Dobbiamo dire addio a questo inutile mito della 'madre italiana'

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Dobbiamo dire addio a questo inutile mito della 'madre italiana'

La decisione del PD di creare un Dipartimento Mamme ha generato una polemica sulla "madre italiana". Uno stereotipo che dovrebbe smettere di esistere, per il bene di tutti.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Quando frequentavo la facoltà di psicologia mi lasciavano sempre piuttosto basito quelle lezioni di Psicologia Sociale in cui si tentava di espandere ai macrosistemi le nevrosi della sfera personale, come se un paese intero potesse soffrire degli stessi disturbi mentali di un individuo. Ma a quanto pare, l'Italia si avvicina moltissimo alle teorie dell'attaccamento materno di John Bowlby.

In questi giorni, infatti, è nato un nuovo focolaio di indignazione per la scelta del PD di istituire un Dipartimento Mamme—ovvero una struttura che si occupi dei problemi della maternità—e le seguenti dichiarazioni in merito della responsabile del dipartimento del PD per la difesa degli animali, Anna Prestipino: "Se uno vuole continuare la nostra razza [vocabolo per cui Prestipino si è successivamente scusata], se vogliamo dirla così, è chiaro che in Italia bisogna iniziare a dare un sostegno concreto alle mamme e alle famiglie. Altrimenti si rischia l'estinzione."

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È da tempo del resto che Renzi picchia su questo punto—a maggio aveva individuato nelle tre priorità del partito la questione "mamme"—e il dibattito si è concentrato soprattutto sulla presunta operazione di marketing politico del PD, definito da alcuni "da DC anni Cinquanta". Ma quello che dovrebbe far riflettere, più delle strategie politiche, è l'esigenza culturale che le motiva. Che ruolo gioca il concetto di "madre" all'interno dell'ecosistema culturale italiano nel 2017? Bene o male, quello che possedeva già nel dopoguerra.

Il termine italiano mammismo risale al 1952, ed è il frutto, secondo Marina D'Amelia, autrice del libro La Mamma, che ricostruisce la nascita dello stereotipo materno in Italia, "della particolare congiuntura psicologico-politica che, all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, spinge alcuni intellettuali a cercare nuovi miti unificanti." Il ruolo sociale che imputiamo alle madri in Italia, quindi, ha una storia e un preciso collocamento. Anche politico.

È il simbolo della famiglia come rifugio e luogo di "partenza basilare": un rifugio in cui albergano e proliferano spesso tutte le convinzioni più conservatrici della nostra società—per fare un esempio semplice e classico, basta pensare al modo in cui le adozioni omosessuali, specie nei casi di coppie maschili, vengono viste con sospetto proprio per la mancanza di una donna-madre. La madre è la guardiana di questo "luogo dell'anima", un essere quasi mitologico, dotato per natura di amore e di una giustizia smisurate, che si sacrifica letteralmente anima e corpo per i figli.

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Una donna dotata di uno scopo che si vuole più alto, che si distingue chiaramente all'interno della genitorialità, non soltanto sul versante sociale, ma, almeno fino a poco tempo fa, anche legale, visto il trattamento da care-giver esclusivo che la madre ha sempre avuto rispetto al padre nelle cause per l'affidamento dei figli. Il bisogno di maternità della donna così come è concepita sembra quasi divino: ogni donna serba dentro di sé il desiderio di maternità—lo deve serbare—e rispetto agli uomini—che invece possono provare, tutto sommato comprensibilmente, repulsione per la paternità—sono pronte a rinunciare a tutto in nome della famiglia.

Se pensate che la figura materna in Italia abbia sempre avuto queste sembianze, vi sbagliate. Come si legge nel libro di D'Amelia, "all'inizio dell'Ottocento, ai primi intellettuali che misero a confronto i diversi comportamenti adottati dalle madri in Europa, le donne italiane sembravano più interessate ad altre attività e poco coinvolte nell'investimento materno." Questa specie di titano di amore e accudimento filiale, quindi, è nato in un certo momento della nostra storia, per precise ragioni sociali. La Grande Madre Mediterranea è un fattore di aggregazione, non solo per i suoi figli: è uno dei pochi lembi di identificazione nel nostro paese, visto che tutti conosciamo bene lo stereotipo della mamma apprensiva e degli "italiani mammoni."

