Ho provato una shame drug e funziona meglio di quanto credessi
Illustrazione di Andrea Cancellieri

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Ho provato una shame drug e funziona meglio di quanto credessi

"Le droghe che ho preso in passato hanno sempre avuto l’obiettivo di farmi perdere le inibizioni, non di farmele venire."

Questo racconto fa parte di Terraform, la nostra rubrica settimanale di narrativa sci-fi. Racconti sul futuro dell'uomo, della Terra e dell'universo — tra nuovi approcci alla realtà e evoluzioni distopiche del nostro presente. Ogni giovedì una nuova puntata: se hai un'idea da proporre o un racconto da pubblicare, scrivici a itmotherboard@vice.com.

Appena sveglio ho mandato una foto del mio cazzo a una tipa che ho conosciuto sabato sera. Credetemi, non è da me. Sono passato da casa di mia sorella, con la quale non parlavo dal 2009, le ho chiesto scusa e ho pianto. Non è da me. In metro avevo vicino due ragazzini che limonavano; li ho separati e ho spiegato loro che dovevano smettere perché il rumore dei baci mi fa vomitare. È uno schifo che covo ogni giorno della mia vita, ma agire di conseguenza non è da me. E non è da me il fatto stesso di raccontare episodi come questi, che entro stasera mi daranno profondo imbarazzo. Se lo faccio è colpa del down: sono in down da Aidolzepam—anche nota come bluff—la più diffusa delle shame drug. Ma cominciamo dall'inizio.

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Siamo furti, avanzi, regali, rottami. Materiali compattati e di continuo rimodellati in forme mostruose, levigate semmai dalle lunghe tempeste dell'incontro con l'Altro. Innumerevoli di questi conglomerati ruotano su se stessi nei dintorni di un unico Occhio, tramite il quale ciascun conglomerato percepisce gli altri con cui è in rapporto. L'Occhio vede in tutte le direzioni ma non vede tutto: solo le facce che i conglomerati gli mostrano. Non può neppure percepire alcunché di "interno", per il semplice fatto che non esiste interiorità. Una porzione di superficie del conglomerato può disfarsi e il materiale sottostante può avere una natura diversa; non per questo è "interno" o più autentico: sempre di superficie si tratta. Possono prodursi perforazioni che vanno da parte a parte, ma l'interiorità resta una paranoia da complottisti. Le dinamiche tra singoli componenti, così come le rotazioni dei conglomerati e la distanza di questi dall'Occhio, dipendono da flussi magnetici di intensità variabile. Che i flussi siano causa dei movimenti, sarebbe un'affermazione azzardata; di sicuro ne sono il mezzo.

Il mese scorso ho ricevuto una piccola eredità—non abbastanza da campare di rendita, ma per la prima volta nella mia vita ho aperto un conto in banca e ho preso appuntamento con un consulente finanziario. L'idea non era diventare ricco; più che altro, ritardare il momento in cui getterò tutti quei soldi dietro il bancone di un bar e diventerò povero. Alla consulente che mi è stata assegnata, per prima cosa ho detto «Investa in qualcosa di super-sicuro e lontano dalle mie tentazioni». Lei mi ha risposto: «Quali sono i tuoi sogni?»

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Non c'è alto o basso, nella galassia dei conglomerati. Non c'è equilibrio. Ma vallo a spiegare a un pacchetto di elementi sorpreso dagli schiaffi magnetici dell'Occhio. Che facce mostrare? Quali nascondere? Dove vorresti essere tra dieci anni? Quanti anni avrai? Il conglomerato in difesa si accartoccia su se stesso: genera una concavità che finisce per esporre all'inquisizione dell'Occhio superfici ancora più ampie. Per completare l'opera batte in ritirata, e più indietreggia e più è completa la visione di sé che regala. Dell'Altra, l'Occhio vede solo una lastra d'acciaio sfocata. Disponibilità. Disponibilità delle disponibilità. Cosa vorrai fare, con quei soldi, tra dieci anni? Pagare l'asilo? Pagare la chemio? In balia di assalti e carezze, il conglomerato rotea in direzioni casuali. Si sfalda in balbettii. Si contrae in groppi. E davvero il binario sul quale ti trovi, tra dieci anni, ti porterà a raggiungere quell'obiettivo? Non sarà un binario morto? Certo che sì, anzi, coi rompipalle che fanno domande me ne vanto, di non avere un piano, ai miei genitori glielo sbatto in faccia—ma alla consulente? È qui apposta. Delle lastre d'acciaio ci si può fidare. Se non accetta la delega in bianco, è perché interpreta il suo ruolo di intermediario con onestà.

Sono uscito da quell'ufficio col profilo di rischio di George Soros.

Nei giorni successivi ho provato a non pensarci, ma è stato inutile. Stavo versando il caffè quando ho ricordato la mia stessa voce che pronunciava le parole «Vorrei scrivere un libro di poesie» e l'imbarazzo mi ha dato una fitta così forte che ho scagliato la moka contro il muro. Ho fatto finta di essermi ustionato. Cosa cazzo me ne è mai fregato di scrivere poesie? Non ne scrivo da due anni, non ne scriverò mai più. Ma se anche volessi, perché dirlo a questa sconosciuta? In generale, perché dirlo? Ancora martedì mattina, sotto la doccia, ho ripensato a quando me ne sono uscito con «Giochiamoceli, si vive una volta sola» e ho urlato come se avessi preso una coltellata in un rene. Dopo ogni accesso di imbarazzo ero più prostrato. Ho deciso di tornare dalla consulente per bloccare tutto. Non guadagnerò fiumi di soldi senza muovere un dito, ma almeno non rischierò di perderli.

