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Batman v Superman è tutto ciò che c'è di sbagliato nei cinecomics oggi

Dopo tutto l'hype, Batman v Superman è uscito. Ma, come in parte molto minore succede per Daredevil, evidenzia tutti i problemi tipici dei cinecomics dei nostri giorni.

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Con Cristopher Nolan—non più tardi di otto anni fa, e dopo un passato fatto di Freccia Verde e brutture simili tratte dai fumetti DC—abbiamo imparato che i film con gli uomini in calzamaglia (o in costosissime e bellissime armature) possono raggiungere vette quasi autoriali, essere introspettivi, quasi noir.

Dall'altra sponda del fiume, la Marvel, sotto l'influenza di Topolino e della grande madre Disney, ci ha spiegato che spesso tra un asilo e una sala cinematografica può non esserci molta differenza, senza che questo fosse sempre e necessariamente un male. Poi, delicatamente, ci ha preso per mano e ci ha dimostrato che se vuole, le robe cazzute (o noir, come sopra) le sa fare anche lei. Così ci ha regalato Daredevil e Jessica Jones.

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(In mezzo ci sarebbe la Fox, che ci ha spiegato come non fare un film sui supereroi più e più volte, ma questa è un'altra storia).

Bene, visto che le etichette sono quanto di più ignobile possibile, ora sia DC che Marvel hanno deciso di tornare sul mercato, mischiare le carte e non farci capire un cazzo.

Ieri per esempio è uscito in Italia Batman v Superman: dawn of justice, il sequel di quel flop che è stato Man of Steel. La storia, come da titolo, si concentra tutta sullo scontro tra Bruce Wayne e Clark Kent—un fatto sul quale era difficile creare hype, perché storicamente la verve di Superman al cinema è pari a un numero più infimo dello zero.

Così, per settimane, tutto l'hype si è concentrato piuttosto sulla curiosità di vedere in azione Ben Affleck con un costume gigante che ricordava tanto Frank Miller e che quindi non poteva non piacere e far piangere. Hanno puntato così tanto sul singolo elemento che hanno addirittura deciso di prendere il film e spoilerarlo praticamente per intero nel trailer (una tendenza peraltro apparentemente abbastanza diffusa oggi).

Dal 18 marzo, invece, su Netflix è disponibile la seconda stagione di Daredevil, attorno alla quale l'hype era certamente più giustificato e generale. Questo, se non altro, per la prima grande stagione e la prima stagione della sopracitata Jessica Jones, con quel "Jessicah" di David Tennant che ancora risuonava nelle orecchie (e ricorda l'altro "Millah", di Broadchurch).

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Ecco, nonostante le premesse, in questi due casi Marvel e DC si sono impegnate rifilandoci un sacco di idee piuttosto confuse. Ciò che da sempre apprezzo dei cinecomics, da medio lettore di fumetti, è la loro linearità: il segreto è quello di avere una trama banale, che fa sì che tutto il peso della storia gravi sulle spalle di un villain carismatico. Sostanzialmente la forza di tutti i prodotti apprezzati è quella di puntare sul binomio che fa girare il mondo dalla notte dei tempi: buono vs cattivo.

Gli esempi possono essere infiniti: i due film davvero degni di nota su Batman, per esempio, sono tali in quanto arricchiti da due grandi Joker. Quello del 1989 ha Jack Nicholson, che porta in scena un Joker classico ma potentissimo, mentre Il Cavaliere Oscuro ci presenta quello che poi diverrà il cliché cinematografico, il Sacro Graal di tutti gli scrittori di film del genere: il cattivo psicopatico. O ancora, basti pensare a Vincent D'Onofrio, che smette i panni del detective di CSI, perde i capelli, prende non so quanti chili e mette in scena un Wilson Fisk che da solo regge l'intera prima stagione di Daredevil. Oppure, esempio italiano e recente, lo Zingaro di Luca Marinelli, il personaggio più memorabile e glorificato di Lo Chiamavano Jeeg Robot. Tutti i film riusciti che si discostano da questo binomio sono talmente particolari da essere a stento ascrivibili alla categorie di cinecomics: I Guardiani della Galassia è il capolavoro del genere, seguito a ruota da Deadpool.

