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Tecnologia

'Orwell' è il fantasma di Edward Snowden nell'incubo post-Trump

Prendete 'Papers, Please' e aggiungeteci il 2016: ecco 'Orwell'.
Immagine: Osmotic Studios

La mia generazione è nata e cresciuta all'ombra dell'11 settembre: questo orrore ha fagocitato praticamente tutti, annullando il gap generazionale tra chi ha assistito da bambino all'attentato delle Torri Gemelle (senza capirne appieno il significato) e chi era già abbastanza adulto da comprenderne le conseguenze.

Da quel momento, a seconda della propria sensibilità personale, abbiamo vissuto tutti in un costante stato di allarme, risvegliato puntualmente dagli altri drammatici attentati. Una certa frangia di potere ha tentato (tenta, e sempre tenterà) di sfruttare questa paura, perché non c'è niente di più stimolante del terrore per prendere decisioni critiche. Non si può comprendere il gesto folle di un uomo che si lancia dal cinquantesimo piano di una torre in fiamme, se prima non si è sperimentato il terrore cieco delle fiamme che ti divorano.

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Anche nei programmi politici dei candidati alla presidenza degli USA—che gli americani saranno chiamati a votare prestissimo—c'è un programma simile: un programma di chiusura, di allontanamento, di controllo spietato. Mi riferisco, ovviamente alle politiche estere e interne di Trump, e al suo muro anti-immigrati giusto per dirne una.

Il dilemma del nostro tempo sembra essere questo: siamo pronti a scambiare la nostra libertà per un mondo più sicuro? Possiamo coscientemente dare in mano allo Stato la liceità di ficcare il naso nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nelle nostre conversazioni al prezzo della nostra incolumità?

Possiamo dare allo Stato la libertà di leggere la nostra corrispondenza? Immagine: Orwell

Orwell, questo piccolo titolo episodico realizzato da Osmotic Studios, ipotizza un mondo in cui questa scelta critica è già stata presa. Il titolo è ambientato in un universo fittizio che ricalca da vicino alcuni degli argomenti chiave della nostra attualità.

Si parla di una guerra che va avanti ormai da tempo in un territorio chiamato Parges, di una serie di attentati terroristici culminati nel feroce attacco del 2008 e seguiti da una serie di patti internazionali volti a promuovere leggi molto severe sulla protezione e sulla sicurezza internazionale. Uno scenario in cui la politica interventista di questa Nazione senza nome è portata a livelli estremi: il diritto è un territorio labile e lo stato Leviatano ha divorato quello del singolo cittadino.

Il mondo di Orwell è un complesso super controllato da telecamere di sicurezza invadenti e da un sistema informatico (chiamato Orwell, per l'appunto) che permette di indagare nella vita dei privati cittadini per ricostruire profili molto specifici. Il sistema, che funge da colonna portante della legislazione anti-terrorista, non sembra tanto appartenere a un futuro distopico, quanto a un presente molto spaventoso.

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Possiamo coscientemente dare in mano allo Stato la liceità di ficcare il naso nella nostra vita al prezzo della nostra incolumità?

Il giocatore si trova a dover indagare su un nuovo attentato che ha provocato un discreto numero di vittime. Il sistema lo guida attraverso un tutorial molto chiuso volto a ricostruire il profilo dell'indiziata. È interessante e inquietante studiare la timeline dei social dei sospettati, ricostruirne la vita, i rapporti, gli affetti e perfino gli spostamenti.

Sono momenti che chiunque abbia seguito il caso di Edward Snowden (e se non lo avete fatto guardate il bellissimo documentario di Laura Poitras, Citizenfour) troverà decisamente familiare. Il sistema di Orwell è una piattaforma aperta nel quale è inglobato un browser web per verificare le ultime notizie e gli aggiornamenti dei social, un sistema per ascoltare le chiamate in corso e leggere gli scambi di messaggi o email e, a margine, un profiler che racchiude tutte le informazioni raccolte e ricostruisce una mappa dei contatti del soggetto.

C'è tantissimo da leggere e, in fin dei conti, Orwell può essere descritto come un gioco testuale. Per esempio, riuscendo a scovare il numero di telefono frugando nel sito della compagnia per cui il soggetto lavora, si potrà avere accesso al suo pseudo-Whatsapp. Peccato che tutti gli indizi sensibili siano sottolineati e già pronti da dare in pasto al sistema.

Risolvere i conflitti tra le fonti è l'unica vera scelta messa in mano al giocatore.

Il problema è proprio questo: il punto di un titolo simile dovrebbe essere darti l'idea di essere una spia informatica, una sorta di hacker che deve mettere da parte la moralità per costruire a puntino dei profili da incriminare. Diciamo pure che nelle intenzioni dovrebbe essere una sorta di Papers, Please del ventunesimo secolo, tutto giocato sulla ricostruzione dell'identità digitale.

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In realtà Orwell manca il bersaglio e si pone piuttosto come un racconto interattivo molto lineare. Il primo episodio dei due finora usciti è semplicemente un lungo tutorial e nel secondo il gioco riesce a svincolarsi maggiormente, ma basta un po' di buon senso per pigiare i tasti giusti e arrivare alla fine. Non si viene mai messi davvero alla prova, anzi, l'unico punto nevralgico in cui il giocatore può intervenire è nella risoluzione di alcuni conflitti tra le diverse fondi a cui si accede, con lo scopo di tracciare un profilo chiaro e incriminante per ogni personaggio coinvolto.

Ben poca roba, però: non c'è la possibilità di sbagliare, non ci si sente mai davvero scaltri nel tracciare collegamenti o eticamente scorretti nell'accusare i personaggi. Manca di pathos e immedesimazione, che in una storia del genere è quasi un peccato imperdonabile.

Nelle intenzioni dovrebbe essere una sorta di Papers, Please del ventunesimo secolo.

La serie è ancora in corso: il sistema è interessante e perfino la presa di posizione non è banale. Certo, Orwell si pone in maniera critica rispetto a un abuso di potere da parte del governo, reo di spiare le vite dei cittadini, ma d'altronde non ha in simpatia nemmeno per questi personaggi sciocchi che fanno antipolitica spicciola attraverso le foto su Instagram, gli aggiornamenti su Facebook e i loro blog di poco conto.

La grande perplessità resta un sistema di gioco che pare chiuso in se stesso quanto e più dello stato di polizia che vorrebbe denunciare, e in questo caso viene naturale una declinazione della domanda cruciale: è il caso di scambiare il divertimento e l'immedesimazione perché tutto fili liscio come da volontà degli sviluppatori?

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su The Shelter..