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Mi è sembrata l'occasione giusta per provare il bluff. Non credevo lo avrei mai fatto: le droghe che ho preso in passato hanno sempre avuto l'obiettivo di farmi perdere le inibizioni, non di farmene acquisire qualcuna in più. Coi consulenti finanziari, però, bisogna essere cauti. È come andare da uno psicanalista: entri per chiedere un sonnifero, esci che hai ammesso di voler scopare tua madre.

L'Aidolzepam, il principio attivo del bluff, è una benzodiazepina pensata per sedare le persone con scarso autocontrollo. L'ha sintetizzata un ricercatore italiano della University of Nottingham, il dott. Mario Gallucci, e in sé è perfettamente legale: negli USA e in Europa è in commercio da circa un anno. Nel giro di poco, però, l'Aidolzepam è diventato anche l'ultimo grido in fatto di uso off-label e spaccio per colletti bianchi: stimolando il senso di vergogna, facilita l'adattamento a contesti formali; sopisce i tic nervosi; migliora l'attenzione; sgonfia il desiderio di farsi notare e nel complesso riduce il rischio di comportamenti inopportuni. Uccide l'empatia e la capacità di pensare fuori dagli schemi. In sostanza, la cocaina è per i manager o chi vuole sentirsi come un manager, il bluff è per la bassa manovalanza intellettuale.

13:30 – Incontro il pusher, è un'amica di un amico. Mi suggerisce di prendere il bluff almeno un'ora prima del momento in cui dovrà fare effetto. A transazione conclusa, commento in tono caricaturale: «Dovrei vergognarmi!» La battuta è fiacca, ma lei manca del tutto di rilevarla. È quasi alla fine della sua pausa pranzo: si scusa, mi saluta e mi abbraccia in modo fin troppo caloroso.

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15:00 – Bluff assunto da mezz'ora; nessun effetto degno di nota. Posso ancora concepire la possibilità di comportarmi in modo imbarazzante. Non ho il desiderio di farlo, quello no, ma non ne avevo neppure prima: conosco il mio vero profilo di rischio, ed è basso. Temo di non aver ancora capito a sufficienza come funziona questo Aidolzepam.

15:30 – Sono in sala d'attesa, sarò ricevuto tra poco. Gli uffici di questa divisione occupano un piano intero ma le porte sono tutte chiuse, non sembra esserci mai nessuno oltre alla mia consulente. L'altro giorno, silenzio e corridoi antichi mi avevano intimorito; stavolta sono tranquillo. Sarà l'abitudine, sarà la benzodiazepina. Wikipedia dice che l'Aidolzepam «potenzia il sistema GABAergico e induce un effetto miorilassante, oltre che ipnotico-sedativo. A livello comportamentale si registra un aumento del senso del pudore». Non dice se c'è differenza tra la roba spacciata per strada e il prodotto venduto in farmacia.

15:40 – Sto finendo di spiegare le mie ragioni. Non ricordo di essere entrato o di essermi seduto, non so se sto recitando il discorso che mi ero preparato, né se sto risultando convincente. Non pensavo avrei mai dovuto convincere qualcuno che non sono uno speculatore. Sono tranquillo, e stavolta è definitivamente la benzo. Tutto è più chiaro: non c'è mai stata alcuna lastra d'acciaio. Attraverso l'Occhio, il conglomerato vede se stesso e crede che sia l'altro conglomerato a vederlo. Ma anche l'altro conglomerato non vede che se stesso.

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15:42 – Sull'emisfero del conglomerato che in questo momento è invisibile all'Occhio si sono innestati dei puntelli elettromeccanici: saldano insieme le parti e stabilizzano l'orientamento complessivo. Nel mezzo di uno tsunami magnetico che fa sembrare quello dell'altro giorno un pediluvio, il conglomerato resta impermeabile. Deve essere questo l'effetto dell'Aidolzepam, una insicurezza militante. Nessuna apertura verso le tattichette della consulente che continua a propormi di pensarci su, di vedere come va il mercato, di aspettare almeno il tempo necessario a recuperare i soldi che spenderò in commissioni. Ma non ho alcuna intenzione di espormi. Arrivo a dirle che sto valutando la possibilità di chiudere il conto per aprire un libretto alle Poste, e non è nemmeno vero.

15:49 — Quel che è onda da un lato, è risacca dall'altro, dice il proverbio. E se un conglomerato si è chiuso in un angolo di vergogna inattaccabile, dal quale mostra sempre e solo la stessa faccia, l'altro deve starsi avvicinando all'Occhio. Gli tornano indietro le energie che sono scivolate senza conseguenze sul bersaglio primario, e così

  • lo avvolgono;
  • massaggiano;
  • stringono;
  • quando le superfici crepitano e poi cedono, dilagano tra le pieghe;
  • manipolano i componenti disorientando il conglomerato rispetto all'Occhio;
  • si infiltrano fin tra le particelle subatomiche dei materiali;
  • caricano le intercapedini;
  • sovraccaricano le intercapedini.

Architetture secolari implodono come Atlantidi. Nel medio periodo, sopravvivono come Pompei gelate.

16:20 – La consulente rientra coi moduli e me li posa davanti insieme a una penna. Non si è ancora accorta della colata di trucco all'angolo dell'occhio. Firmo. La saluto e la abbraccio in modo fin troppo caloroso.

Illustrazione di Andrea Cancellieri