FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

Piccola guida pratica al cannibalismo

Regola fondamentale: non mangiare mai il cervello.

Che voi abbiate letto o no Moby Dick, ne conoscerete certamente la storia: quella di un uomo nevrotico e completamente ossessionato da una fottuta balena. Ok, niente di particolarmente sexy. Ma c'è qualcosa di più romantico, la storia vera a cui Moby Dick è ispirato: quella dell'Essex, una baleniera naufragata dopo l'attacco di un capodoglio nel 1821, i cui sopravvissuti si sono letteralmente divorati gli uni gli altri per sopravvivere. Il colmo è che l'equipaggio si era perduto in mare cercando di allontanarsi da un arcipelago conosciuto per le tendenze al cannibalismo dei suoi abitanti. Il destino a volte è davvero infame.

Pubblicità

E visto che le disgrazie non sono mai casuali, il primo a morire è stato il membro dell'equipaggio incaricato di razionare il cibo. Dieci giorni dopo il lancio del suo corpo in mare, un secondo membro dell'equipaggio è passato a miglior vita. È stato quello il momento in cui i quindici restanti hanno deciso di varcare il confine tra l'uomo e la bestia. Cucinato con quanto restava a bordo, il cadavere del poveretto ha riempito gli stomaci affamati dei sopravvissuti. Nel giro di una settimana, altri quattro di loro sono stati divorati. E quando la morte ha smesso di colpire, i sopravvissuti si sono ritrovati a guardarsi negli occhi con gli stomaci svuotati. Dopo una decina di giorni, è stato superato un altro limite: si è tirato a sorte chi sarebbe morto per essere mangiato.

Consumato anche questo orrore, non restava più tanta gente sull'imbarcazione. Uno dei pochi sopravvissuti, Owen Chase, scrisse le sue memorie e le trasmise a suo figlio che incontrò Herman Melville, l'autore di Moby Dick. Oltre ad aver ispirato una delle opere più celebri della letteratura americana, la storia dell'Essex pose non poche problematiche sulla natura umana e su quello che si è in grado di fare per sopravvivere di fronte alla fame. Secondo Georges Guille-Escuret, autore della trilogia Sociologia comparata del cannibalismo e vero specialista dell'argomento, la vastità dell'oceano è un luogo ideale per scoprire la propria anima di mangiatori di uomini: "I casi di cannibalismo in situazioni di fame sono particolarmente frequenti in ambito marittimo. In effetti, quando ci si ritrova in una scialuppa nel bel mezzo dell'oceano, ovvero in un luogo particolarmente inospitale, la sola cosa da mangiare sono gli altri esseri umani. Inoltre si può dire che in ambito navale c'è una vera e propria predisposizione culturale al cannibalismo."

Pubblicità

Certo, in una situazione normale sarebbe impensabile mangiare un collega di lavoro, o peggio, tirare a sorte chi finirà arrostito. Ma domandatevi: sareste pronti a uccidere un vostro simile per non morire di fame? Se sì, da quale parte del corpo comincereste il banchetto? E poi ancora: come lo cucinereste?

Ci sono diversi modi di cucinare la carne, e quella umana non sfugge alla regola. "Ci sono tante ricette per cucinare la carne umana quante sono quelle per cucinare il maiale. Alcuni la fanno bollita, altri arrosto… L'uomo, insomma, si cucina come il maiale, anche perché le carni sono molto simili: entrambe bianche, grasse e di animali onnivori; il gusto, a quanto pare, è molto simile." Anche se non esiste un libro di ricette consacrato alla cucina antropofaga, si può constatare come, storicamente, la fantasia nel campo si sia sbizzarrita. Il tristemente celebre Albert Fish, per esempio, aveva l'abitudine di inserire delle carote o delle salsicce negli orifizi delle sue vittime, un po' come si fa con la carne farcita. Armin Meiwes, il "cannibale di Rotenbourg", aveva saltato in padella il pene della sua vittima consenziente.

