Attualità

È vero che in Italia 'non ci sono abbastanza medici'—e che sarà sempre peggio?

La risposta è molto più complicata di un sì, ma potremmo iniziare dicendo che dal 2025 non ci saranno abbastanza specialisti. Questione che la pandemia in corso ha ricordato.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT
nu,ero medici specialisti per l'italia
Alcuni attivisti di 'Giovani Medici per l'Italia'. Foto per gentile concessione dell'Associazione.

A marzo 2020, con uno dei suoi dpcm, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha disposto delle "misure straordinarie per l'assunzione di medici, infermieri e personale sanitario." Il numero dei contagiati in terapia intensiva era troppo alto, e serviva forza lavoro. Oltre medici in pensione volontari, personale sanitario inviato da altri Paesi e altri camici chiamati temporaneamente all'opera sono stati abilitati—senza aver affrontato l'esame di Stato, ma con un tirocinio "pratico-valutativo" di tre mesi completato—giovani medici appena laureati.

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In seguito è stato specificato che questi ultimi non sarebbero stati in prima linea durante la crisi, ma avrebbero ricoperto mansioni più basilari. Tutto questo ha riportato a galla una domanda: è vero che in Italia non ci sono abbastanza medici? E poi: perché si è dovuti correre ai ripari in un momento di crisi? E se dovesse accadere di nuovo?

Nell'ottobre 2018, il precedente governo aveva abbozzato una proposta per abolire il numero chiuso a medicina, ma il punto "non è che mancano medici, ma medici specialisti," mi spiega Caterina Candela, 27 anni, laureata in Medicina all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e attualmente al primo anno di specializzazione in Chirurgia Generale presso gli Ospedali Riuniti di Ancona.

Caterina fa parte di "Giovani Medici per l'Italia", un'associazione che come altre—tra cui ALS, ANAAO, Dipartimento Medico—si batte soprattutto per "ottenere un aumento dei contratti di formazione specialistica" e "consentire ai laureati in medicina di proseguire il loro percorso formativo."

Per capire meglio la situazione, e provare a ipotizzare cosa succederà in futuro, ho fatto una chiacchierata con Caterina.

VICE: Si sente dire spesso che in Italia ci sono pochi medici, ma non è giusto metterla in questi termini. Mi spieghi meglio?
Caterina Candela: Ti ringrazio per la domanda, perché mi consente di chiarire un fraintendimento fin troppo radicato. Il nostro paese non soffre la carenza di medici. Ciò che davvero manca sono gli specialisti, ovvero quei medici che hanno concluso il proprio percorso di formazione specialistica post-laurea; per intenderci, sono i medici che vediamo lavorare nelle corsie dei reparti di degenza, nelle sale operatorie, negli ambulatori. Costituiscono il motore centrale della “macchina ospedale.”

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Per chi non lo sa, puoi spiegare il percorso formativo che affronta un giovane per diventare medico? Qual è la crepa che contestate?
Per diventare dottore in Medicina e Chirurgia, si deve in primis affrontare il tanto chiacchierato test d’ingresso, il cui superamento consente ogni anno a circa 10mila candidati su 80mila di intraprendere un percorso di studio “matto e disperatissimo” di sei anni.

A quel punto si è ancora pressoché inutile in termini lavorativi e, ottenuta l’abilitazione all’esercizio della professione, ci si trova di fronte all’ennesima sfida, la più ardua: il concorso d’accesso alle Scuole di Specializzazione o al corso triennale di Medicina Generale. A fronte di circa 10mila laureati all'anno, il Governo stanzia solamente una media di 7000 borse di specializzazione annue, tagliando fuori “dai giochi” ben 3000 medici, che, disoccupati e demoralizzati, si trovano costretti a riprovare il suddetto test, accumulandosi ai laureati dell’anno seguente.

E a questo punto che succede?
Si moltiplicano i medici “a spasso” in una realtà dove la Sanità pubblica piange una carenza sempre maggiore di forza lavoro: è il cosiddetto “imbuto formativo”, incubo dei giovani medici che vi rimangono bloccati (al momento circa 10 mila).

