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Buon compleanno, Napalm Girl

L’otto giugno è un giorno importante per Nick Ut. Non è solo l'anniversario di “Napalm Girl”, ma anche quello della sua foto di Paris Hilton in arresto. Ci ha raccontato come è passato dal giornalismo di guerra alle foto di celebrità a Los Angeles.

Nick Ut con la sua foto, "Napalm Girl." Tutte le foto per gentile concessione di Nick Ut.

Ero già al terzo bicchiere di whisky quando mi sono resa conto che il tizio con cui stavo parlando da ore era Nick Ut. È troppo umile per definirsi l’autore di “Napalm Girl”, la foto per antonomasia della guerra del Vietnam. L’ho capito alla fine, quando attorno a noi si è formata una fila di persone che volevano stringergli la mano. Mentre lo rendevo partecipe delle mie riflessioni alcoliche sui filtri di Instagram venivo continuamente interrotta dai suoi fan, che con gli occhi umidi gli dicevano “la tua foto ha cambiato la mia generazione.” A quanto pare, però, anche il mio sproloquiare su Instagram aveva un qualche ascendente.

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“Napalm Girl” può essere definita la prima foto virale della storia. Nel corso del 1972 è finita sulle prime pagine di quasi tutti i giornali del mondo, perseguitando come un fantasma un’intera generazione. È stata la conferma di quanto sosteneva chi si opponeva alla guerra, mentre Nixon, a quanto si dice, l’avrebbe addirittura additata come un falso. Nel 1972 Ut ha vinto il premio Pulitzer e il World Press Photo.

Ho incontrato Ut alla festa per il centesimo anniversario della Leica a Wetzlar, in Germania. Abbiamo legato grazie al nostro comune interesse per le macchine fotografiche e gli open bar, e dopo aver preso coraggio gli ho proposto un’intervista.

L’otto giugno di quest'anno è stato un giorno importante per Ut. Non solo era il quarantaduesimo anniversario di “Napalm Girl”, ma anche il settimo di “Paris Hilton in arresto”, altra sua foto di fama mondiale. In 35 anni Ut, da fotogiornalista dell’Associated Press di Saigon e vincitore del premio Pulitzer, è diventato un fotografo di celebrità di base a Los Angeles. E non si pente di nulla.

"Napalm Girl"

VICE: Quale scatto festeggi di più l’otto giugno? “Napalm Girl” o la foto di Paris Hilton?
Nick Ut: Be’, “Napalm Girl” è stata pubblicata qualche giorno dopo lo scatto, quindi penso di poterle festeggiare separatamente. C'è mancato poco perché la stampa rifiutasse di usare la foto, e questo perché il soggetto, Kim Phuc, era completamente nuda. Pensavo avrei perso il lavoro per un’immagine che non sarebbe nemmeno andata in stampa. Ma il vero traguardo nella mia carriera è che Kim è sopravvissuta.

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È sopravvissuta anche grazie a te?
Sì, ma in teoria non mi sarei dovuto intromettere. All'inizio non lo avevo detto a nessuno, perché non dovresti avere un qualche coinvolgimento con i soggetti quando stai raccontando una guerra. Mi sparavano anche contro, perché mi muovevo per lo più con i soldati. Non ho mai interferito con quello che facevano i militari, ma questo non impediva a chi era armato di spararmi contro.

Le cose sono cambiate quando ho visto quello che stava succedendo ai bambini. Avevo l’obiettivo puntato sull’aereo sud-vietnamita al momento del rilascio delle quattro bombe al napalm. Ho visto un bambino piccolo, di circa un anno, perdere una gamba e morire di fronte a me. Mi ripetevo che tutto quello che dovevo fare era scattare foto, e basta.

Poi una bambina mi è passata di fianco, nuda, in lacrime. Era coperta di napalm. L’ho sentita urlare: “Brucia, muoio!”

Le ho dato la mia acqua. Sono stato con lei per un’ora, ho cercato di consolarla, le dicevo che sarebbe finito tutto presto. Volevo calmarla. Non sapevo dove cercare aiuto. L’ho portata all’ospedale, ma era pieno. Poi ho tirato fuori il mio pass stampa e l’hanno lasciata entrare.

Hai rischiato il tuo lavoro per soccorrerla?
Sono stato rimproverato, ovviamente. “Nicky, non sei qui per aiutare la gente!” Ma non potevo starmene lì così. Avevo 19 anni e per un attimo ero rimasto lì, a guardarla morire, senza poter fare nulla perché ero della stampa. Ho pianto. Ho pensato che se l’avessi aiutata avrei perso il lavoro, ma dopo che l’ho sentita dire al fratello che sarebbe morta di lì a poco non me ne è importato più niente. Se fossi stato premiato per le foto senza aver fatto nulla per aiutarla mi sarei ucciso.

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Alla fine, cosa ha convinto la stampa a pubblicare la foto?
Pubblicare nudi femminili frontali sui giornali della mattina era illegale. Ma la serietà di quell’immagine andava oltre la regola, e gli editori hanno deciso di usarla. Avevamo molta più libertà di stampa ai tempi di quella guerra. Oggi non c’è più, quella libertà. Le foto importanti della guerra in Iraq non vengono usate. E anche quando succede… Associated Press ha pubblicato le foto dell’Iraq che il governo non voleva diffondere, ma resta il fatto che nessuno vuol vedere una foto triste.

L’informazione è al servizio degli interessi del pubblico. È per questo che adesso fotografi le star?
Viaggiare come fotoreporter in Iraq non offre alcuna protezione né grandi ricompense. La gente voleva sapere cosa accadeva in Vietnam, avevano tutti gli occhi puntati sul Paese. Per le guerre recenti non è così.

Mi ricordo quando è morto Michael Jackson; in quello stesso giorno è stato ucciso un soldato in Afghanistan. Michael Jackson finì su tutte le prime pagine, ma non credo che le vittime della guerra furono citate. E non parlo di tabloid, parlo di quotidiani d'informazione. I fotografi vanno nelle zone di guerra a scattare foto che nessuno vuole vedere, e che probabilmente nessuno vedrà.

"Paris Hilton in arresto"

Quindi preferisci fotografare Paris Hilton?
Ho fatto foto a celebrità migliori: Liz Taylor, John Wayne, Lucille Ball.

Sono un fotografo, ma non volevo fare il reporter di guerra. Nel 1972 ero in Vietnam, quindo non avevo scelta. Mio fratello era giornalista ed è stato ucciso nel 1965. Quando è morto ho preso il suo posto e l’Associated Press di Saigon mi ha dato il primo lavoro.

Quando sono arrivato negli Stati Uniti mi sono occupato dei conflitti sociali. Per un periodo ho seguito la Guardia Nazionale, ma persino quello mi provocava incubi sul Vietnam. Preferisco quello che faccio adesso a Los Angeles.

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