La preparazione della carne—macellazione, cottura e condimento—è evidentemente una parte essenziale del consumo di essa. Issei Sagawa, cannibale giapponese, ne ha conosciuto la frustrazione mordendo direttamente il sedere della sua vittima appena assassinata. Strappare della carne viva con la semplice forza dei propri denti non è di certo facile, e la mascella umana non è fatta per dilaniare la carne cruda. A parte i casi in cui il cannibalismo è segno di grave psicopatologia, le culture antropofaghe usano dei metodi culinari piuttosto classici e le ricette seguono l'eredità culturale in questione: al ragù in Africa centrale, alla brace nel Pacifico del Sud e al girarrosto in Malesia. Se i francesi fossero culturalmente antropofagi, ci sarebbero elevate possibilità di degustare una nonna alla borgognona.

Pubblicità

Il giapponese Issei Sagawa, che ha ucciso e in parte divorato uno studente olandese a Parigi nel 1981, è senza dubbio il cannibale contemporaneo più celebre. Foto : VICE.

Ovviamente, smarriti nel bel mezzo dell'oceano, non avrete per forza occasione di scegliervi il condimento; anzi è molto probabile che vi dobbiate accontentare della carne cruda e che dobbiate consumarla il più rapidamente possibile prendendo tutte le precauzioni del caso per non lasciarci le penne, perché in determinate condizioni i corpi vanno a male piuttosto in fretta. "Il corpo umano non è un alimento completo, non ci si può nutrire esclusivamente di esso," spiega Georges Guille-Escuret. "Si ha, come minimo, bisogno di acqua. Prendiamo ad esempio il celebre caso dell'incidente aereo sulle Ande: i sopravvissuti sono effettivamente rimasti in vita grazie all'antropofagia, ma avevano anche accesso all'acqua potabile."

A meno che non troviate miracolosamente un modo rivoluzionario di trasformare l'acqua salata in acqua dolce, rischiate comunque di morire disidratati. Anche se ai fan della saga di Twilight potrebbe sembrare una trovata esaltante, bere il sangue dei vostri compagni di viaggio non è una buona idea. Il sangue, che sia umano o no, contiene molte proteine e nutrienti, difficili da digerire per l'organismo. Potreste farlo cuocere per denaturare le proteine, ma se potete evitatelo. Nel migliore dei casi sarete ancora più disidratati, nel peggiore vi ammalerete. Certo, molte culture fanno del consumo di sangue una tradizione e in certi villaggi francesi, fino all'inizio del secolo scorso, si faceva bere un bicchiere di sangue di bue o di cavallo ai bambini, una volta a settimana, per rinforzarli. Ma bere trenta centilitri di sangue animale quando si è idratati e nutriti a sufficienza, e quando si hanno delle medicine a disposizione in caso di cattiva reazione, è del tutto diverso dal consumare il sangue di un cadavere essendo deboli, disidratati e malnutriti.

Pubblicità

Per le stesse ragioni, evitate gli organi che contengono troppo sangue—il cuore, innanzitutto. Prima di divorare i vostri amici, salassateli più che potete. Più la carne è intrisa di sangue, più c'è il rischio di ingerire tossine. "Evitate anche lo stomaco, potreste ritrovarvi a mangiare dei succhi gastrici di un'acidità terribile," consiglia Georges Guille-Escuret. Nelle vecchie società cannibali asiatiche si preferiva il fegato, presso gli aztechi il cuore… Ma è una questione prettamente culturale. In caso si ingerisca carne umana con il solo obiettivo di sopravvivere, non c'è nessun motivo in particolare per privilegiare queste parti del corpo."

A parte i rischi legati all'ingestione di emoglobina, il consumo di carne umana pone dei problemi simili a quelli di una vacca nutrita con farine animali. Come per gli animali, l'usura del sistema nervoso provoca un accumulo di proteine patogene (i prioni), che portano allo sviluppo di una encefalopatia spongiforme—un gruppo di malattie che vanno dall'insonnia cronica alla malattia di Creutzfeldt-Jakob. In poche parole, si tratta di un ammorbidimento—letterale—del cervello. In parole povere, il cervello diventa molle e spugnoso, e i neuroni muoiono. L'individuo interessato—che sia umano, ovino o bovino—va a perdere le funzioni essenziali del suo apparato nervoso: soffre di demenza, diventa incapace di coordinare i movimenti, soffre di crisi epilettiche e di problemi alla vista, di spasmi e tremori muscolari (la famosa "mucca pazza").

