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Italia '90: e se avesse vinto la Jugoslavia?

Questa puntata della mini-serie sui Mondiali del passato è dedicata a Jugoslavia-Argentina—la sfida tra Diego Armando Maradona e Dragan Stojkovic, definito da alcuni proprio il “Maradona dell'Est”.

Quello del 1990 è ricordato giustamente come uno dei Mondiali più noiosi della storia. E non solo per i 115 gol segnati (2.2 in media a partita), la cifra più bassa dal 1978 ad oggi (da quando giocano più di 16 squadre). Chiunque parli male del “calcio moderno”—inteso come quell'insieme di cambiamenti che hanno reso il calcio uno spettacolo che possa ambire anche a intrattenere la propria platea, oltre a scatenare le passioni primordiali che tutti sappiamo—andrebbe sottoposto a una “cura Ludovico” di Italia '90, dalla partita inaugurale alla finale.

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Col senno di poi non capisco come si possa essere arrivati fino al 1992 prima di vietare al portiere di prendere il pallone con le mani su retropassaggio. Basta guardare una partita qualsiasi del periodo precedente alla modifica del regolamento per capire che un difensore in difficoltà (ma anche un centrocampista aggredito alle spalle sul primo passaggio) che, anziché risolvere il problema geometrico, si gira verso il proprio portiere e gliela passa è semplicemente una cosa sbagliata. E dato che si poteva fare, lo facevano in continuazione. Era praticamente impossibile recuperare palla nella trequarti avversaria: appena una squadra cominciava a pressare alto per stabilire la propria dominanza la difesa cominciava a giocare con il portiere. Un calcio senza slanci dove la frustrazione era la norma. Possibile che prima del 1992 a nessuno sia venuto in mente di fermare il gioco e dire: “Non vedete che non è così che dovremmo giocare”?

Lo scopo di questa mini-serie in cui riguardo partite dei Mondiali passati, però, è quello di rinnovare e arricchire l'esperienza-partita grazie alla prospettiva obliqua degli anni trascorsi o, se preferite, alla luce radente della Storia. Premesso che Italia '90 non è stata un'edizione particolarmente eccitante, ad esempio, è comunque un'edizione ricca sotto il profilo simbolico.

Uno dei motivi per cui ho scelto di riguardare il quarto di finale tra Jugoslavia e Argentina è che si tratta dell'ultima partita di un torneo internazionale giocata dalla Jugoslavia intesa come Repubblica Socialista Federale: quella che il presidente a vita Josep Broz Tito definiva “Una Nazione composta da sei Stati, cinque culture, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti, un solo partito politico” (escluse le qualificazioni all'Europeo del '92, in cui tra l'altro vinceranno sette partite su otto segnando 24 gol).

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Questo è il video con telecronaca inglese che ho visto io e a cui si riferisce il minutaggio.

Tito però era morto esattamente dieci anni prima e le tensioni interne che avrebbero portato alla guerra civile si erano già manifestate in almeno due occasioni legate al calcio. La prima è la partita del 13 maggio 1990 giocata al Maksimir Stadium da Stella Rossa e Dinamo Zagabria, quella in cui Zvominir Boban ha colpito in modo scomposto un poliziotto per difendere un tifoso della Dinamo, e che gli è costata un anno di squalifica dalla Nazionale (Italia '90 compreso). La seconda è l'amichevole, immediatamente precedente alla Coppa del Mondo, con l'Olanda, giocata sempre a Zagabria, con l'inno nazionale fischiato e i tifosi nazionalisti croati che sostenevano apertamente la Nazionale olandese (che ha vinto 2-0). Dragan Stojkovic su The Blizzard ha ricordato: "L'allenatore olandese Leo Beenhakker in conferenza stampa ha detto che non sapeva che l'Olanda avesse tanti tifosi da quelle parti […] Noi in squadra non abbiamo mai avuto problemi, né discusso o scherzato su queste cose."

Non si può parlare di Jugoslavia, oggi, senza what if. Di formazioni possibili ce ne sono quante volete, e basta pensare anche un po' a caso ad alcuni giocatori il cui cognome finisce in “-ic”, e aggiungere Dzeko, per rendersi conto del potenziale (alcuni poi, basandosi esclusivamente sui geni, si spingono a includere Ibrahimovich o svizzeri di origine kosovara tipo Behrami e Xhaka; volendo anche Januzaj potrebbe rientrare in una “Jugoslavia immaginaria”). Ma già Jugoslavia di Italia '90 aveva in rosa una quantità impressionante di talenti e la generazione più giovane (tra cui l'escluso Boban) aveva vinto il Mondiale Under 20 in Cile nel 1987 (il capocannoniere era stato un certo Davor Suker).

