Musica

Questa nuova canzone italiana è la colonna sonora perfetta per la quarantena

Non tutti hanno voglia di cantare l’inno e Rino Gaetano al balcone: c’è anche chi vuole stare da solo, nella quiete—come Marco Giudici, che fa la musica di cui abbiamo bisogno in questo momento.
marco giudici
Fotografia di Giulia Bersani

Da quando il coronavirus è entrato a far parte della nostra vita le città del Paese si sono trasformate in corpi morti. Molti hanno reagito cercando di rimodulare le proprie necessità relazionali, ora che non ci sono più cose a tenerci assieme. Ci inventiamo stratagemmi per far passare il tempo, tenere distante il temuto punto di rottura. Sono giorni di sistemi sociali temporanei e suggerimenti sul futuro, un compito sul volersi bene al quale stanno partecipando tanti artisti.

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Gli scrittori fanno i reading e qualcuno si sbronza in live. Gli streamer su Twitch fanno colazione con le console alla mano e chi va a scuola, se riesce a saltare le lezioni online, ci si collega entusiasta. E molti musicisti fanno concerti o dj set in streaming, live su Facebook, Instagram o YouTube, con la fotocamera dello smartphone piazzata su un tavolo da cucina.

Sono giorni di sistemi sociali temporanei e suggerimenti sul futuro, un compito sul volersi bene al quale stanno partecipando tanti artisti.

E poi è uscito il singolo di Marco Giudici, bassista degli Any Other insieme ad Adele Nigro. Di solito, quando faceva musica da solo, si chiamava Halfalib—progetto che ci aveva regalato Malamocco, un disco tutto bello e jazzato. Ora ha scelto di far musica col suo nome anagrafico e con questa canzone è arrivato, volente o no, in un momento strano della nostra storia.

Le note della tastiera che aprono la canzone portano lontano nel tempo, in un luogo dove c’è un televisore sintonizzato su un canale regionale e che trasmette la colonna sonora di un anime irriconoscibile. Potrebbe essere l’ending theme di un cartone che guardavo da ragazzino, ma i ricordi subito risalgono verso l’adolescenza: che sia una citazione a Nobuo Uematsu, storico compositore giapponese e autore delle musiche di tanti Final Fantasy?

marco giudici

Fotografia di Giulia Bersani

Uno dei primi commenti al video è quello di una ragazza che chiede se l’incipit sia un omaggio a FFX, tanto per non sentirmi sciocco e solo. D'altro canto siamo in tempi in cui a dominare l'estetica di internet è Evangelion, opera simbolo del negativismo, della solitudine, agrodolce racconto estivo formativo per tutti i giapponesi e gli occidentali che ci sono rimasti sotto.

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Oggi i più giovani si incollano al concetto di "chill" e a remix di canzoni familiari passate da filtri—la pioggia, una porta chiusa. Le radio lo-fi hip-hop su YouTube, per dire, hanno un senso politico, ma qua la questione è che chi oggi ha dai 20 ai 35 è stato indottrinato alla cultura nipponica, per quanto filtrata da censure e brutte traduzioni. I suoni e i colori degli anime e dei videogiochi, le forme e le storie dei manga, sono diventate parte di una sorta di inconscio collettivo.

La musica di Marco Giudici è perfetta per questi giorni strani, dove le finestre dei condomini di fronte diventano l’unico sguardo verso l’altro.

Il videoclip di Marco Giudici mi sembra quindi una camera puntata nella mente di uno dei primi millenial. E chi si nasconde dietro la composizione di "Nei giorni così"? Mi vengono in mente cose più adulte. Soundscape 1: Surround di Hiroshi Yoshimura per cercare assonanze, ma anche i synth raggianti e riverberati di Watering a Flower di Haruomi Hosono. D’altronde l’elemento acquifero c’era già in Halfalib, in pezzi come “Liebe Fénix II, Instant”.

Nella sua pasta da VHS e telecamera degli anni Novanta, il video racconta la poetica di un hikikomori della musica bagnato dalla luce viola di un night club che non esiste. A fargli compagnia un pianoforte e il basso, l’amichevole pianta e una triste bottiglia d’acqua.

Nella sua solitudine si formano le parole che raccontano di giorni di prese a male, dove storie d’amore e di amicizia si intrecciano e si siedono al banco degli imputati del tribunale dei ricordi (“Nei giorni così / si accapponano i ricordi e i bronci”). Ricordi che si vorrebbero cancellare dalla memoria (“Mi imbarazzo coi pensieri / Spero che non ricorderò niente di niente di te”), di un rapporto a due che ha lasciato una ferita sul corpo di entrambi (“Le botte sullo sterno e poi corrodersi il dorso”).

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D’istinto diresti che è cantautorato, ma ricordo un'intervista fatta ai tempi di Halfalib dove Marco dice che il cantautorato oggi in Italia è morto perché il testo ha sempre più lasciato spazio al significato emotivo della musica, all’espressione di una melodia. Quello che sembra voler dire, a mio parere, è che non è più diventato un impegno cercare di capire il testo di una canzone. Anzi, un buon musicista pop non deve per forza scrivere qualcosa di forte, se la forza c’è e viene dal suono. Qualcosa che tutto sommato abbiamo assimilato in anni di canzoni in inglese.

Nella sua pasta da VHS e telecamera degli anni Novanta, il video racconta la poetica di un hikkikomori della musica bagnato dalla luce viola di un night club che non esiste.

Viene in mente la musica dei Verdena, che è talmente espressiva da potersi concedere dei testi insignificanti: non nel senso che non abbia un valore, ma proprio senza un significato chiaro. D’altronde anche in questo singolo la musica domina sulle parole, ma siamo comunque lontani dai modi di Halfalib—lì vi è una musica fortemente organizzata su un gruppo, con il groove del sassofono di Adele e la batteria di Fornabaio. Ed è per questo che non si parla di cantautorato.

La musica di Marco Giudici è quindi perfetta per questi giorni strani, dove le finestre dei condomini di fronte diventano l’unico sguardo verso l’altro, le nostre relazioni sociali si riducono ad aperitivi su Skype, esplodono i fenomeni di sexting con persone mai conosciute.

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Fotografia di Giulia Bersani

L’altro giorno ho fatto la spesa in un supermercato: ci facevano entrare in gruppi, distanti un metro dall’altro. È strano comprare una mozzarella di bufala e scegliere il salmone in offerta mentre sei circondato da persone che indossano una mascherina anti-contagio. La radio interna mandava l’ultimo singolo dei Pinguini Tattici Nucleari ed era un pezzo totalmente fuori luogo, perché riprodotto in un reale dove nessuno ha “solo voglia di ballare”.

Così come le pubblicità televisive e su YouTube che ci vendono una quotidianità attualmente bloccata, una realtà in astinenza di socialità, la musica di fino all’altro ieri, con tutta la caterva di immaginari di catene d’oro, voglia di drink e droga e fare l’amore litigarello, oggi non significa nulla. Parla al passato—e al futuro, si spera, breve. Ma oggi sono tempi goffi, dove nostalgia e malinconia si confondono con le proiezioni digitali dei nostri avatar, oggi più che mai utili a stare in forma con lo spirito. Tempi di musica che non fa ballare, ma che sussurra e che si crogiola della dolcezza di un limbo, come la nuova musica di Marco. Diego è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.