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Tecnologia

Il sogno della bioingegneria: un gregge di pecore che non inquini

La nostra passione per i pullover di lana ha dei costi notevoli in termini ambientali. Ma la situazione potrebbe presto cambiare.
Immagine: Túrelio

In un certo senso, al centro del dilemma c'è il nostro amore per la lana. Se continuiamo ad allevare tutte queste pecore–ce ne sono oltre un miliardo nel mondo, stando all'ultimo conteggio–paradossalmente il mercato dei maglioni sarà destinato a diminuire, visto che proprio loro e gli altri deliziosi e utilissimi ruminanti (la classe di mammiferi che digerisce il cibo attraverso la fermentazione) producono oltre un quarto delle emissioni mondiali di metano legate ad attività umane. E il metano è il secondo gas serra più diffuso negli Stati Uniti.

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Se nel complesso le pecore non incidono significativamente sulla quota mondiale di emissioni animali, nelle economie basate sul loro allevamento, come ad esempio la Nuova Zelanda, arrivano a essere responsabili di un terzo dei gas serra nazionali.

Ma i ricercatori di questi paesi stanno prendendo il problema per le corna–caricandolo come un ariete farebbe con un drone–e hanno iniziato a studiare i microbi che vivono nel rumine, quella parte di stomaco da cui la classe animale prende il nome e in cui avviene la produzione di gas da parte dei batteri metanogeni.

Squadre di scienziati dell'istituto neozelandese AgResearch e del Joint Genome Institute del Dipartimento dell'Energia americano hanno pubblicato sulla rivista Genome Research uno studio sul corredo genetico delle pecore, i cui risultati lasciano intendere che potremmo essere in grado di produrre greggi caratterizzati da basse emissioni inquinanti.

Immagine: un gregge scozzese/ M J Richardson

I ricercatori hanno misurato la produzione di metano di esemplari appartenenti a 22 diverse razze ovine, tra cui la Romney, la Perendale, la Corriedale e altri ceppi economicamente rilevanti. Per quanto questo tipo di misurazione possa sembrare il peggiore dei lavori, il dottor Graeme Attwood, a capo del progetto, lo fa sembrare piuttosto semplice. O almeno più semplice che non correre dietro alle pecore con una sonda.

"Abbiamo misurato le emissioni di metano tenendo gli animali in apposite camere stagne, che non sono altro che box di plexiglas in cui i gas in entrata e in uscita vengono misurati con precisione," ci ha scritto via email dalla Nuova Zelanda. "Contemporaneamente abbiamo tenuto nota della quantità di cibo somministrato nello stesso periodo, in modo da poter mettere in rapporto il dato con la quantità di metano prodotto."

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Il passo successivo è stato mettere in sequenza DNA e RNA della popolazione microbica del rumine di ogni esemplare, in modo da individuare "un certo gruppo di batteri responsabili della produzione di metano."

"Capire la composizione microbica di un rumine caratterizzato da una bassa produzione di gas nocivi ci darà la possibilità di focalizzarci con precisione sui batteri metanogeni attraverso tutta una serie di strategie complementari, quali la somministrazione di acqua e cibo a determinati intervalli o l'utilizzo di foraggi e mangimi specifici," ha affermato Attwood.

Tutto ciò porterà anche ad una selezione non più basata solamente sulla qualità della lana o della carne, come avviene oggi, ma anche delle emissioni gassose.

I nostri problemi a riguardo ovviamente non si fermano alle pecore. Un recente studio che ha messo in relazione la nostra dieta e i cambiamenti del clima ha in pratica confermato che il ritmo a cui gli americani–e una porzione sempre crescente della popolazione mondiale–si cibano di carne non è in alcun modo sostenibile. Le ragioni di ciò vanno molto al di là della questione dei gas serra, che pur rimangono un aspetto non trascurabile del problema.

"L'efficienza media delle bestie che trasformano mangimi vegetali in carne è inferiore al tre per cento, e più carne noi mangiamo, più saremo costretti a utilizzare il terreno coltivabile per produrre foraggio per l'allevamento degli animali che ce la forniscono," ha affermato Bojana Bajzelj, professore di ingegneria all'Università di Cambridge.

"A ogni passaggio si verificano grandi perdite," ha spiegato, "e mentre l'uomo mangia sempre più carne, la produzione di questa a partire dai vegetali diventa sempre più inefficiente, portando a un'agricoltura intensiva sempre più estesa e a una produzione sempre maggiore di gas serra."

Le inefficienze non svaniranno, ma d'altra parte i ricercatori ammettono che difficilmente il consumo di carne diminuirà, così come il bisogno di lana. In effetti, con il clima impazzito e vortici polari alle porte, potremmo averne parecchio bisogno. Rimane la necessità di inserire l'immagine bucolica del gregge sulla collina in una visione più consapevole del mondo.