Pubblicità

Sappiamo che questa malattia esiste anche per gli uomini, perché una tribù antropofaga della Papuasia è stata completamente decimata da questa malattia negli anni Sessanta. La tradizione consisteva nel mangiare i propri parenti morti al fine di acquisirne la forza fisica e spirituale. Dopo i 2500 morti, la pratica del cannibalismo è stata vietata. L'ultimo morto di questa malattia risale al 2003, ma la contaminazione del paziente era datata negli anni Sessanta. L'incubazione poteva, infatti, durare anche cinquant'anni.

Da questa storia si possono trarre delle conclusioni molto istruttive. Da una parte, gli uomini della tribù sono stati molto meno toccati per la semplice ragione che consumavano per lo più i muscoli, lasciando gli organi, e soprattutto il cervello, alle donne e ai bambini. Se vi doveste trovare nel bel mezzo dell'oceano, potendo scegliere quale parte mangiare, evitate il cervello. Potete anche giocare alla roulette russa mangiandolo comunque, ma passerete il resto della vostra vita ad aspettare l'incombere dei sintomi di una malattia in incubazione da decenni.

L'altro punto importante è che si è scoperto da qualche anno che le donne sopravvissute all'epidemia avevano sviluppato una mutazione genetica che le rendeva immuni alla malattia. Un caso spettacolare di evoluzione darwiniana ultra-rapida, che è stata poi riprodotta in laboratorio su dei topi. Non è stata ancora trovata nessuna applicazione medica di questa scoperta, ma comprendere il meccanismo che spinge l'organismo a proteggersi contro le malattie neurodegenerative potrebbe, in futuro, aiutare a prevenire più efficacemente l'Alzheimer o il Parkinson.

Resta da stabilire chi mangiare. Tirare a sorte sembra una soluzione fattibile, ma bisogna pensare prima di tutto a massimizzare le vostre possibilità di sopravvivere. Se uno degli individui soffre di cancrena generalizzata, meglio non mangiarlo. Se volete ucciderlo per placare le sue sofferenza fate pure, ma non mettetevelo nello stomaco. Al contrario, se non vi restano che due compagni d'avventura non ha senso uccidere quello più in forma per consumarlo insieme a quello malaticcio. Ma comunque, uccidere un tipo scheletrico quando si ha un uomo ben piazzato a disposizione, forse non è così giudizioso.

Potete sempre cercare di non cedere alle tentazioni antropofaghe. "Non tutte le condizioni di fame creano necessariamente delle situazioni di cannibalismo" ricorda Georges Guille-Escuret. "Alcune predisposizioni culturali facilitano più di altre il consumo di carne umana. In una cultura in cui il corpo è sacralizzato, si evita il più possibile di cacciarsi in situazioni del genere." La società occidentale è particolarmente sensibile al cannibalismo, da una parte perché farsi una scorpacciata di carne umana va contro ogni principio cristiano, dall'altra parte perché evoca la parte più bestiale della natura umana. "Queste storie vengono spesso esagerate, si amplifica la violenza e l'orrore. Servono a creare dei miti. Prendete George H.W Bush, di cui si racconta che i compagni furono catturati e divorati dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale."

Comunque sia, se finirete per masticare una delle persone che vi circondano, non preoccupatevi. Salvo qualche mito hollywoodiano, il consumo di carne umana non crea dipendenza: non è che se mangiate un vostro amico diventate automaticamente degli orchi alla costante ricerca di carne fresca. Relativizzate, e soprattutto ricordate le parole di Jean Rigaux: "Un cannibale è solo un uomo che ama il prossimo condito con della salsa."