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Sono andato di ronda per il centro di Milano

Dopo l'annuncio delle ronde per vigilare su mafia, cinesi che non fanno lo scontrino e profughi eritrei, etiopi e sudanesi, siamo andati a vedere cosa vuole fare l'ennesimo gruppo di cittadini "indignati" a Milano.

Foto di Guido Borso.

Ancora le ronde? Sì, anche se, da un paio di governi a questa parte non si sa più bene se siano legali o meno e cosa abbiano il potere di fare (parrebbe niente).

Fino a pochi giorni fa, Asscomm Porta Venezia era un gruppo di perfetti sconosciuti all’opinione pubblica; ora invece, grazie all'annuncio delle ronde nel centro di Milano e il successivo scontro con il Comune, le loro motivazioni sono arrivate a parecchi media.

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Gli argomenti di Asscomm a sostegno delle ronde sono, di base, un gran bel mischione di cose che—non solo apparentemente—hanno poco a che fare tra di loro: mafia, cinesi che non fanno lo scontrino e, soprattutto, la condizione dei profughi eritrei, etiopi e sudanesi che negli ultimi mesi si sono fermati proprio a Porta Venezia.

L’obiettivo dichiarato da Asscom è di aiutare queste persone, di avere interesse a mostrare loro solidarietà restituendogli dignità umana di fronte alle mancanze strutturali del Comune. Facendo delle ronde. Non vi preoccupate, se siete confusi è perfettamente normale.

La comunità  eritrea è forse uno dei gruppi etnici più antichi di Milano, avendo iniziato a stabilirsi in città e nel quartiere già dai primi anni Settanta, affiancata successivamente da migranti provenienti da altri paesi del Corno D’Africa. In zona non si contano i bar e i ristoranti gestiti e frequentati da eritrei fino alla terza generazione, nel contesto di un quartiere in cui, in generale, la concentrazione di locali è piuttosto alta, contando anche parecchi ristoranti di altri paesi e diversi bar legati al mondo LGBT.

Questo contribuisce, senza farci tanta poesia sopra, a rendere il gruppo di vie compreso tra via San Gregorio e Viale Vittorio Veneto una delle zone più vive della città, cosa che, in una metropoli che ancora non riesce a fare i conti con l’idea stessa di vita notturna, è di per sé già sufficiente perché si parli di “degrado” e di “cittadini esasperati”. Ma qui non si tratta di schiamazzi notturni, e nemmeno di avventori ubriachi che pisciano sui portoni: il fatto che da così tanti anni ci siano comunità ben radicate ha portato molti africani in fuga dai regimi militari dei paesi di provenienza a rifugiarsi in zona.

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Quello che rende davvero complicata l’accoglienza, però, è che loro stessi evitano di richiedere asilo, in quanto non è a stabilirsi in Italia che puntano: cercano di raggiungere altri paesi, in un transito reso molto complesso dalle leggi internazionali sull’asilo politico e sulla mancanza di politiche umanitarie condivise. Insomma, per tutti questi motivi si è creato un vero e proprio piccolo accampamento di fortuna, dapprima nel verde attiguo alla chiesa di S. Carlo Al Lazzaretto, poi spostato sulla collinetta antistante i bastioni di Porta Venezia.

In tutto ciò il comune sostiene di stare facendo il possibile, mentre i membri di Asscomm vogliono… che vogliono? Abbiamo cercato di capirlo andando a vedere la ronda inaugurale di giovedì. Com’era facile prevedere, non eravamo gli unici giornalisti sul luogo.

Anzi, al nostro incontro con il gruppo sembra quasi essere in corso qualcosa a metà tra una conferenza stampa e le riprese di un video pubblicitario. Il portavoce del gruppo si chiama Luca Longo, e sembra perfettamente a suo agio nel ruolo. A fare un rapido conto, i giornalisti sono molti più dei militanti, tre soli dei quali sembrano assegnati al ruolo attivo di sorveglianza e hanno addosso una pettorina che lo attesta.

Longo si intrattiene parecchio tra telecamere e microfoni cercando di spiegare perché loro hanno ragione e su cosa. Si dicono esasperati, dicono che le forze dell’ordine da quelle parti scarseggiano, che la criminalità è pesante e che problemi di ordine pubblico si verificano di continuo.

