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Musica

Cinque anni di Posh Isolation e tredici torce da accendere

Se c'è un esempio vivo e vitale di gente che ama sbattersi per la musica underground, è la label danese Posh Isolation. Ci siamo fatti raccontare la loro storia in prima persona.

Il 16 e il 17 maggio scorsi, The Church Of York (un negozio di dischi di LA) e l’etichetta danese Posh Isolation hanno presentato a Los Angeles 13 Torches For a Burn. Era il compleanno di Posh Isolation e l’idea era di fare un po’ di festa con tredici delle band più significative della scena noise e hardcore danese. Una scena vivissima, che Posh Isolation ha contribuito a far crescere nel corso degli anni. Alla festa erano presenti grandi nomi tipo Iceage, Puce Mary, Croatian Amor, Lower e Lust For Youth.

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Abbiamo avuto la fortuna di scambiare qualche mail prima del festival con Loke Rahbek e Christain Stadsgaard, fondatori di Posh isolation, con cui abbiamo parlato della storia dell’etichetta e della loro decisione di investire così tante energie su questo progetto. Abbiamo parlato di un sacco di cose che potete leggere per intero qui sotto.

VICE: So che avete in programma un evento ufficiale al Mayhem Fest per festeggiare il quinto compleanno della vostra etichetta. Sarà un evento abbastanza epocale per la scena punk/noise/electro/hardcore ecc. ecc. di Copenaghen. Perché dunque un altro party a Los Angeles? È un altro modo di festeggiare il compleanno? E soprattutto, perché proprio a LA? Da fuori sembrerebbe quasi che più di una band (tipo i Loke) abbia delle affinità elettive con la città. Ad esempio, ci sono i Lust For Youth che hanno girato il loro ultimo video proprio a LA, dove hanno collaborato anche con Cali Lewitt. O ancora c’è quel pezzo dei Croatian Armor, “LA Hills Burn At The Peak Of Winter”. Tutta questa presenza di Los Angeles nella vostra storia recente è voluta o è del tutto casuale? Si potrebbe pensare che i tramonti e le palme della West Coast non siano che uno dei tanti elementi—di cui la musica è il principale—a comporre il vostro immaginario, che stride tantissimo con Copenaghen e tutto il resto.

Loke & Christian: In realtà il mood di questi due eventi è piuttosto diverso. La serata di Copenaghen sarà una cosa super familiare e ci saranno le persone che sono da sempre vicine all’etichetta. Insomma, una cosa tipo party tra amici. È vero però che negli ultimi tempi un sacco di band hanno suonato in giro per l’America e hanno ormai strettissimi rapporti con le realtà che stanno oltreoceano. Penso ad Ascetic House, Sacred Bones, Cult of Youth, Pharmakon, Nothing Changes, Hoax, Zen Mafia, Death Shadow. Poi è nata questa cosa con The Church of York, ed eccoci qui. È chiaro che, una volta che i ragazzi di The Church ci hanno proposto di organizzare un evento assieme, la nostra risposta non poteva che essere positiva. Poi, certo, lavorare con persone che conosciamo e che ci seguono dall’altra parte del mondo non può essere che una figata.

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Loke Rahbek: Los Angeles è un posto davvero strano, forse uno dei più strani in cui sono stato nella mia vita. Non so ancora dire se è una città che amo o che odio. Fatto sta che ogni volta che ci vado mi capitano delle cose assurde.

Christain Stadsgaard: Jean Baudrillard una volta disse che LA non era poi così diversa da Disneyland e credo che in fondo avesse ragione. Ci ho pensato proprio l’ultima volta che ci sono stato (ero in tour con il nostro progetto Damien Dubrovnik): stare a Los Angeles è un po’ come trovarsi dentro un flipper. È una città che si fonda su un orizzonte simbolico articolato: c’è l’industria cinematografica e la sua ombra lunghissima che si allunga un po’ su tutto, ma anche la retorica del “farcela ad ogni costo”. Poi c’è quell’infinita rete autostradale che avvolge la città, insomma, chi passa da Los Angeles non può ovviamente restarne indifferente.

Noisey: Raccontatemi qualcosa sulle origini dell’etichetta. Qual è il vostro mito fondativo? Ma soprattutto, come nasce il vostro rapporto? Quando vi siete conosciuti? Quand’è che è nata l’idea di lavorare assieme, sia per fare musica che business? È interessante, per esempio che il primo 12” uscito per Posh Isolation For Loviatar fosse un disco dei Damien Dubrovnik. Lo scopo principale di fondare la Posh era quello di promuovere e distribuire la vostra musica?

Loke & Christian: Come per quasi tutte le label DIY, l’idea iniziale era quella di pubblicare le nostre cose, a quel tempo in Danimarca non c’erano molte etichette discografiche, quindi decidemmo di fondare la nostra anziché andare a cercarne una altrove. Quando cominciammo a pubblicare le prima cose, non c’era nulla in Danimarca che potesse assomigliare a una “scena musicale”. Meglio, nel primo anno di attività, a lavorare per Posh c’eravamo di fatto noi e il nostro amico Klaus Hansen, avevamo diversi progetti in corso, sperimentavamo, cercavamo nuove angolature. Nel frattempo la situazione è cambiata parecchio, le persone hanno cominciato ad appassionarsi al progetto e ne è nata una vera e propria community. Poi va be’, la nostra posizione non è mutata granché: supportiamo i musicisti che ci sembrano più meritevoli e che ci colpiscono di più.

