NO PANTS DAY

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Mutande brutte e giornalisti: sono andato al "No Pants Day" di Milano

Ieri, a Milano, un po' di persone senza pantaloni e un po' di giornalisti coi pantaloni si sono ritrovati per fare un giro in metro. C'ero anche io.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

In un certo senso è grazie ai nostri antenati, che hanno iniziato ad agghindarsi con pellami vari per non estinguersi, se ieri un po' di gente a Milano ha potuto sfoggiare le proprie mutande migliori e fare un giro in metro sfidando le temperature polari. Ed è grazie ad altri antenati, quelli che hanno inventato la comunicazione scritta, se io sono venuto a saperlo e ho deciso di seguirli.

Il tutto ovviamente non è successo a caso. L'occasione era il "No Pants Subway Ride," una sorta di flash mob nato nel 2002 a New York che si tiene ai primi di gennaio in più città del mondo.

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Del "ritorno dell'evento," che "consiste nel togliersi i pantaloni una volta saliti sui treni della metropolitana" aveva parlato qualche giorno prima La Repubblica Milano, mentre la certezza che si sarebbe svolto è giunta quando sulla pagina ufficiale una settantina di persone ha confermato la partecipazione. Per capire se effettivamente si sarebbero presentati tutti e sondare le motivazioni che li avevano portati fin lì, sono andato a curiosare munito di macchina fotografica. Non avrei trovato granché e nemmeno belle mutande, ma quello l'avrei scoperto dopo.

Tutte le foto dell'autore.

Puntuale arrivo alle 14 in Piazza Leonardo da Vinci, un punto di ritrovo probabilmente scelto per l'ambiguità molto in tema che ha contraddistinto il personaggio a cui la piazza è dedicata. La prima cosa che noto in lontananza è che il numero dei partecipanti non è granché dissimile da quello che avevo letto su Facebook. Avvicinandomi, però, noto che la metà è composta da giornalisti muniti di attrezzature microfonate o macchine fotografiche come me. Evenienza che avrei dovuto prevedere a priori, data la mia esperienza in tema di eventi che sembrano creati apposta per continuare a dare speranza alla categoria più fustigata del globo.

Dopo essermi rattristato per aver ricevuto un "Perché no?" dall'organizzatore dell'evento Niccolò alle mie perplessità sui motivi che lo hanno spinto per il settimo anno consecutivo a pianificare il "No Pants Subway Ride," mi distrae un obiettivo puntato sulla faccia. È parte dell'armamentario di Chin e Jake, due ragazzi che lavorano per una web tv "che fa da ponte tra l'Italia e la Cina."

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L'autore e alcuni dei giornalisti presenti.

Mi spiegano che per loro documentare una manifestazione del genere è indispensabile perché nel loro paese non è permessa—una confessione che mi rattrista ancora di più per aver titubato sull'iniziativa e su Niccolò, permettendomi tra l'altro di capire meglio perché gran parte degli arti inferiori che avrei visto sarebbero appartenute ai corpi dei loro conoscenti.

Per fortuna, a tirarmi subito su di morale ci pensano gli altri presenti. Tutti quelli con cui parlo mi dicono che hanno deciso di aggregarsi perché sembrava "un buon modo per incontrare nuove persone e farsi quattro risate." Anche se non tutti la pensano così. Per esempio Rose, una ragazza di Berlino in vacanza, mi spiega che è da anni che vorrebbe partecipare a un flash mob di questo tipo, perché per lei è "una delle massime espressioni per perorare la necessità di totale libertà nel mondo."

Nel frattempo la comitiva, composta per lo più da ventenni, è pronta a varcare la soglia della linea verde a Piola. Tutti si guardano un po' spaesati perché le direttive su come dividersi in due gruppi non sembrano molto chiare, ma molto più probabilmente si tratta di sguardi in cerca di conforto perché ormai è troppo tardi per ripiegare. Il piano è in apparenza molto semplice: entrare nel secondo o nel penultimo vagone della metro e togliersi i pantaloni, senza particolari proclami. In caso di interessamento da parte dei presenti, la consegna è quella di rispondere che "fa caldo" o fare i finti tonti.

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L'interessamento, ovviamente, non tarda a manifestarsi: "Oh, signur!"—esclamazione di stupore prettamente milanese— è il primo commento che sento nitidamente nella calca della domenica. Altri tirano subito fuori gli smartphone, preparandosi al racconto dell'accaduto su un gruppo Whatsapp per mamme.

Come si legge nella descrizione dell'evento su Facebook, oltre al possedere un certo "livello di faccia tosta" e "non indossare intimo eccessivamente succinto," l'unica vera regola del No pants sarebbe "comportarsi come se nulla fosse e non si conoscessero gli altri partecipanti." Per rendere il tutto ancora più realistico, viene consigliato di leggere un libro o ascoltare della musica.