Quest’anno saranno più di 23 mila i candidati che si troveranno a lottare per le sole 8300 borse di Specializzazione attualmente disponibili e, secondo le previsioni, tale sistema comporterà nel 2025 un’insostenibile carenza di specialisti, ai danni di tutti noi, medici e soprattutto cittadini.

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Chi non passa il test per la specialistica, nell'attesa di poterci riprovare, che alternative ha?
L’alternativa più gettonata è rappresentata dalla Continuità Assistenziale, meglio nota come guardia medica. Tuttavia, avere accesso a questa realtà lavorativa (attraverso specifici bandi regionali) può rivelarsi più difficile del previsto per via dei turni già saturati dai colleghi più in alto in graduatoria. Altri, poi, lavorano come medici del 118, previo completamento di un corso di circa quattro mesi e superamento dell’esame finale, a detta di alcuni colleghi molto selettivo.

Una saltuaria occasione di guadagno, seppur minimo, è costituita anche dagli eventi sportivi, che tuttavia possono rivelarsi armi a doppio taglio dal punto di vista medico legale, richiedendo solide e costose assicurazioni. È in questo contesto che molti cercano la soluzione all’estero, Svizzera e Germania in primis.

Cosa è successo quando i contagi per coronavirus sono arrivati al picco, e si è richiesta molta forza lavoro? Si è detto anche un po’ impropriamente che fossero state anticipate le lauree di medici e infermieri.
Le lauree non sono state anticipate, semplicemente le Università hanno permesso ai laureandi di tagliare il traguardo mediante la modalità “online”, evitando loro ulteriori ritardi. Il vero e proprio cambiamento adottato durante questa emergenza sanitaria riguarda l’esame di abilitazione all’esercizio della professione, abolito seguendo la scia di una già nota volontà ministeriale.

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L’obiettivo era ottenere un incremento della forza lavoro, soprattutto nell’ambito della medicina sul territorio. Eppure questa modifica non ha sortito miglioramenti all’atto pratico, dato che il neolaureato non possiede le competenze adeguate per gestire un paziente complesso come quello affetto da SARS-CoV-2.

In questo modo si è ulteriormente cronicizzato il problema della carenza di personale medico e si è resa necessaria la chiamata “alle armi” di medici militari e medici in pensione.

In una situazione non di crisi, quanti medici specialisti servirebbero? Quanti ce ne sono realmente?
È presto detto: gli specialisti che attualmente lavorano per il Sistema Sanitario Nazionale sono circa 105 mila, di cui potenzialmente 40mila pensionandi da qui fino al 2031, considerata anche l’introduzione della “quota 100”. Poiché i neoassunti non sono più di 15 mila, le necessità concrete di specialisti entro il 2031 saranno di circa 25mila medici specialisti. E senza dubbio non è confortante pensare, di fronte alla pandemia che ancora stiamo affrontando, che la questione potrebbe divenire sempre più critica.

Cosa chiedete di concreto alle istituzioni? Dove e in che modo dovrebbero intervenire a livello legislativo? C'è una proposta nel decreto Maggio.
Se il concorso di accesso alle specializzazioni sarà a luglio, chiediamo vengano messe a disposizione almeno 5000 borse in più, per saturare la capacità formativa attualmente possibile. Se invece il concorso slitterà ad ottobre, se parteciperanno anche i neolaureati della prossima sessione estiva di medicina, l'aumento delle borse dovrà essere ulteriore e proporzionato al numero di candidati aggiuntivi.

Servono inoltre maggiori tutele lavorative per gli specializzandi che, considerati al pari di studenti, sono sprovvisti delle garanzie riconosciute a un professionista sanitario. E un progressivo aumento della capacità della rete formativa specialistica, in modo tale che la forza lavoro in entrata sia adeguata a compensare i pensionandi dal punto di vista quantitativo e qualitativo.

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