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Loke: Io e Christian ci siamo incontrati un sacco di tempo fa a Copenaghen, durante un concerto di musica noise. Christian si occupava dell’organizzazione di eventi noise già da parecchio, io non sapevo nemmeno che cosa fosse il noise. Non saprei dire che cosa ci ha spinto a registrare per la prima volta, forse il solo fatto che non ci fosse nessun altro a farlo.

Christian: Entrambi avevamo una mentalità DIY molto radicata e credo fosse un po’ per questo che l’idea di fondare un’etichetta non c’è sembrata così strana. Mi piacerebbe un sacco che la nostra label possa essere d’esempio per molte altre persone in giro per il mondo. Siamo stati fortunati perché nostre vite si sono incrociate al momento opportuno. Quando ci siamo conosciuti avevamo entrambi bisogno di nuovi stimoli e fu proprio questo che ci ha portato a pensare Posh Isolation. Non avevamo idea di cosa sarebbe successo poi, avevamo solo bisogno di sperimentare di aprire nuovi orizzonti, ecco perché, in fin dei conti, nulla di quel che ci è capitato ci ha davvero stupito.

C’è chi dice che il nome della vostra etichetta sia stato tratto dal pezzo dei Belle and Sebastian “The Boy With The Arab Strap”, dove a un certo punto si sente “Anything is better than posh isolation”. Ci potreste spiegare le ragioni di questa scelta? In fondo, tra la musica che distribuite (e che amate) e questo riferimento, sembra esserci una distanza incolmabile. Nemmeno io ho un’idea precisa a riguardo: da una parte, mi fa strano pensare che vi siate ispirati a una band così twee; dall’altra mi sembra che tutto si tenga e che la vostra scelta rientri perfettamente nella logica di Posh.

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Loke & Christian: Sì, hai ragione: il nome dell’etichetta l’abbiamo preso da quel pezzo dei Belle and Sebastian. Detto questo, rimane pur sempre un nome, che come ogni cosa può avere un milione di significati, o semplicemente non voler dire nulla.

Quand’è che avete deciso di aprire anche un negozio tutto vostro e che impatto pensate possa avere avuto sulla piccola comunità che a Copenaghen ruota attorno alla musica? Mi chiedevo anche se l’idea fosse quella di creare un vero spazio per la scena musicale danese, che peraltro è piuttosto produttiva. A livello di etichette, ci sono altre realtà molto attive e a cui l’America guarda con interesse?

Loke & Christian: L’idea di aprire uno store ci è venuta molto tempo prima di riuscire a realizzarla. Sai, era una di quelle cose di cui parlavamo ogni tanto, ma che poi continuavamo a rimandare perché avevamo già troppe cose da fare. A un certo punto ci siamo resi conto che lo spazio per aprirlo c’era, bastava solo sbrigare qualche faccenda burocratica e avremmo potuto iniziare a chiamare quel non-luogo “negozio”. Nelle piccole comunità come le nostre è indispensabile avere uno spazio fisico dove ritrovarsi. Dove le persone possono conoscersi, scambiarsi le idee, o anche solo comprare un disco e cazzeggiare un po’. Abbiamo voluto fare di questo posto qualcosa di più di un semplice negozio. È di più: è un bar, una community, una dark room. Non ci sono moltissime label che operano a Copenaghen per il momento, l’ultima arrivata, che è anche forse quella più interessante, si chiama Blodrøde Floder. Per ora hanno prodotto solo tre dischi, ma sono riusciti già a costruirsi un’identità solidissima. Sono davvero bravi, e secondo me potrebbe valere la pena seguirli.

È un caso che i dischi che escono per la vostra etichetta riflettano le vostre inclinazioni musicali? Si potrebbe pensare che dietro ci sia una poetica fortissima. E come vi regolate con tutto quello che ruota attorno alle release, dalla comunicazione all’artwork?

Loke & Christian: È molto semplice. Ci sono cose che sono adatte a Polish Isolation e cose che non potranno mai esserlo. È un confine molto labile, difficile da descrivere con precisione, ma è sempre andata così e ne siamo ormai consapevoli. Noi non sognamo di diventare un’etichetta discografica nel vero senso della parola, anche se in realtà, la maggior parte del lavoro che facciamo è identico a quello di qualsiasi altra label. Tutti gli aspetti che accompagnano l’uscita di un disco ci hanno sempre interessato tantissimo, richiedono tutti molta cura, non basta un’idea, o un beat, un riff o una linea di basso che spacca, c’è molto di più. Vogliamo che la musica che facciamo uscire noi rifletta proprio questo.

Come vi immaginate il futuro della vostra etichetta, musicalmente e non solo? Ho l’impressione che la vostra capacità di fare crescere questo progetto risieda più nella vostra tenacia e nella vostra passione che in un atteggiamento di posh isolation [in inglese: "isolazione snobistica", quindi tipo "tirarsela un casino" n.d.t.]. Che cosa ne pensate? Che cos’è che vi piacerebbe fare di più nei prossimi anni?

Loke & Christian: Vogliamo continuare a fare quello che stiamo facendo. Ma vogliamo farlo meglio e farne molto di più. Vogliamo che il nostro lavoro sia una sperimentazione continua.