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La ragione personale per cui ho scelto proprio Jugoslavia-Argentina è la sfida tra quello che mi è stato detto essere il più grande numero 10 della storia del calcio: Diego Armando Maradona, che però non ho avuto la fortuna di vedere al proprio massimo se non registrato; e quello che era uno dei miei giocatori preferiti all'epoca e che tutt'ora è uno dei più grandi dieci che abbia mai visto giocare: Dragan Stojkovic, appunto. Per alcuni Stojkovic era proprio il “Maradona dell'Est” ma il suo vero soprannome era “Piksi”: per via del cartone animato che da piccolo voleva vedere a tutti i costi interrompendo le partite sotto casa. Nell'estate del 1990 Stojkovic aveva già fatto impazzire il Milan con la maglia della Stella Rossa agli ottavi di finale di Coppa Campioni ed era stato acquistato dall'Olympique Marsiglia in cui c'erano Waddle, Papin, Abedì Pelé… Cantona… aveva 25 anni ed era pressoché impossibile togliergli la palla.

Di video calcistici con brutta musica ne ho visti parecchi. Ma di mash-up tra una collezione di dribbling e la colonna sonora di un video subacqueo sulla barriera corallina, mai.

Prima della partita con l'Argentina, Stojkovic aveva segnato entrambi i gol nel 2-1 con la Spagna di Butragueno, il secondo una punizione perfetta a tempo ormai scaduto. Contro l'Argentina mi sembra giochi come secondo attaccante al fianco di Vujovic (che aveva 32 anni), libero però di andare più o meno dove vuole. Maradona fa coppia con Caniggia e svaria di meno di Stojkovic in ampiezza. A differenza della partita con la Spagna non c'è Darko Pancev e ho l'impressione che Osim, l'allenatore jugoslavo, abbia aggiunto un difensore alzando Sabanadzovic a centrocampo per marcare Maradona quando viene tra le linee. Va detto comunque che è difficile capire con esattezza la forma delle due squadre dato che entrambe marcano a uomo praticamente a tutto campo (un'altra cosa che rende difficile l'analisi è che alcuni giocatori non li conosco per niente). Stiamo parlando di quasi venticinque anni fa.

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La prima occasione è per la Jugoslavia con un esterno di immensa classe di Susic per Jozic, che di collo davanti a Goicoechea spara alto (14:45). Due minuti dopo (16:40) Maradona risponde con un esterno al volo dalla fascia con cui prova a a scavalcare i centrali jugoslavi e servire Caniggia a due metri dalla porta, ma Spasic ci arriva di testa.

Di Stojkovic per ora ho visto una bella accelerazione palla al piede con cui si lascia alle spalle Caniggia (5:50), un cambio di campo (7:15) e un tocco di esterno al limite della propria aerea che con cui si guadagna una gomitata da un argentino in pressing (11.10). Un secondo cambio di campo sul lato debole argentino (23:40) arriva sui piedi di Prosinecki che punta 1vs1 il diretto avversario e calcia in diagonale di poco fuori (e le accelerazioni di Prosinecki sono forse un altro buon motivo per guardare questa partita).

“Piksi” nel mio immaginario è sopratutto il maestro di questo tipo di cose, dei dribbling difensivi con cui tornava indietro, spostando l'equilibrio delle difese avversarie, correndo anche parecchi metri palla al piede verso la propria porta, prima di passarla a un compagno in un punto cieco che solo lui poteva vedere. Un esempio di dribbling difensivo si vede a metà del primo tempo (40:00): Stojkovic controlla di esterno un passaggio dalla difesa, lo aggrediscono in due, lui si accentra attirando un terzo avversario, allora si gira e accelera sulla fascia guadagnando un fallo laterale.

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Questo disegno vuole illustrare la differenza tra il suo stile e, ad esempio, quello di Arjen Robben, per dire che comunque anche io rimpiango qualcosa dei vecchi tempi; non sono un estremista del modernismo. Se non vi piace come disegno è un altro discorso.