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Sulle pettorine c’è scritto “gruppo antimafia” e, a sentire Longo, questo dà sicuramente fastidio a qualche politico del comune. Hanno anche un numero di telefono, presente tanto sulle pettorine quanto sui manifesti affissi qua e là. È il numero a cui sporgere eventuali segnalazioni se si notano situazioni “strane o illegali.” Quindi i cittadini dovrebbero chiamare loro e non la polizia. Poi la polizia la chiamano loro. Uh…

Ad ogni modo, neanche Longo è in grado di spiegarmi bene cosa c’azzecchino la solidarietà verso i migranti e la lotta contro contraffazione e mafia in tutto questo. Riesce solo a rispondermi che hanno individualmente già fornito cibo, acqua e coperte ai profughi, e che la loro preoccupazione numero uno è la legalità: hanno paura che a forza di non avere una casa e un lavoro, i profughi possano cadere in mano alla criminalità organizzata.

Anche a livello politico, mi dice, le loro preferenze vanno verso partiti o movimenti che non ospitino corrotti e inquisiti tra le loro fila. Si dichiarano un'associazione apolitica e apartitica, eppure con loro c’è (e si nota) Riccardo De Corato, ex-vicesindaco di Milano con Albertini e Moratti, consigliere comunale eletto con Fratelli D’Italia ed esponente della destra milanese. Fa un po’ da regia occulta un po’ da consulente, mentre Longo dichiara a un cronista di La7, “Pare che il centrodestra si sia riappacificato grazie a noi, ne siamo contenti.”

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Finito il primo giro di interviste la ronda può partire, ma il risultato non è lontano da una mezza farsa. D’accordo con i cameraman delle televisioni nazionali e un paio di cronisti di quotidiani e free press che ne coreografano i movimenti, i pettoruti si esibiscono in una specie di sfilata, mostrando con orgoglio i manifesti che attaccano in giro per il quartiere.

L’aria si scalda solo quando la sfilata passa prima in piazza Oberdan, tra i vaffanculo di homeless e alcolisti che stazionano lì da sempre (e che non hanno nulla a che fare con quello di cui si è parlato finora), e poi di fronte alla già menzionata collinetta, provocando un fuggi-fuggi generale tra i profughi.

Qualcuno si incazza: un ragazzo evidentemente sbronzo di cui non sono riuscito a capire la provenienza tuona contro gli italiani razzisti e De Corato non trova di meglio da fare che dirgli “ué Bingo Bongo.” Compare anche un signore che si presenta come portavoce di gruppi di residenti, non solo eritrei, che si stanno organizzando per aiutare chi è per strada.

Si chiama Iamane Maricos, è in Italia da quarant’anni e si mostra più perplesso dalle iniziative di Asscomm che indignato: secondo lui, a fronte delle difficoltà oggettive è già stato fatto molto, dai semplici cittadini e dalle organizzazioni di terzo settore come Save The Children, la Comunità di Sant’Egidio e i City Angels (nel frattempo sono comparsi pure loro).

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I membri dell’Asscomm, manco a dirlo, avanzano dubbi sul fatto che queste abbiano davvero combinato qualcosa di concreto. Rivendicano ancora una volta le loro azioni di solidarietà e iniziano una polemica sulla presenza delle forze dell’ordine in zona: i vigili sostengono che un incremento ci sia stato da almeno due mesi, loro dicono che è tutta roba di quella sera e ovviamente merito loro.

Nel frattempo si è radunata umanità di ogni tipo: mi appassiono in particolare a una tizia che sembra la presidentessa del De Corato fan club. Lo riempie di foto, e quando può inizia qualche conversazione razzista. Qui noto che la differenza coi militanti di Asscomm è abbastanza tangibile: non so cosa dicano lontano dalla presenza dei giornalisti, ma sembrano convinti di essere impegnati in azioni umanitarie a favore dei rifugiati e cercano di evitare la demagogia anti-immigrati.

La loro formula è comunque di una semplicità disarmante: queste persone devono essere portate via, per il loro bene, per rispetto dei diritti umani. Poco importa che loro, invece, non vogliano altro che allontanarsi dall’Italia, e la prospettiva di accoglienza forzata gli appaia come tutt’altro che umanitaria.

Per capirci: si è parlato di riaprire all’uopo il CIE di Via Corelli, chiuso da un po' e che aveva sfiorato la riapertura già ad aprile, una prospettiva che a me pare piuttosto agghiacciante. Allo stesso tempo, è anche vero che il tipo di soluzione che i rifugiati si sono ritagliati da soli è di stretta sopravvivenza e che, avendone a cuore il benessere e la dignità qualcosa si può e deve fare.

