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Il caso di Khacia, tuttavia, si aggiunge ad altri. Da dicembre, stando a quello che ha dichiarato il ministro dell'Interno Angelino Alfano, una decina di soggetti sono stati espulsi dall'Italia per la loro supposta vicinanza al jihadismo. "Saremo durissimi," ha detto Alfano. "Noi ci troviamo di fronte ad una minaccia immanente che può attuarsi in qualsiasi parte del nostro continente e che è sostanzialmente imprevedibile."Il tartufo della città di Al Qaīm nella terra del Califfato. Farà concorrenza al tartufo di Alba? — Oussama أبو مصعب (@K19_84)January 19, 2015
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Lorenzo Vidino: È sempre molto complicato stabilire il limite tra la libertà di parola e la propaganda jihadista. Il decreto che dà il potere di espellere per motivi di sicurezza nazionale è del 2005, e generalmente non è abusato. Sono una ventina di casi all'anno e c'è tutta una procedura da seguire.
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Questi sono stati i primi casi, perlomeno a livello giudiziario, di soggetti che appartengono alla nuova generazione del jihadismo autoctono italiano. Sono ragazzi cresciuti in Italia, considerati "sociologicamente" italiani, e che si sono radicalizzati qui.
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È difficile quantificare, ma indicativamente si tratta di qualche centinaio di soggetti molto attivi su Internet, spesso lontani dalle moschee, e che interagiscono quasi tutti sui social network, si scambiano informazioni, si parlano in pubblico e in privato.È una scena decisamente più piccola rispetto a quella di altri paesi. Non ci sono grossi centri di aggregazione come ad esempio a Londra o in alcune città del Belgio, della Germania e della Francia. Qui si parla più di individualità sparse per il territorio, c'è un numero significante di convertiti. È comunque una scena molto eterogenea: alcuni si accontentano delle interazioni online; altri invece cercano di tradurre questo fervore in qualcosa di concreto.Che differenze ci sono con le reti jihadiste di altri paesi europei?
Principalmente mancano le filiere di arruolamento; o meglio, esistono, ma sono embrionali, di dimensioni minori. Più o meno ci sono le dinamiche degli altri paesi, ma avvengono su scala più ridotta.Parlando del processo di radicalizzazione dei jihadisti autoctoni, in Francia ad esempio questo avviene principalmente in carcere, com'è successo nel caso dei fratelli Kouachi. In Italia, invece?
I rapporti pubblici dei servizi italiani parlano della radicalizzazione in carcere. Chiaramente, però, il fenomeno in Italia ha una portata diversa. Sotto questo punto di vista, ci "salva" un po' il fatto che non diamo la cittadinanza, e quindi abbiamo pochi terroristi nelle carceri. Nei casi di Kouachi e Coulibaly, invece, c'era Djamel Bhegal, cioè la figura del "radicalizzatore." In Italia ci sono stati degli equivalenti di Bhegal, ma sono stati sempre sempre cacciati.
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Sono due fattori che nessuno può escludere; ma isolare un singolo motivo che avrebbe causato la radicalizzazione è fare un'analisi politicamente motivata, in un modo e in un altro.In certi casi, comunque, sono indubbiamente parte del fenomeno, in altri non hanno niente a che farci. Per quanto riguarda la discriminazione, se uno va a vedersi i video di Anas prima che diventasse jihadista e poi quelli dalla Siria, lui parla della Lega Nord e del razzismo.Oppure, leggendosi le carte del processo a Mohamed Game—l'uomo di origine libica che nel 2009 aveva cercato di farsi esplodere alla caserma Santa Barbara a Milano—si vede che parla di Lega Nord e di discriminazione contro i musulmani. Insomma, è chiaramente un fattore.
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In realtà si sa molto poco su questo tema, anche perché i numeri italiani sono molto bassi rispetto ad altri paesi europei. Tra l'altro, di quei pochi che partono dall'Italia quasi nessuno di loro parla, mentre i foreign fighters di altri paesi sono molto attivi sui social.
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In Italia le norme sostanzialmente ci sono già. Da quello che si capisce, questo pacchetto fa un lavoro più che altro di "scalpello", ci sono dei cambiamenti più di fino che altro—come ad esempio l'aumento delle pene, l'introduzione di reati più specifici, eccetera. La legislazione italiana è comunque abbastanza all'avanguardia in Europa.La radicalizzazione d'ispirazione jihadista in Italia riguarda, come hai scritto nel tuo ebook, "una frazione statisticamente insignificante della popolazione di fede musulmana." Insomma, è un fenomeno sotto controllo e il cui impatto sui media andrebbe ridimensionato?
Sicuramente come fenomeno in Italia è ridotto. E di altrettanto sicuro c'è l'attenzione da parte di chi di dovere, che precede la scoperta dell'Isis da parte dei media e che non è mai scesa dagli anni Novanta ad oggi.Certo, c'è più probabilità di morire colpito da un fulmine che da un atto di terrorismo, ma la realtà è che qualsiasi tipo di violenza politica attrae maggiore attenzione rispetto ad altri tipi di fenomeni. È chiaro, poi, che se un attentato di tipo jihadista avvenisse in Italia, questo ingenererebbe delle fortissime dinamiche politiche e sociali. Immagina che tipo di impatto potrebbe avere un fatto del genere su integrazione, immigrazione e Islam.Per il resto, solo avendo la conoscenza del fenomeno si riesce a dargli la giusta dimensione, e probabilmente è l'unico modo per avere un dibattitto serio.Segui Leonardo su Twitter: @captblicero