donna esperta; quelli davvero cattivi li vedo da lontano un miglio.

Questo ragazzo è carino, però. È tranquillo: se ne sta in parte a meno che i suoi amici vogliano presentargli qualcuno. Non ha lo sguardo di uno in cerca di donne. Dice che fa l'accademia militare. Sono sicura che non mente. Se l'avessi portato a casa mia, sarebbe successa una di queste due cose:

  • Si sarebbe rivelato meno strano di quanto pensavo. Il sesso sarebbe stato un quattro, massimo un sette su dieci. Saremmo andati d'accordo finché uno dei due, probabilmente lui, avrebbe smesso di rispondere al telefono.
  • Si sarebbe confermato strano. In questo caso mi si sarebbe affezionato. Se fosse stato uno di quegli strani irosi, il sesso sarebbe stato bellissimo. Se fosse stato uno strano depresso, no.

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Mi riempie di chiacchiere, cerca di essere carino e lo è davvero, ma me ne vado da sola. Quando arrivo a casa mi accascio sul letto, guardo il telefono e penso che ho ottenuto quello che volevo: Felicity mi ha scritto. Vuole sapere se sono arrivata a casa sana e salva e io sorrido tra me e me.

"Sto benone!" rispondo. "È stata una bellissima serata."

Anche se per "sto benone" intendo "mi sento accettata", per me è come aver superato una barriera. Non è sempre divertente. Divertente è giocare a Super Mario con il mio amico del gruppo di sostegno che sa tutto degli intrighi sessuali di Star Wars.

Voglio rivedere Felicity. Ma poi mi immagino tutte le cose assurde che ho detto in vita mia e mi immagino che mi venga da vomitargliele in faccia. Alla fine scoprirà che sono una pazza, e non vorrà avere a che fare con me. Lo so che non ho ragione di essere paranoica. Sono molto paziente con gli altri, e un sacco di persone mi vogliono bene per questo motivo. Ma non riesco ancora a capire perché voglia stare con me.

Voglio scriverle di nuovo. Perciò vado verso un bar. Mi siedo e ordino. Ma non le scrivo, gioco un po' con le varie app prima di ritrovarmi con il suo numero sullo schermo. Ma non so cosa dirle.

È così, mi dico tra me, che posso imparare a essere una normale persona giovane: uscendo e finendo nei guai con persone che possono insegnarmi come gira il mondo. Leggo sui social cosa stanno facendo altre persone della mia età. Ma non mi ci ritrovo.

Vorrei solo sapere cosa mi sono persa finora.

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