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esperimenti

Ho provato a imitare lo studente di Torino “spacciando" merendine in università

Uno studente di Torino è stato sospeso per aver "spacciato merendine" nel suo liceo.
Tutte le foto di Vincenzo Ligresti.

Giovedì, ore 11 di mattina. Milano è grigia e cade una pioggia sottile. L'Università Cattolica si sta ancora risvegliando. Mi guardo intorno: decine di studenti prendono il caffè prima delle lezioni, fanno colazione o una pausa dallo studio. Appostato come un rapace nella zona macchinette, con uno zaino pieno di Kinder Délice e Fiesta, penso a come svoltare un'altra giornata.

Se ho iniziato in tono un po' noir è perché nell'ultima settimana una storia di micro-criminalità e ragazzi perduti è finita al centro dell'attenzione della cronache italiane altrimenti dominate dall'imminente referendum costituzionale. Ne avrete sentito parlare anche voi, presumo. Un po' tutti i quotidiani hanno deciso di seguire la vicenda. Repubblica le ha dedicato alla vicenda ben tre articoli. Ne ha parlato persino Gramellini in un Buongiorno. Si tratta ovviamente della storia dello "spacciatore di merendine."

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In pratica, in un istituto tecnico in provincia di Torino, un ragazzo di 17 anni si è accorto che le merendine alle macchinette costavano troppo, così ha iniziato a comprarle all'ingrosso e a vederle ai suoi compagni a un prezzo un po' più basso. Prendeva le ordinazioni da un gruppo su WhatsApp, vendeva snack e lattine di bibite, aveva un bel giro d'affari e incassava pare qualche centinaio di euro al mese. Poi però è stato beccato, come sempre capita quando sei nel giro. L'anno scorso l'hanno bocciato. Qualche settimana fa invece è stato sospeso per dieci giorni ed è finito su tutti i giornali.

Visto che questa storia ha avuto tutta questa portata e ha generato reazioni folli di imprenditori che si sono detti pronti ad assumerlo per il suo spirito d'impresa, ho deciso di provare a emulare il ragazzo in questione e tentare di applicare il suo schema in un'università. Anche perché un po' tutti al liceo abbiamo venduto qualcosa sottobanco—c'era chi spacciava merendine, chi verifiche o appunti, chi erba e chi, come il fotografo che mi accompagnato per questo post, ha gestito per un breve periodo una compravendita di penne con cospicui ricavi e addirittura agenti di commercio nelle altre classi.

Così sono andato al Lidl vicino all'ufficio e ho comprato un pacco di Fiesta e un pacco di Kinder Délice. Sono merendine piuttosto costose, ma volevo offrire solo il meglio ai miei clienti. In totale ho speso circa sei o sette euro per venti merendine, per cui mi sarebbe bastato piazzarle a 50 centesimi l'una—un prezzo onesto, più basso di quello delle macchinette—per fare un profitto di 3-4 euro. Tutto grasso che cola.

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Ovviamente, dato che non voglio avere guai con la legge, non le avrei davvero vendute.

Dopo aver fatto i calcoli, ho mangiato una Kinder Délice. So che un vero pusher non tocca la sua merce, ma non avevo fatto colazione e avevo fame. Poi, guardandomi intorno con aria volutamente losca, ho cercato un posto abbastanza riparato dove mettermi a riempire lo zaino di merendine sfuse. A pochi metri da me, una volante della polizia (ok, va bene, erano i vigili) presidiava la strada con i lampeggianti accessi. Alla fine ho individuato un sottopassaggio e nascosto la merce in tutta sicurezza. Era tutto pronto. Potevamo andare in Cattolica.

Siccome non ho mai spacciato droga o merendine in vita mia non ho idea di quali siano i luoghi e i modi migliori per coniugare il massimo guadagno e il minimo rischio di farsi beccare. Però conosco lo stereotipo dello spaccino nascosto dietro l'angolo che offre la roba ai passanti. Ho provato a fare così.

E così, confondendomi tra gli studenti, mi sono diretto verso la zona macchinette al piano terra—perché ho immaginato che fosse quello il luogo in cui sarebbe stato più facile piazzare la merce visto, che a frequentarlo sarebbero state solo persone più o meno interessate e affamate. Con la coda dell'occhio, tenevo sotto controllo i movimenti delle guardie (ok, bidelli).

Ho aspettato che qualche studente si avvicinasse per comprare qualche snack. La prima a farlo è stata una ragazza. All'ultimo momento, quando stava per infilare i soldi nella macchinetta, le ho sussurrato: "Ehi, merendina? Fiesta? Kinder Délice?" Mi ha guardato come avrebbe guardato un alieno. Credo si sia anche data un pizzicotto per capire se era sveglia o stava sognando.

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Comunque sia, ero riuscito a procurarmi la mia prima cliente. La ragazza—di cui non farò il nome per tutelare la sua privacy—mi ha detto di essere una studentessa di scienze motorie. Era in biblioteca a studiare e aveva deciso di fare una pausa e comprarsi una barretta di cioccolato.

Per fare un minimo di conversazione le ho raccontato la storia del mio ispiratore, di cui lei non aveva sentito parlare. L'ha ascoltata con attenzione e una certa incredulità, annuendo, "ma va," "ma dai," "pazzesco." Quando poi le ho offerto una deliziosa merendina industriale piena di olio di palma a un prezzo competitivo, non ha potuto far altro che accettare. Quando ha fatto per tirare fuori il portafoglio, le ho detto che gliela regalavo.

Comunque sia, credo sia rimasta soddisfatta—come potete anche vedere dal suo sorriso nella foto. Qualche minuto dopo, passeggiando per il chiostro dell'università, l'ho incrociata di nuovo: stava mangiando la merendina.