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Per quanto mi riguarda, trovo Batman v Superman un film profondamente sbagliato proprio per questo motivo: Zack Snyder (e chi con lui ha scritto il tutto) cade nell'errore principe dei film di genere: si mette al servizio dei fan, inserendo infinite citazioni e riferimenti a cicli di fumetti, rinunciando così alla comprensione del pubblico pop, ma soprattutto alla trama. Ciò che manca nel film è una controparte avversaria che abbia un ruolo determinante nella trama. Nonostante l'insopportabilità del suo viso e soprattutto del suo mento, Ben Affleck è l'unico personaggio che ne esce davvero bene, risultando probabilmente il miglior Batman cinematografico (ma non il miglior Bruce Wayne, anzi), grazie soprattutto alla mano invisibile di Frank Miller.

Il resto è bene o male un'accozzaglia di elementi con i soliti cliché, come quello già citato del cattivo psicopatico che viene salvato da una grande interpretazione di Jesse Eisenberg—al quale viene affidato un personaggio meno carismatico di Taboo dei Black Eyed Peas.

Un inutile Superman che va fiero della sua inutilità (Foto via

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In Batman v Superman, Superman come al solito potrebbe non esistere, e un tema potenzialmente interessante come quello della paura del diverso viene mischiato a un altro tema macroscopico come quello del rapporto tra Uomo e Dio, religione e legge: entrambi vengono affrontati discretamente nella fase iniziale per poi evaporare velocemente a causa di un simpatico caso di omonimia. Due ore di film spazzate via da due sillabe: Mar-tha… Sul finale, poi, è semplicemente il delirio: Wonder Woman salta giù da un aereo, arriva non si sa come da Batman e Superman, c'è una battutina spezza-atmosfera (l'unica del film, per cui completamente fuori registro) e infine si perde completamente la possibilità di creare un po' più di azione (le scazzottate vere dureranno cinque minuti, unico momento davvero interessante del film). Lo stesso inserimento di personaggi come The Flash, Aquaman e Victor Stone aka Cyborg svela quella che è la vera natura del film: un preludio di due ore e mezza alla Justice League—ovvero i supereroi buoni, ma così buoni, da sperare che cedano dolorosamente sotto le mazzate dei cattivi.

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Questo ammiccare al futuro, concentrandosi non molto sul presente è uno dei problemi anche della seconda stagione di Daredevil (problema che in generale nelle serie è molto più presente, vista la continuity naturale dettata dalle divisioni in stagioni). Il risultato finale è chiaramente diverso perché le premesse sono diverse: Daredevil non solo vive di rendita della prima stagione, ma parte alla grande, e regge perfettamente nei primi episodi, ovvero fino a quando il tutto è improntato su Daredevil vs Frank Castle aka The Punisher.

I problemi sorgono quando, in vista di un'ipotetica terza stagione—che a questo punto sembra essere necessaria—entrano in campo forze esterne, come Wilson Fisk, La Mano, Elektra, Stick: chi la dirige sembra perdere le redini, e il tutto viene risolto (?) sbrigativamente e male, lasciando numerosissimi quesiti aperti. Ovviamente i problemi sono anche altri, come il fatto che a Hollywood e dintorni non abbiano ancora capito che The Punisher significa "colui che punisce" e non "colui che vendica".

Pertanto Batman v Superman (e in parte molto minore Daredevil) evidenzia e incarna i problemi tipici dei cinecomics dei nostri giorni, risultando qualcosa di non riuscito, almeno ai miei occhi e a quelli del mio vicino di posto in sala. Ora al cinema arriverà Civil War che promette di essere una bella orgia colorata di personaggi e riferimenti ai fumetti. L'unico rischio è, come sopra, di basare tutto il suo hype su l'ennesimo reboot di un personaggio e di cadere nella confusione di voler aggiungere troppo.

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