Ad ogni modo dopo mezzora (32:05) Sabanadzovic viene espulso per aver inseguito Maradona e avergli dato almeno un altro calcio prima di quello che gli è valso il secondo giallo (era già stato ammonito perché non aveva rispettato la distanza in barriera….). Anche Stojkovic aveva fatto ammonire il suo uomo, Serrizuela, con una piroetta (21:10) e più avanti farà ammonire Olarticoechea (43:20), ma da quel momento in poi la partita si è giocata 11vs10. Nonostante ciò la squadra migliore in campo è decisamente la Jugoslavia.

Stojkovic salta secco Ruggieri sulla fascia e mette dentro per Susic che controlla male (1:00:00). Dall'altra parte Maradona triangola di esterno con Caldéron (1:05:35) e una bella azione corale argentina a metà secondo tempo (1:22:40) manda al tiro Ruggieri per quella che è la loro prima vera occasione.

(Già scrivendo di Michael Laudrup nel '98 avevo accennato alla qualità del suo esterno e adesso credo di poter dire che il numero di passaggi di esterno è un buon indice per calcolare la qualità di una partita di calcio. Per carità, mi sto annoiando a morte a guardare questa partita, ma se ci penso non ricordo un solo passaggio di esterno in Chelsea-Atletico Madrid che invece mi ha intrattenuto come la febbre a 39° intrattiene il corpo che la ospita.)

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Ma la palla gol più limpida di tutta la partita è quella terminata sui piedi del subentrato Savicevic (e, voglio dire, ci sono piedi peggiori) nel primo tempo supplementare (1:44:30). Stojkovic su un cambio di fronte si trova sulla sinistra 1vs1 con Simon: entra in area e minaccia l'interno per poi bruciare Simon sull'esterno, arriva sul fondo a tutta velocità e tira il freno a mano sulla linea mandando Simon in scivolata fuori dal campo (un'altra cosa di cui forse ci hanno privato l'atletismo e i palloni ultraleggeri è “la frenata sulla monetina”, la possibilità, cioè, di interrompere la propria corsa praticamente sul posto, specialità anche questa di “Piksi”). A quel punto serve rasoterra Savicevic che ha tagliato sul primo palo ma è messo male col corpo e calcia alto.

Chi non ha voglia di riguardarsi tutta la partita almeno questo deve vederlo.

Maradona (1:54:40) prova a strappare i riflettori e a portarsi tutta la luce a casa quando al limite dell'area stoppa di petto un lancio lungo, controlla con la suola schiacciando la palla a terra e, sul rimbalzo, si inventa un filtrante di tacco per l'inserimento di Burruchaga. Se la palla fosse passata staremmo forse parlando di uno degli assist più belli della storia. Sul cambio di fronte Stojkovic triangola con Prosinecki, sovrapponendosi dall'interno verso l'esterno. Lo segue ancora Ruggieri, Stojkovic se ne libera facendo una pausa lunga una frazione di secondo, frena la corsa mettendo la suola sul pallone ma, senza soluzione di continuità, se l'allunga con l'interno dell'altro piede. Trovato lo spazio crossa per Savicevic, ma il colpo di testa stavolta era difficile, con la palla bassa che aveva toccato terra prima di arrivare a lui. L'Argentina rischia di vincere la partita di nuovo quando Maradona viene pescato tutto solo in area da Giusti (2:08:50) ma si fa recuperare e poi lamenta un dolore al ginocchio. Insomma, non era il Maradona di quattro anni prima.

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Alla fine viene anche annullato un gol a Burruchaga ma non ho capito perché (mano?) e si va ai rigori. Il primo a tirare è Stojkovic, che colpisce la traversa. Il commentatore americano dice: “Se c'è un giocatore che non meritava di sbagliare il rigore era Stojkovic.” Anche Maradona sbaglia il suo (basso e centrale, bloccato addirittura) ma alla fine vince l'Argentina.

Un gol alla Maradona davvero. Qui

se volete c'è un calcio d'angolo che finisce sotto l'incrocio.

Pochi mesi dopo il Mondiale Stojkovic si infortuna e le cose andranno talmente per le lunghe che al momento di farsi operare una seconda volta pensava: “Se il dolore non sparisce dovrò smettere e dire: Grazie molte ma io preferisco andare a pesca.” Durante la finale del 1991 tra la sua ex Stella Rossa e l'OM entra nel secondo tempo e quando l'allenatore Gili gli chiede di tirare il rigore si rifiuta per non farsi odiare dai francesi in caso di errore, e dai suoi connazionali se avesse segnato. Quando l'OM viene mandato in Ligue 2 perché Tapie corrompeva i giocatori avversari, nel 1994, Stojkovic decide di accettare l'offerta del Nagoya Grampous Eight.

