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Cultura

Il Michelangelo dei capezzoli tatuati

Crea tatuaggi perfetti per le donne sopravvissute al cancro al seno.

Tutte le foto sono di Roc Morin

Nella sala d’attesa di Little Vinnie’s Tattoos, motociclisti e punk siedono fianco a fianco con nonnette tutte casa e chiesa e mamme della piccola borghesia. Le clienti arrivano dai posti più disparati, Arabia Saudita, Spagna, Brasile, in questo centro commerciale anonimo poco fuori Baltimora che fra i suoi negozi annovera un solarium, un negozio di alcolici e una cineteca a luci rosse. Sono agitate, al momento di entrare nel negozio di Vinnie Myers, destinazione finale di molte donne sopravvissute al cancro al seno, che vogliono recuperare ciò che la mastectomia ha distrutto.

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L'incidenza del cancro al seno è aumentata negli ultimi dieci anni. Allo stesso tempo però il tasso di mortalità causata da un cancro al seno è diminuito. Per molte, la cura prevede la rimozione del seno e dell’areola. Le pazienti escono dalla sala operatoria con il seno piatto e coperto di cicatrici scure. Molte optano per la chirurgia ricostruttiva. Le protesi possono ridare al seno la forma perduta, ma ricreare un’areola naturale è una vera sfida.

La soluzione più raccomandata dai medici per la ricostruzione dell’areola è il tatuaggio. E nel campo dei tatuaggi cosmetici, le areole “trompe-l’oeil” di Vinnie, come le chiama lui, sono universalmente considerate il miglior prodotto sul mercato.

“Abbiamo fregato i medici,” scherza l’assistente di Vinnie, Richie. “Ci sono state donne che ci hanno chiamati ridacchiando, ‘Non potete capire cos’è successo!’ ci hanno detto. ‘Sono andata all’appuntamento di routine col mio chirurgo, mi sono spogliata, poi lui ha guardato la mia cartella clinica e mi ha guardato confuso, e alla fine mi ha detto ‘Credo ci sia un errore. Qui c'è scritto che lei ha subito un intervento.’”

 “Qual è il vostro segreto?” ho chiesto.

“Luci e ombre," ha risposto Vinnie, accanto al bancone. "Non riesco a credere che nessuno ci abbia pensato prima. Conosco molti tatuatori cosmetici che si limitano a disegnare un cerchio e poi lo colorano. Hanno tre colori. Cioccolato, rosa cicca e salmone. Quello che si avvicina di più alla tua carnagione, lo usano per colorare dentro il cerchio. Alla maggior parte delle donne bianche tocca il salmone.”

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“Quindi non disegnano nemmeno le ghiandole di Montgomery?” ho chiesto, riferendomi ai piccoli bozzi sull’areola.

“Spesso non disegnano nemmeno il capezzolo,” ha esclamato Vinnie. “Disegnano un cerchio, e poi, magari, disegnano il centro di un colore più scuro. Per esempio, puoi ritrovarti con un cerchietto color cioccolato dentro a un cerchio più grosso color salmone.”

“La maggior parte delle volte il capezzolo è disegnato persino nel punto sbagliato,” fa Richie. “Ti  viene da chiederti se abbiano disegnato a occhi chiusi.”

“Esattamente,” ribadisce Vinnie. “Per me è un crimine, fare una cosa simile.”

Un altro aspetto che Vinnie trova scandaloso è la tariffa che prendono i medici per un tatuaggio cosmetico. “Spesso arriva fino a duemila dollari,” ci fa notare, “e l’assicurazione sanitaria non copre questo tipo di cose. Qui, facciamo pagare un’areola come un qualunque altro tatuaggio della stessa dimensione. Perché dovremmo chiedere di più solo perché si tratta di un capezzolo?”. Da Vinnie, il prezzo è di 400 dollari per una sola areola, e 600 per entrambe.

Ho assistito ad alcune sedute di Vinnie, quel giorno. Con quella sicurezza e quella misura, la terminologia medica di cui fa uso, la sua cartellina e la camicia, è facile capire perché molte lo chiamino “dottore”. Si è trovato in così tante situazioni “cliniche” che mi aspettavo di vedergli tirare fuori uno stetoscopio. Se l’avesse fatto davvero, in ogni caso, nessuno avrebbe battuto ciglio.

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L’ultima cliente del giorno è una donna di circa 50 anni—era stata capo cheerleader, ha detto il marito, con fierezza. La sua lotta contro il cancro è durata due anni, e l’ha lasciata con una spessa cicatrice violacea dove prima c’era il seno sinistro.

Era nervosa. Vinnie le ha proposto di bere una birra. “Tutto ok,” ha scherzato “siamo tutti sbronzi, qui!”

“Cosa significa per te, questo intervento?” ho chiesto alla donna.

Lei ci ha pensato su un attimo, scegliendo le parole. “Spero che elimini questo costante ricordo. Per qualche tempo rimani in una specie di limbo della sopravvivenza. Affronti un intervento alla volta, una diagnosi alla volta. E poi, quando finalmente finisce tutto, hai l’impressione che vada tutto benissimo—finché non ti ritrovi da sola, e questo è il momento più duro. A volte mi sento proprio bene, ma poi, quando esco dalla doccia, mi ritorna in mente tutto—come un pugno nello stomaco. Spero che mi aiuti a cancellare qualche brutto ricordo.”

“La cosa buona,” ha detto Vinnie indicando il seno operato, “è che quando ti guardi, ora, vedi soltanto cicatrici. Non ci sono altri modi di vedere la cosa. Ma quando ci rimetti il capezzolo, le cicatrici non si notano più tanto. L’attenzione si concentra sul capezzolo.”

“Il modo in cui ne parli,” ho detto alla donna, “la fa sembrare quasi una procedura mistica—cambiare il corpo per cambiare la mente…”

“Sembra che ti sia stata portata via la tua femminilità,” mi ha risposto lei, “ed è stupido, perché spesso le donne cercano di nascondere i capezzoli, ma poi, quando non li hai più, pensi ‘ma perché li nascondevo? Perché ho faticato tanto per nasconderli?’”

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“E’ strano,” ha iniziato Vinnie, mescolando i colori, “come quasi tutte le donne con cui ho parlato abbiano la stessa sensazione di incompletezza. Erano complete prima, poi non lo sono più state. La frase che sento dire più spesso, una volta finito è ‘mi sento di nuovo completa.’”

“Come un motociclista!” ha riso la donna.

“Dobbiamo essere dei veri duri!”  le ha risposto Vinnie.

La macchinetta ha iniziato a ronzare e tremare nella sua mano come una cosa viva e pungente. La donna ha stretto le labbra, che sono scomparse tra i denti quando l’ago ha iniziato a penetrare la carne.

Venti minuti dopo, era tutto finito. Vinnie ha fatto ruotare lentamente la poltrona su cui sedeva la donna, ponendola di fronte a un grande specchio.

“Che ne pensi?” ha chiesto.

La sua espressione era incredula, e ha sbattuto le palpebre più volte. Ci ha messo un po’ a rispondere. “La cicatrice non si vede più,” ha balbettato. “È davvero scomparsa.”

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