Fermatici in Porta Venezia, dopo aver cambiato con la linea rossa—per compattare l'intero gruppo e iniziare seriamente il flash mob—diventa però chiaro che le regole non interessano a nessuno.

Da quel momento in poi infatti, a eccezione di alcuni casi illuminati, l'evento si trasforma in un continuo shooting video/fotografico in cui i partecipanti avrebbero fatto quasi sempre comunella e i reporter (me compreso) calpestato anziane signore nel tentativo di trovare l'angolazione giusta per lo scatto.

La massima espressione di questo nuovo ordine delle cose arriva quando un operatore rompe il silenzio e dice "Scusa, possiamo rifarla questa?". In sostanza, stavo contribuendo e assistendo alla morte della street, nel caso fosse mai esistita.

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In tutto questo marasma il più genuino sembra essere Ciro, un fotogiornalista della vecchia guardia che mi confessa di non averci capito nulla: era convinto che anche chi accompagnava il gruppo sarebbe dovuto rimanere in mutande.

Intanto, i giovani in mutande sembrano arrivati al massimo della consapevolezza di essere diventati delle star (per qualche ora). Dopo essersi scrollati di dosso l'imbarazzo iniziale, cominciano così a provare oltre a pose plastiche, finti sguardi in cui puntano altrove. Oppure continuano a rilasciare interviste a Chin, che ancora sconvolta per l'esotica iniziativa, chiede a qualunque partecipante se i genitori sono a conoscenza di cosa stia facendo in questo esatto momento.

Durante il resto del tragitto alla conquista delle linee di Milano—in cui Ciro a una certa ha rimesso i pantaloni—non assistiamo a nessuna reazione sconvolta, soprattutto da parte dei più anziani. L'unico commento che suona più come un ammonimento è di una signora che chiede: "Ma non avete freddo?"—sottintendendo forte preoccupazione per il loro stato di salute. Per il resto indugiano piuttosto incantati, con un luccichio negli occhi che sembra riportarli ai tempi in cui il 90 percento degli scostumati non sguazzava nemmeno nelle mutande di chi li ha concepiti.

All'inverso, sono le reazioni impietrite degli spettatori più giovani a suonare anacronistiche. Se da un lato c'è chi non riesce a non sbirciare a intermittenza, dall'altro c'è chi continua imbarazzato a guardare il cellulare. Ovviamente, il fatto di avere puntati nel frattempo almeno otto obiettivi è un'ottima giustificazione per continuare a mostrare indifferenza e sperare che tutto finisca alla prima fermata possibile.

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Desiderio che a un certo punto manifestano a voce alta molti dei partecipanti al flash mob, indistintamente dalle fazioni di appartenenza—fotografanti e fotografati—ormai fuse in una grande famiglia.

Sono le 17.15 e bisogna compiere l'ultima impresa: uscire in superficie. Destinazione: Duomo. Temperatura: zero gradi o giù di lì.

Gli scostumati sono molto provati. Le gambe tremano, ma sono ancora abbastanza forti per lanciare i pantaloni che brandiscono ormai da ore per compiacere nuovi curiosi e ancora una volta i giornalisti. Questi ultimi sono i più ansiosi di tutti, perché MM Duomo significa la fine della manifestazione e quindi anche la corsa alla scrivania a montare il servizio in tempo per l'edizione delle 20 verso casa. Io non sono un giornalista, perciò mi dirigo con gli ultimi superstiti verso la Galleria Vittorio Emanuele.

Lì i volti dei partecipanti luccicano come le vetrine patinate dei negozi—è la brina prodotta dal loro respiro gelido. Tanto che qualcuno chiede di "rimanere svegli," perché si sa che se ti addormenti in questi casi è la fine.

Prima di salutare definitivamente il gruppo, uno dei membri più navigati mi comunica l'esistenza dell'hashtag #NPSR nel caso in cui volessi guardare non solo le foto del flash mob di Milano, ma anche tutte quelle scattate nel resto del mondo su Instagram. Questa mattina, in tram e con tutti i passeggeri provvisti di pantaloni, me ne ricordo e la digito scorrendo nel feed.

Ci sono tutte le foto dell'evento di New York, e una delle più apprezzate è quella di un cagnolino in maglia e mutande in un vagone semivuoto della metro. Immagino lo stesso cane nella metro di Milano, con la calca dei giornalisti per fotografarlo e confezionare un post con un titolo ancora più simpatico. Subito dopo mi rendo conto che il solo fatto di averlo pensato mi rende un ottimo giornalista, e mi avvio felice verso l'ufficio.

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