Una volta venduta la prima, il resto è stato facile. Ci avevo preso la mano. Il mio cliente è stato un ragazzo molto alto con una giacca di pelle. Anche lui è stato abbordato alle macchinette, e anche lui è rimasto inizialmente sorpreso dalla mia offerta. Ma si è subito ricomposto. "Ah, ho capito, tu spacci merendine!" ha esclamato. Gli ho detto di abbassare la voce.

Ha scelto una Fiesta. "È roba buona," gli ho detto, poi abbiamo fatto lo scambio. Ci siamo dati un cinque con la merce dentro, fingendo niente, mentre entrambi ci guardavamo intorno per controllare che non arrivasse nessuno.

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Insomma, davanti alle macchinette facevo ottimi affari. Ma non ho voluto abbassare la guardia: ormai ero rimasto fermo lì per una buona mezz'ora e probabilmente cominciavo a dare nell'occhio. Così ho deciso di spostarmi. Sono uscito e mi sono messo a camminare per il chiostro della Cattolica. Intorno a me, decine di studenti si spostavano da un'aula all'altra, chicchieravano tra loro in capannelli o sulle panchine.

A un certo punto, ne ho visto uno che sedeva solitario guardando il cellulare. Sembrava un tipo tranquillo, ma si vedeva lontano un miglio che era il tipo di ragazzo che non disdegna una buona merendina. Così, con aria indifferente, mi sono seduto accanto a lui sulla panchina.

"Ciao. Non parlare. Non guardarmi. Vuoi una merendina?" gli ho detto. L'ho visto fare in un film.

La sua prima reazione è stata tipo "eh?" ma poi si è messo a ridere, perché ha collegato quello che stavo facendo alla storia del ragazzo di Torino. Ha accettato. Gli ho passato la merce e mi sono messo a guardare dall'altra parte, facendo finta di niente, mentre la consumava. Ogni tanto gli sussurravo cose tipo "buona vero?" o "solo il meglio per i miei clienti."

Ovviamente, per ognuno di questi tre successi ci sono stati diversi tentativi andati miseramente a vuoto. Persone che mi ignoravano quando le accostavo alle macchinette, altre che quando mi presentavano mi lanciavano sguardi di disprezzo e compatimento. È un mestiere così, ha i suoi alti e bassi.

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Più bassi che alti, visto che in più di un'ora ero riuscito a consegnare appena tre merendine. Non era questione di impegno o di prenderci la mano: a questo ritmo mi sarebbe servito un miracolo per far fuori tutte e due le scatole. Ed è stato a questo punto che ho iniziato ad ammirare sinceramente le capacità imprenditoriali dello studente di Torino, capace di piazzare decine di snack e bibite nel breve lasso di tempo di un intervallo.

Ho deciso di cambiare ancora posto e mi sono piazzato in una nicchia nel muro proprio di fronte al bar della Cattolica, in modo da intercettare persone che avevano già in mente di mangiare qualcosa ma senza rischiare di essere beccato dai bidelli. E infatti, poco dopo essermi messo lì sono arrivati i primi clienti: due ragazze che stavano andando al bar. Quando mi sono passate accanto ho usato la solita strategia. Le ho sentite parlare di prendere un caffè e ho detto: "non ci volete anche una merendina con il caffè? Una Fiesta, magari?"

Colpito e affondato.

Galvanizzato da questo successo immediato, sono rimasto lì per un'altra mezz'ora immaginando che sarei riuscito a consegnare molte altre merendine. E invece niente, ho fatto decine di tentativi ma sono stato sempre o ignorato da persone che allungavano il passo oppure rimbalzato con più o meno gentilezza. Un ragazzo mi ha persino detto, "sono allergico."

A un certo punto ho fatto una breve pausa per scambiare due parole con i ragazzi che facevano volantinaggio all'ingresso dell'università, visto che ormai cominciavo a provare una grande empatia con loro. In fondo i nostri due lavori erano simili. Ho provato a offrigli una merendina ma hanno rifiutato dicendo che non avevano fame.

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Gli ho chiesto di fare almeno una foto con loro ma hanno detto di no, perché stavano lavorando. Ho l'impressione che anche loro mi stessero snobbando.

Così, demoralizzato, ho riposto le merendine rimaste nella borsa e me ne sono andato.

Commentando il caso dello studente di Torino, l'opinione pubblica si è spaccata a metà. Da una parte c'era chi vedeva in lui una specie di personificazione dello spirito del capitalismo—"di lui colpisce la capacità di mettersi nei panni degli altri per coglierne i bisogni e trasformarli in affari. Quanti manager strapagati la possiedono ancora?" ha scritto Gramellini, mentre sul Sole 24 Ore è uscita una lettera aperta in sua difesa firmata da una serie di imprenditori e venture capitalist italiani.

Altri, esagerando nell'altro senso, si sono subito posti domande tipo "ma le paga le tasse?" o "ma rispetta gli standard sanitari richiesti ai commercianti di generi alimentari?" Come se appunto non si stesse parlando di una decina di merendine. Comprate al supermercato. E ovviamente entrambe le parti accusavano l'altra di essere "il male del mondo" "il motivo per cui le cose in Italia non funzionano" e così via.

Non sono un economista, ma se anche lo fossi non credo sentirei l'esigenza di schierarmi in una disputa del genere. Non credo valga la pena. L'unica cosa che ha senso fare è comparare l'intraprendenza di un ragazzo di 17 anni alla mortificante realtà del numero di merendine che sono riuscito a distribuire io in una mattinata.

Cinque.

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