Così “Piksi”, a ventinove anni, finisce in Giappone. Appena arrivato ha dovuto familiarizzare con una cultura calcistica differente: “Ho dovuto spiegare ai miei compagni che quando ho la palla io tutto è possibile. Non sorprendetevi. Correte e la palla vi arriverà. Non restate fermi a guardarmi” (lo dice sempre su The Blizzard, ma in un'intervista sullo speciale della scorsa estate di So Foot dice una cosa simile: “Quando sono lontano dalla porta non posso fare molto. Ma se voi correte, se mi aiutate con i vostri movimenti, posso passarvi la palla in punti che non avreste potuto neanche immaginare”).

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Nel 1995 Arsene Wenger allena il Nagoya e quando se ne va due stagioni dopo prova a portarlo con sé all'Arsenal. “Sei uno dei tre giocatori migliori che abbia allenato, insieme a George Weah e Glenn Hoddle,” ricorda che gli diceva Wenger. “E a quel punto io gli chiedevo: 'Ok, ma chi è il migliore in assoluto?' Non mi poteva rispondere e allora diceva: 'Tutto quello che so è che non ho mai visto un giocatore con tanta tecnica'.”

Stojkovic salterà come tutta la Jugoslavia il Mondiale del '94 e l'Europeo del '96 ma giocherà il Mondiale del '98 e l'Europeo del 2000. Il percorso di Italia '90 però resta unico e in questo senso la fine della Jugoslavia combacia con la fine di Stojkovic (non sto dicendo che in Giappone non abbia continuato a far vedere cose egregie, anzi: non potete non cliccare qui).

Direttamente dalla panchina. Non so voi, ma io una cosa del genere…

Una volta finito di giocare (nel 2001, a 36 anni) Stojkovic è stato per un po' presidente della Federazione Serba (in un contesto corrotto a un livello per cui il suo Segretario Generale è stato ucciso davanti all'entrata dei loro uffici) e della Stella Rossa, prima di tornare in Giappone nel 2008 ad allenare il suo Nagoya: “Mia moglie e i miei figli si trovano bene e la gente qui è molto rispettosa. A differenza dell'Europa.” Da allenatore ha predicato un calcio offensivo per cui è stato persino indicato da Wenger come suo possibile erede all'Arsenal. La sua filosofia è la seguente: “Voglio che la gente tornando a casa si dica: 'Sì il Nagoya ha perso, ma ha giocato davvero bene.' Questa sarebbe la mia soddisfazione.” Nel 2010 ha vinto la J-League, poi dopo un biennio di declino, lo scorso dicembre, ha smesso di allenare. Continuando a vivere in Giappone. A Nagoya ha anche una strada a suo nome e la Toyota, fondatrice del club, ha chiamato un'auto “Pixis”. A Belgrado invece nel 2012 gli hanno tirato una bomba in casa, anche se non c'era.

Non ci sono prove e neanche indizi al riguardo, ma il mio sogno sarebbe vederlo al posto di Zaccheroni sulla panchina della Nazionale giapponese, dopo il Mondiale ovviamente. Ricollegherebbe i fili con il suo tecnico di Italia '90: Ivan Osim, che ha allenato il Giappone nel 2006.

Il Mondiale italiano è stato vinto dalla Germania appena riunita e il simbolismo è molto forte se si pensa che nel dicembre di quello stesso anno Slovenia e Croazia voteranno l'indipendenza tramite referendum. L'Europeo del '92, poi, è stato vinto dalla Danimarca che prese il posto proprio della Jugoslavia in guerra, è normale chiedersi cosa sarebbe successo se avessero partecipato.

Ripensando a Italia '90, Ivan Osim si fa una domanda leggermente diversa (intervistato da Jonathan Wilson per Sports Illustrated): “Forse sono ottimista, ma mi illudo chiedendomi cosa sarebbe successo se la Jugoslavia avesse giocato la semifinale o la finale, cosa sarebbe successo al paese. Magari non ci sarebbe stata la guerra se avessimo vinto la Coppa del Mondo. Non credo che le cose sarebbero andate davvero così, ma a volte fantastico su come sarebbero potute andare.

Segui Daniele su Twitter: @DManusia