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Quello che le ronde sono riuscite a fare è creare una vaga aura di demonizzazione intorno a tutto quello che possa semplicisticamente essere archiviato alla voce “degrado”, distinguendo però abbastanza precisamente, con la solita delicatezza tra immigrati buoni e cattivi: vittime delle circostanze e probabili future vittime della criminalità (i profughi) contro mafiosi trafficoni (i cinesi).

A un certo punto vediamo apparire dall’altro lato della strada gli assessori Pierfrancesco Majorino (servizi sociali) e Marco Granelli (sicurezza). Majorino ci tiene a ripetere una versione ancora più vittoriosa dell’impegno del comune e del terzo settore in merito; dice di non avere nessun interesse a commentare le ronde ma di essere lì per occuparsi sul campo del problema dei migranti.

Ammette che, al momento di trattare la situazione dei rifugiati siriani, qualche tempo fa, c’erano state meno difficoltà logistiche nonostante i profughi fossero sicuramente molti di più, forse perché il clamore internazionale aveva contribuito a sensibilizzare anche forze nazionali ed extra-nazionali.

Poco dopo spunta anche una consigliera di zona di M5S e nasce un dibattito che non coinvolge né Longo né gli altri membri della Asscomm. Sorprende un po’ che i 5 Stelle non supportino in nessun modo le ronde, ma la signora sembra concordare con gli assessori: il lavoro in consiglio comunale è stato e viene fatto, e se nel quartiere ci sono problemi di ordine pubblico, non sono imputabili ai profughi né alla comunità eritrea stabile.

Continuo a essere perplesso riguardo al comportamento dei rondaioli: il tempo passa e loro rimangono a un angolo della strada a fare comunella con giornalisti e digossini (ne ho contati undici, tutti con walkie talkie, più di quanti il comando ne mobiliti per un raduno nazi). Non vogliono rispondere alle mie domande e, ora che l’interesse nei loro confronti si è  un po’ acquietato, sembrano interessati soprattutto a farsi i cazzi loro.

A una certa si tolgono le pettorine e si disperdono, probabilmente per continuare il loro lavoro “in incognito”. Tra i militanti rimasti c’è una signora che, sorridendo, ci tiene a dirmi che sicuramente loro non sono come ce li aspettavamo, non sono razzisti o fascisti. La genuinità di queste persone è forse realmente il problema principale: conservano un interesse sincero nel portare avanti la versione attivista di scuse per bene tipo “invece di farli venire qui aiutiamoli nel loro paese,” e dietro i sorrisi solidali è ben visibile soprattutto un senso di fastidio per una situazione sicuramente irregolare che si sta presentando sotto le loro finestre e davanti alle loro vetrine. Importa più il senso di auto-soddisfazione di avere “fatto qualcosa”, svolto un ruolo da cittadini eroi, non importa se impegnati in una non-soluzione semplicistica sfociata in niente di più di un’esibizione pubblicitaria.

Ci sono modi e modi, infatti, di rapportarsi con la realtà sociale e con le tematiche più difficili da maneggiare. Potremmo, tenendo per un attimo da parte i giudizi etici, metterle tutte su una scala verticale tarata sulla “raffinatezza”, cioè su quanto si consideri un determinato problema sociale nella sua complessità, nei suoi aspetti più difficili e persino contraddittori. Verso il fondo di questa scala ci sono quegli approcci più grossolani perché tentati a partire da ideologie rigide e mitologizzate (tipo il fascismo, per dire), da visioni del mondo assolutistiche e piene di valori immutabili. Non sono però il fondo, o almeno non più, da quando ha iniziato a prendere piede un atteggiamento ancora più assurdo: quello di basarsi su un’idea di mondo irreale e aprioristica, ma che pretende di essere fondata sulla logica e sul buon senso. È un ordine di idee sempre più popolare, che oramai esiste anche come posizione politica, e rappresenta un problema soprattutto perché convince chi lo adotta di essere in buona fede.

C’è chi si preoccupa della possibilità che iniziative come le ronde tipo possano inasprire le tensioni sociali. Sinceramente non mi pare che questo rischio sia concreto; semmai ho visto l’ennesimo gesto di micro-propaganda inutile nei confronti di una idea sociale oggettivista campata completamente per aria, un pizzico di qualunquismo egotico con cui qualcuno ha nutrito la propria coscienza e la propria insoddisfazione, e con cui si tiene in caldo la tendenza al razzismo blando di tutta una città.

Segui Francesco su Twitter: @FBirsaNON