Il problema è che questo stereotipo si basa su elementi palesemente fuorvianti. Non tutte le donne (sorpresa!) conservano in fondo all'anima un istinto materno, o un totale bisogno di prostrazione per i frutti del loro grembo, eppure nel tempo questa credenza ha generato un vero e proprio stigma per quante si sono rifiutate di accettare questo presunto "ruolo naturale". Lo stereotipo della maternità è stato spesso una limitazione di libertà, dignità e salute.

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Essere considerate anormali se non si desiderano figli e non si amano più della nostra stessa vita è un problema enorme, che ha condizionato la salute mentale di moltissime donne. Come si può leggere nel saggio Fra Scelta e Costrizione di Silvana Salvini—contenuto nella raccolta In Scienza e Coscienza—"per decenni problematiche come depressione post-parto e infanticidio sono rimaste avvolte da una coltre di disgusto e rifiuto. Problemi di cui non solo non si poteva parlare, ma a cui non si doveva nemmeno pensare. Così come, di contraltare, non si poteva parlare delle donne che soffrivano della Sindrome del Nido Vuoto: esseri privati di qualsiasi scopo di vita, una volta che i figli si sono allontanati." Queste omissioni di realtà erano dovute a un generale stato di negazione: è impensabile per una donna nutrire dentro di sé sentimenti negativi e deleteri quando si diventa madri. Per questo i soggetti che mostrano tali comportamenti devono essere nascosti, isolati, spinti a provare lo stesso sentimento di negazione.

Oltre agli aspetti personali, poi, ci sono ovviamente quelli sociali. Perché nel nostro paese il concetto di madre appare sacro, ma nel mondo del lavoro la maternità è vista con la stessa simpatia della peste bubbonica. E questo coinvolge un forte rallentamento delle donne nelle possibilità di crescita, di libertà, e di emancipazione. Come sostiene nel suo saggio Silvana Salvini, "il modello che le donne incontrano sul mercato del lavoro è un modello 'maschile' rigido e gerarchico in cui lo svolgimento dell'attività extradomestica occupa una posizione prioritaria. Ma il lavoro di cura familiare impone alla donna ritmi diversi, e il tempo rappresenta una costrizione nelle scelte riproduttive femminili."

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Questo scisma fra sfera privata e sfera sociale nasconde un'ovvia cultura di fondo: se il selvaggio mondo del lavoro impone una certa forma mentis, in contrasto con quella della madre-icona che allatta tutti i figli del mondo, allora per tutti i ragionamenti che abbiamo appena fatto le donne che decidono di sacrificare la sfera privata per quella sociale hanno qualcosa di sbagliato, di inaccettabile. Se decidi di competere sullo stesso campo degli uomini sei semplicemente meno donna.

Tutto questo porta—magari inconsciamente, magari consciamente—al convincimento che la famiglia sia l'unico vero rifugio a cui le persone possono aspirare. E questo ha degli effetti deleteri su chiunque, che si tratti di madri, padri, figli, uomini e donne. Effetti sul senso di indipendenza di un individuo, sullo sviluppo della sua identità, sul senso di colpa che nutre se infrange le aspettative del luogo da cui proviene, sull'idea che ha del mondo esterno (e quindi della vita sociale e politica) e sullo sviluppo delle sue idee. È tempo, insomma, di ammettere che se esiste un cuore del generale conservatorismo italiano, questo sta anche nel concetto di "mammismo."

Ovviamente non sto dicendo che il concetto di famiglia deve essere cancellato o che non si debbano più fare figli. Ma la figura materna, e tutto quello che si porta dietro storicamente, deve cambiare. La genitorialità dovrebbe essere comprensiva di figure più realistiche e mutevoli, e soprattutto non dovrebbero incarnare una forma identitaria.

Superare questa figura antidiluviana, e soprattutto irreale, dovrebbe essere insomma una priorità—ma al di là di tutte le attenuanti che sono state tirate fuori, l'utilizzo di un certo tipo di linguaggio e concetto da parte del PD, fa capire bene quale sia ancora la tendenza di base.

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